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Attenuanti generiche: quando il giudice può negarle

Un individuo condannato per guida in stato di ebbrezza ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando sia l’eccessività della pena sia la mancata concessione delle attenuanti generiche. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che la determinazione della pena è una valutazione discrezionale del giudice di merito e che la negazione delle attenuanti generiche è legittima in assenza di elementi di segno positivo, non essendo più sufficiente, a tal fine, la sola incensuratezza dell’imputato.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Attenuanti generiche: quando il giudice può negarle

La concessione delle attenuanti generiche non è un diritto automatico per l’imputato, nemmeno se incensurato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce i principi che governano la discrezionalità del giudice nel concedere o negare questo beneficio, chiarendo che la decisione deve basarsi su elementi positivi concreti e non sulla mera assenza di precedenti penali. Analizziamo insieme la pronuncia per comprendere meglio i confini del potere decisionale del giudice di merito.

I Fatti del Ricorso

Il caso trae origine da una condanna per il reato di guida in stato di ebbrezza, previsto dall’articolo 186 del Codice della Strada. L’imputato, dopo la conferma della condanna in appello, ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a due motivi principali:

1. Errata dosimetria della pena: il ricorrente lamentava un’eccessiva severità nella quantificazione della sanzione inflitta dai giudici di merito.
2. Mancata concessione delle attenuanti generiche: si contestava il diniego del beneficio previsto dall’art. 62-bis del codice penale, ritenuto ingiustificato.

La difesa sosteneva che i giudici non avessero adeguatamente valutato gli elementi a favore dell’imputato, limitandosi a negare le attenuanti in modo non sufficientemente motivato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per entrambi i motivi. Con una motivazione chiara e lineare, i giudici di legittimità hanno respinto le censure del ricorrente, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello.

La conseguenza di tale declaratoria è stata la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un ricorso privo di fondamento.

Le motivazioni sulla dosimetria della pena

In merito al primo motivo, la Cassazione ha ricordato un principio consolidato: la graduazione della pena rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Questo potere, da esercitare seguendo i criteri indicati dagli articoli 132 e 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere del colpevole), non è sindacabile in sede di legittimità. La Corte di Cassazione non può effettuare una nuova valutazione sulla congruità della pena, ma solo verificare che la motivazione del giudice di merito non sia illogica, contraddittoria o carente. Nel caso specifico, la Corte territoriale aveva giustificato adeguatamente la pena inflitta, basandola sulla “particolare offensività della condotta” emersa dal concreto tasso alcolemico riscontrato.

Le motivazioni sulle attenuanti generiche

Il cuore della pronuncia riguarda il secondo motivo, relativo al diniego delle attenuanti generiche. La Corte ha definito il motivo “manifestamente infondato”, spiegando che il mancato riconoscimento di tale beneficio può essere legittimamente motivato con la semplice “assenza di elementi o circostanze di segno positivo”.

I giudici hanno sottolineato un aspetto cruciale, derivante dalla riforma dell’articolo 62-bis del codice penale avvenuta nel 2008: il solo stato di incensuratezza non è più sufficiente per ottenere le attenuanti. Il giudice di merito deve quindi ricercare elementi positivi che giustifichino una riduzione di pena, e la sua valutazione, se logicamente motivata, è un giudizio di fatto insindacabile in Cassazione.

La Corte ha inoltre precisato che il giudice può basare la sua decisione (di concessione o esclusione) anche su un solo elemento, tra quelli indicati dall’art. 133 c.p., che ritenga prevalente. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva congruamente motivato la sua decisione evidenziando la mancanza di qualsiasi elemento positivo e la concreta irrilevanza di quelli, di segno contrario, prospettati dalla difesa.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di attenuanti generiche. Emerge con chiarezza che queste non costituiscono un diritto dell’imputato, ma una facoltà discrezionale del giudice, il cui esercizio deve essere giustificato. La sola assenza di precedenti penali non è più una carta vincente per ottenere uno sconto di pena. La difesa deve essere in grado di fornire al giudice elementi concreti e positivi – relativi alla condotta, alla personalità dell’imputato o alle modalità del reato – che possano effettivamente giustificare l’applicazione del beneficio. In assenza di tali elementi, il diniego delle attenuanti, anche se motivato in modo sintetico, è da considerarsi pienamente legittimo.

Essere incensurati garantisce la concessione delle attenuanti generiche?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che, a seguito della riforma legislativa del 2008, il solo stato di incensuratezza dell’imputato non è più un elemento sufficiente per ottenere il beneficio. Il giudice deve riscontrare la presenza di elementi positivi concreti per giustificare la riduzione della pena.

La Corte di Cassazione può ridurre una pena ritenuta troppo alta?
No, la determinazione della pena (dosimetria) è un’attività discrezionale del giudice di merito. La Corte di Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di primo o secondo grado, ma può solo controllare che la motivazione della sentenza sia logica e non presenti vizi di legge.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende. Nel caso specifico, la sanzione è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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