Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46408 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46408 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ROSARNO il 24/09/1971
avverso la sentenza del 13/03/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13/03/2024 la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Brescia del 10/12/2021, nel confermare la statuizione sulla colpevolezza di NOME COGNOME in ordine al reato di cui all’art. 10-quater d. Igs. 74/2000, condannata in primo grado alla pena di 1 anno di reclusione, disponeva la confisca del profitto del reato contestato.
Avverso tale sentenza l’imputata propone ricorso per cassazione, lamentando, con un primo motivo, vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, e, con un secondo motivo, mancanza di motivazione sulla disposta confisca.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Quanto alle attenuanti generiche, in via generale questa Corte ritiene che le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale «concessione» del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena” (cfr., Sez. 2, n. 14307 del 14.3.2017, COGNOME; Sez. 2, n. 30228 del 5.6.2014, COGNOME); il loro riconoscimento non costituisce, pertanto, un diritto dell’imputato, conseguente all’assenza di elementi negativi, ma richiede elementi di segno positivo (v. ex multis sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, COGNOME, Rv. 281590; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, n.m.); inoltre, stante la ratio della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen., al giudice di merito non è richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (sez. 2 n. 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826; sez. 7 n. 39396 del 27/5/2016, Rv. 268475; sez. 4 n. 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201), rientrando la stessa concessione di esse nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737). Non è neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ma è sufficiente
specificare a quale si sia inteso far riferimento (sez. 1, n. 33506 del 7/7/2010, Rv. 247959; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv 242419).
Rileva altresì la Corte che «il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non é più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01; Sez. 1, Sentenza n, 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986 – 01)».
Nel caso di specie, con motivazione priva di eccentricità, la Corte territoriale, a fronte di analoga censura dedotta dall’odierno ricorrente, ha integrato la motivazione del primo giudice, ritenendo che gli elementi addotti dalla difesa (l’essere stato commesso il fatto per una sola annualità e con modalità non particolarmente “sofisticate”) non potessero costituire elementi positivi da valutare, evidenziando, al contrario, come l’importo oggetto di indebita compensazione, nonché l’assenza di qualsivoglia condotta ristorativa o che esprimesse resipiscenza, escludessero la sussistenza di elementi positivi di valutazione.
3. In relazione al secondo motivo, esso è’inammissibile per genericità.
La ricorrente non contesta né l’esistenza del debito tributario da reato, né la sua quantificazione, né la natura diretta o indiretta della confisca, né, infine, l’obbligatorietà della confisca, limitandosi a dedurre una insussistente mancanza di motivazione, laddove al contrario, a pagina 1 e 3, la sentenza precisa di concordare con il Procuratore generale ricorrente circa la non necessità di un precedente decreto di sequestro, e circa la rimessione alla fase esecutiva della materiale apprensione dei beni da acquisire fino a concorrenza.
4. Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 18 ottobre 2024.