Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 25275 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 25275 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a LICATA il 23/05/1960
avverso la sentenza del 20/11/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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Motivi della decisione
La Corte d’appello di Palermo ha confermato la decisione del GIP del Tribunale di Agrigento del 6.11.2023, che aveva dichiarato NOME responsabile del reato previsto dall’art. 73, comma 1-bis, D.P.R.309/1990, perché pur essendo stato tratto in arresto in data 12 maggio 2022 per il medesimo reato, deteneva, al fine di cederla a terzi, sostanza stupefacente del tipo cocaina, condannandolo, ritenuta la recidiva contestata e negata la concessione delle attenuanti generiche, alla pena di anni otto di reclusione ed euro 36000,00 di multa.
Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, articolando cinque motivi d’impugnazione: a) violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla richiesta assolutoria. Lamenta che la Corte territoriale avrebbe adottato una motivazione apparente, facendo rinvio alla sentenza appellata e senza autonoma valutazione, per provare la riferibilità dello stupefacente al ricorrente; b) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata qualificazione relativa all’art, 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990; c) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla recidiva, che era stata ritenuta in modo automatico e privo della necessaria ponderazione sulla concreta pericolosità sociale; d) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; e) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla dosimetria della pena ritenuta eccessivamente severa.
Con memoria successivamente depositata il difensore ha illustrato le ragioni di ammissibilità e fondatezza dei motivi di ricorso.
Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
4.1 Quanto al primo motivo, la censura si risolve in una mera richiesta di rivalutazione, in punto di fatto, degli elementi di prova già esaminati dai giudici di merito, inibita in sede di legittimità. Sono infatti precluse, in sede di legittimità, rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di migliore capacità esplicativa (ex multis, Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482). Nel caso di specie, la Corte territoriale ha congruamente motivato la propria decisione, valorizzando elementi fattuali pregnanti, quali la vicinanza (qualche decina di metri) dalla abitazione dell’imputato del fondo, seppure di altro soggetto ma raggiungibile, ove era stato rinvenuto lo stupefacente; il fatto che, al momento della perquisizione, il ricorrente aveva fatto passare 15 minuti prima di
aprire agli Agenti, le modalità di occultamento della sostanza; il ritrovamento, anche nell’abitazione, di sacchi analoghi a quello contenente lo stupefacente e di sostanza idonea per il taglio e di bilancino di precisione. Tutte circostanze congruamente lette al fine di ascrivere la detenzione della sostanza in capo al ricorrente.
4.2. I restanti motivi sono parimenti manifestamente infondati, posto che:
la Corte d’appello, valutando in maniera complessiva il dato ponderale ( dosi singole realizzabili pari a 1.175 tale da non prospettare ipotesi di piccolo spaccio e il livello organizzativo non minimo, né occasionale, apprestato per detenere lo stupefacente a fine di cessione (in dettaglio pagine 8,9 e 10 della sentenza impugnata) ha negato la qualificazione di cui al comma 5 dell’art. 73 DPR, in ciò conformandosi ai principi espressi dalla Corte di cassazione (Sez. 4, n. 50257 del 05/10/2023 Rv. 285706 – 01
in punto di valutazione della pericolosità sociale ai fini della considerazione della recidiva, la sentenza d’appello, confermando quella di primo grado, ha ravvisato gli indici della pericolosità sociale, traendoli dai diversi precedenti penali di cui l’imputato era gravato, di cui due specifici e per i quali era stato condannato a pene considerevoli, dal fatto che era stato beneficiato per due volte della sospensione condizionale della pena senza mostrare segnali di resipiscenza, con ciò conformandosi al principio secondo cui, in tema di recidiva facoltativa, è richiesta al giudice una specifica motivazione sia che egli affermi sia che escluda la sussistenza della stessa. (In motivazione la Corte ha chiarito che tale dovere risulta adempiuto nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato) (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Rv. 274782 – 01).
-in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/20:17, COGNOME, Rv. 271269-01);
nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli facc riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altr disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244-01). Nel caso in esame, la Corte di merito ha adeguatamente motivato il diniego delle attenuanti
generiche, valorizzando sia i precedenti dell’imputato, che denotano la sua perdurante dedizione ad attività di spaccio, sia la sua condotta non
collaborativa durante la perquisizione, ritardando nell’aprire la porta, sia l’assenza di specifici
elementi positivamente valutabili, con argomentazioni immuni da vizi di logicità.
4. Alla declaratoria di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità
(Corte Cost., sent. n. 186/2000), al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in data 10 giugno 2025
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La Consigliera est.
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