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Attenuanti generiche: quando il giudice può negarle?

Un imprenditore, condannato per occultamento e distruzione di scritture contabili, ha presentato ricorso in Cassazione contestando il diniego delle attenuanti generiche e la severità della pena. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che, dopo la riforma del 2008, la sola incensuratezza non è sufficiente per ottenere le attenuanti. È necessaria la presenza di elementi positivi di valutazione, la cui assenza giustifica il diniego da parte del giudice di merito. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Attenuanti generiche: quando il giudice può negarle?

L’applicazione delle attenuanti generiche rappresenta uno dei poteri discrezionali più significativi del giudice penale, capace di incidere notevolmente sulla determinazione finale della pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce chiarimenti cruciali sui presupposti necessari per il loro riconoscimento, specificando perché la sola assenza di precedenti penali non sia più un fattore determinante. Analizziamo insieme la decisione per comprendere i criteri che guidano il giudice in questa delicata valutazione.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una condanna per il reato di occultamento e distruzione di scritture contabili, previsto dall’art. 10 del D.Lgs. 74/2000. Un imprenditore veniva ritenuto colpevole in sede di merito e la Corte d’Appello confermava la sua responsabilità, comminando una pena di un anno e dieci mesi di reclusione.

Contro tale sentenza, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, affidandosi a tre motivi principali:
1. Un vizio di motivazione riguardo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
2. Una presunta violazione di legge nella determinazione della pena, ritenuta eccessivamente severa e superiore al minimo edittale.

L’imputato lamentava, in sostanza, che i giudici di merito non avessero adeguatamente valorizzato elementi a suo favore, negandogli un trattamento sanzionatorio più mite.

La Valutazione delle attenuanti generiche

Il fulcro della questione ruota attorno ai criteri per la concessione delle attenuanti generiche (art. 62-bis c.p.). La difesa sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel negarle. La Cassazione, tuttavia, respinge tale argomentazione, richiamando un principio consolidato, rafforzato dalla riforma legislativa del 2008 (D.L. n. 92/2008).

Secondo gli Ermellini, il diniego delle attenuanti può essere legittimamente motivato dalla semplice assenza di elementi o circostanze di segno positivo. In altre parole, non è il giudice a dover trovare ragioni per negarle, ma è l’imputato a dover offrire elementi meritevoli di una valutazione favorevole. La riforma del 2008 ha stabilito in modo inequivocabile che il solo stato di incensuratezza (la cosiddetta ‘fedina penale pulita’) non è più, di per sé, sufficiente a giustificare una riduzione di pena.

Inoltre, il giudice non è tenuto ad analizzare ogni singolo elemento favorevole o sfavorevole dedotto dalle parti. È sufficiente che la sua motivazione si concentri sugli aspetti ritenuti decisivi, purché la valutazione complessiva sia logica e coerente.

La Determinazione della Pena

Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, relativo all’eccessiva severità della pena, la Corte ribadisce un altro principio cardine del giudizio di legittimità: la quantificazione della pena è una valutazione di merito, insindacabile in sede di Cassazione se sorretta da una motivazione esente da vizi logici o giuridici. Nel caso di specie, la pena di un anno e dieci mesi, definita ‘prossima al minimo edittale’, è stata considerata adeguata e proporzionata dalla Corte territoriale, la cui decisione non presentava alcuna illogicità manifesta.

Le motivazioni e le conclusioni della Corte Suprema

Sulla base di queste considerazioni, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La motivazione della sentenza impugnata è stata ritenuta adeguata sia nel negare le attenuanti generiche per mancanza di elementi favorevoli, sia nel determinare una pena proporzionata.

La conseguenza diretta dell’inammissibilità, come previsto dall’art. 616 c.p.p., è la condanna del ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche a versare una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria scatta quando non si ravvisa un’assenza di colpa nel determinare la causa di inammissibilità.

In conclusione, questa pronuncia consolida l’orientamento secondo cui le attenuanti generiche non sono un diritto automatico, neppure per chi non ha precedenti penali. La loro concessione è subordinata a una valutazione positiva della personalità dell’imputato e delle circostanze del reato, elementi che devono emergere chiaramente nel processo e che il giudice deve ritenere meritevoli di considerazione per mitigare la sanzione.

Avere la fedina penale pulita è sufficiente per ottenere le attenuanti generiche?
No. Secondo la Corte di Cassazione, a seguito della riforma legislativa del 2008, il solo stato di incensuratezza dell’imputato non è più un elemento sufficiente per la concessione automatica delle attenuanti generiche.

Il giudice è obbligato a considerare tutti gli elementi a favore dell’imputato per concedere le attenuanti?
No, non è necessario. Per la Corte è sufficiente che il giudice motivi la sua decisione facendo riferimento agli elementi che ha ritenuto decisivi o comunque rilevanti, senza dover prendere in esame ogni singolo aspetto dedotto dalle parti.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, come in questo caso, al versamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, a meno che non si dimostri un’assenza di colpa nella causa che ha determinato l’inammissibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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