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Attenuanti generiche: quando il giudice può negarle

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato contro il diniego delle attenuanti generiche. La Corte conferma che, senza elementi di valutazione positiva, la sola incensuratezza non è più sufficiente a giustificare la concessione delle attenuanti. Anche la determinazione della pena è ritenuta corretta, in quanto motivata dalla non occasionalità del reato e dalla sua commissione durante una misura cautelare. L’imputato viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Attenuanti generiche: la Cassazione chiarisce i limiti del potere del giudice

L’applicazione delle attenuanti generiche rappresenta uno degli aspetti più discrezionali del processo penale, consentendo al giudice di adeguare la pena alla specifica situazione personale dell’imputato. Tuttavia, questa discrezionalità non è illimitata. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i principi consolidati che governano la materia, sottolineando come la sola assenza di precedenti penali non sia più sufficiente per ottenere questo beneficio.

Il caso in esame: ricorso contro la pena eccessiva

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato, condannato per una violazione della legge sugli stupefacenti (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990). L’interessato si è rivolto alla Suprema Corte lamentando due aspetti della sentenza di secondo grado: il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e un trattamento sanzionatorio ritenuto eccessivo.

L’appellante sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel negargli la riduzione di pena, non valorizzando adeguatamente la sua condizione di incensurato. Inoltre, riteneva che la pena inflitta fosse sproporzionata rispetto alla gravità del fatto commesso.

La decisione della Corte sulle attenuanti generiche

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione dei giudici di merito. Sul punto cruciale delle attenuanti generiche, la Corte ha ribadito un principio ormai consolidato dopo la riforma dell’articolo 62-bis del codice penale, avvenuta nel 2008.

Prima di tale riforma, lo stato di incensuratezza era spesso considerato un elemento quasi automatico per la concessione delle attenuanti. Oggi, invece, la legge richiede che il giudice individui elementi di valutazione positiva. La mera assenza di precedenti penali, essendo una condizione negativa (l’assenza di un fatto), non è più sufficiente. Il giudice di merito, nel caso specifico, aveva correttamente motivato la sua decisione evidenziando la mancanza di qualsiasi elemento positivo suscettibile di valutazione favorevole.

La valutazione del trattamento sanzionatorio

Anche la censura relativa all’eccessività della pena è stata respinta. La Cassazione ha ricordato che la determinazione della pena rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità, a meno che la motivazione non sia palesemente illogica o contraddittoria.

Nel caso analizzato, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione adeguata, spiegando perché si era discostata dal minimo edittale. In particolare, aveva valorizzato due circostanze di fatto:

1. Lo svolgimento dell’attività illecita in modo non occasionale.
2. Il fatto che il reato fosse stato commesso mentre l’imputato era già sottoposto a una misura cautelare.

Questi elementi, secondo la Suprema Corte, giustificavano pienamente una pena superiore al minimo, sebbene comunque inferiore al valore medio previsto dalla legge.

Le motivazioni della Cassazione

La decisione della Corte si fonda sul principio della “insindacabilità” delle valutazioni di merito quando queste sono supportate da una motivazione congrua, logica e priva di vizi giuridici. Sia per quanto riguarda le attenuanti generiche sia per la quantificazione della pena, il giudice di secondo grado aveva fornito spiegazioni esaurienti e coerenti, rendendo la sua decisione non criticabile in sede di legittimità.

La Corte ha specificato che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti del processo, ma di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione. In assenza di palesi errori, la valutazione del giudice di merito deve essere rispettata.

Le conclusioni: le conseguenze dell’inammissibilità

La declaratoria di inammissibilità del ricorso ha comportato, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale, due conseguenze per il ricorrente. In primo luogo, la condanna al pagamento delle spese processuali. In secondo luogo, poiché non sono emersi elementi per ritenere che il ricorso sia stato proposto senza colpa, l’imputato è stato condannato anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Questa ordinanza conferma quindi la linea rigorosa della giurisprudenza in materia di attenuanti generiche, ricordando che esse costituiscono un beneficio da meritare attraverso condotte positive e non un diritto derivante dalla sola assenza di precedenti.

La sola assenza di precedenti penali (incensuratezza) è sufficiente per ottenere le attenuanti generiche?
No. Secondo la Corte di Cassazione, a seguito della riforma del 2008, la sola incensuratezza dell’imputato non è più sufficiente. Il giudice deve individuare elementi o circostanze di segno positivo per concedere tale beneficio.

La decisione del giudice di merito sulla concessione delle attenuanti generiche può essere contestata in Cassazione?
Può essere contestata solo se la motivazione è assente, illogica o contraddittoria. Se il giudice ha fornito una motivazione adeguata e priva di vizi, come nel caso di specie, la sua decisione è “insindacabile” in sede di legittimità.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e, se non dimostra di non avere colpa nella causa di inammissibilità, anche al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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