Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9413 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9413 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato in Marocco il 05/01/1981 avverso la sentenza del 08/05/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
uditi il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso e l’avv.to COGNOME sostituto dell’avv.to NOME COGNOME difensore dell’imputato, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dell’impugnazione.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 8/5/2024 la Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza emessa dal GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 25/10/2024, che aveva ritenuto NOME COGNOME responsabile del reato di cui agli artt. 99 comma 4 cod. pen. e 73 comma 4 d.P.R. 309/90 e l’aveva condannato alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione ed C 20.000,00 di multa, ha ridotto la pena detentiva ad anni due, mesi nove e giorni dieci di reclusione con conferma nel resto.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, NOME che, con il primo motivo, ha denunciato la violazione
di legge sostanziale e il deficit di motivazione in relazione all’omessa concessione delle attenuanti generiche. Si deduce che la Corte territoriale si era limitata a richiamare la motivazione del GIP senza considerare “il valore intrinseco della dichiarazione confessoria resa dall’imputato”, il ruolo marginale ricoperto e la condotta dal medesimo tenuta dopo l’arresto. Sotto quest’ultimo profilo, il ricorso rappresenta che: erano state rispettate le prescrizioni discendenti dai vari regimi cautelari applicati; l’imputato, dopo la liberazione, si era trasferito in Umbria dov risultava svolgere l’attività di operaio.
Con il secondo motivo, si denuncia la violazione di legge sostanziale e il deficit motivazionale in relazione alla contestata recidiva. Si deduce che il lasso temporale intercorso fra l’ultima condanna e i fatti di causa dimostrava l’allontanamento dell’imputato da contesti delinquenziali e l’occasionalità della ricaduta nel reato, determinata dalle precarie esigenze economiche.
Con il terzo motivo, si denuncia la violazione di legge sostanziale e il deficit di motivazione in relazione alla pena pecuniaria applicata. Si deduce che la Corte territoriale aveva rideterminato la pena detentiva ma, senza fornire alcuna motivazione, aveva mantenuto la pena pecuniaria irrogata dal GIP
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Va in primo luogo ribadito che, ai fini della corretta deduzione del vizio di violazione di legge di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., il moti di ricorso deve strutturarsi sulla contestazione della riconducibilità del fatto – come ricostruito dai giudici di merito – nella fattispecie astratta delineata dal legislato altra cosa, invece, è, come accade sovente ed anche nel caso di specie, fornire una diversa letture delle risultanze probatorie e a essa parametrare le censure sviluppate.
Il GIP ha sottolineato, a pag. 4 della sentenza, l’inverosimiglianza della versione difensiva, inferendo, dal quantitativo di droga sequestrata e dalla incapacità dell’imputato a fornire dati identificativi del mandante, che NOME era il possessore della droga e, conseguentemente, in considerazione del valore della sostanza, la sussistenza di “strutturati collegamenti” fra il medesimo e “il mondo del narcotraffico”.
Da tale ricostruzione non si discosta la Corte territoriale che si limita a rilevar che, anche a voler ritenere “veritiere le affermazioni di NOMECOGNOME, il ruolo di custode
non è condotta di minor gravità o meritevole di un trattamento sanzionatorio di favore”, così introducendo una seconda e autonoma ratio decidendi che non sostituisce ma affianca quella resa dal giudice di primo grado.
Va, quindi, sgombrato il campo dai continui riferimenti che si rinvengono nei motivi al ruolo di custode della droga che l’imputato avrebbe svolto a causa delle precarie condizioni economichevcui versava. Non è questa la ricostruzione cui pervengono i giudici di merito e con cui i motivi del ricorso avrebbero dovuto confrontarsi. m
Altra circostanza che i giudici di merito hanno dimostrato di aver adeguatamente valutato è la “confessione” dell’imputato, intervenuta in un contesto probatorio che rendeva ineluttabile la condanna al chiaro fine di alleggerire, con una falsa ricostruzione, la propria posizione processuale.
E’, quindi, logico che tale condotta processuale sia stata ritenuta irrilevante risultando incompatibile con quella rivisitazione critica del vissuto delinquenziale accreditata in ricorso.
Entrambi i giudici di merito, ancora, hanno dato ampio rilievo ai precedenti penali di NOME, che disvelano l’assenza di freni inibitori e l’inefficacia del condanne riportate a incidere sulla volontà di locupletazione attraverso il delitto che, negli anni, ha continuato ad animare l’imputato.
Tale motivazione priva di fondamento le doglianze difensive relative al diniego delle attenuanti generiche.
Questa Corte ha ripetutamente chiarito che il riconoscimento delle attenuanti generiche consegue a un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato, quali, nella specie fatto che il reo si sia trasferito in Umbria e svolga un’attività lavorativa lecita (S 6, n. 42688 del 24/09/2008 – dep. 14/11/2008, COGNOME e altri, Rv. 242419; Sez. 3 n. 1913 del 20/12/2018 (dep. 2019 ), COGNOME, Rv. 275509 – 01; Sez. 7, ord. n. 2892 del 12/12/2024 (dep. 2025), COGNOME).
Alla medesima conclusione si perviene in relazione alla recidiva, avendo i giudici di merito valorizzato a tal fine non soltanto le plurime, specifiche e recent condanne riportate da COGNOME ma anche la sussistenza di stabili collegamenti con organizzazioni dedite al narcotraffico, desunti, come è stato già detto, proprio
dall’ingente quantitativo di droga sequestrato così delineando una stringente relazione fra i precedenti penali e la nuova condotta delittuosa indicativa di una più accentuata capacità a delinquere e di una maggiore riprovevolezza della condotta. La sentenza impugnata, pertanto, si è attenuta al consolidato principio di diritto (Sez. U, n. 35’738 del 27/5/2010, COGNOME, Rv. 247838; Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270419; Sez. 3, n. 19170 del 17/12;2014, deo. 2015, Gordyusheva, Rv. 263464; Sez. 6, n. 43438 del 23/11/2010, COGNOME, Rv. 248960), secondo cui, ai fini della rilevazione della recidiva, il giudice è tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell’illec sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, alla loro distinta offensività, a consecuzione temporale, alla genesi della ricaduta, nonché ad ogni parametro significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali.
Trattasi di motivazione che non presenta alcun profilo di illogicità, tanto meno manifesta, e che quindi non è censurabile da questa Corte risultando il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. integrato da una illogicità spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, perché violativa dei criteri di sens e di logica comune, in altre parole qualcosa che collide con il modo di ragionare comune, quasi sorprendendo (ictu oculi) il lettore per la sua insensatezza.
8. Venendo al terzo motivo, va ricordato che, quando la pena si attesti in misura non troppo distante dal minimo, è sufficiente che il giudice dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua” “pena equa” (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288; Sez. 2, n. 36103 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197; Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153), mentre “una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata è necessaria soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale” (così Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, S., non mass. sul punto; Sez. 2, n. 15428 del 5/3/2024, Stella).
Nel caso di specie la pena base si colloca ampiamente al di sotto della media edittale, che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni o il valore che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Rv. 276288 – 01).
Tali principi di riferimento rendono ancor più evidente l’infondatezza delle censure difensive in quanto dirette verso un apparato motivazionale che non si limita a richiamare l’art. 133 cod. pen. oppure a utilizzare formule di stile, ma
fornisce una congrua spiegazione del limitato scostamento della pena base dal minimo edittale valorizzando la capacità a delinquere di NOME e l’effettiva lesione del bene giuridico protetto. La pena pecuniaria individuata dalla Corte territoriale, pertanto, trova adeguata motivazione nella sentenze, motivazione che la riduzione della pena detentiva decisa dalla Corte territoriale non scalfisce, risultando la riforma sanzionatoria destinata a mitigare una pena detentiva che si discostava dal minimo edittale in maniera più significativa di quanto faccia la multa e che, quindi, era chiaramente destinata ad attenuare la forbice fra le due specie di sanzioni in modo da rendere più intelligibile da parte del condannato la funzione special preventiva svolta dalla condanna.
Al rigetto del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 25/1/2025