Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23139 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23139 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TRANI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/11/2021 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo vizio motivazionale in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, quanto alla mancata valorizzazione del comportamento collaborativo dell’imputato, che ha prestato il consenso all’utilizzazione di molti atti delle indagini preliminari, e violazione in legge relativamente alla ritenuta circostanza di cui all’art. 625 n. 2 cod. pen., mai contestata.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
In data 23 aprile 2024 è stata depositata memoria a firma dell’AVV_NOTAIO nell’interesse del ricorrente, che ha insistito sui motivi del ricorso.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Gli stessi, in particolare, non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito.
2.1. I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto del loro diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche valutando, negativamente per l’odierno ricorrente, la mancanza di elementi positivi valutabili ai fini del riconoscimento delle stesse, ma anche la negativa personalità desunta dai precedenti penali da cui è gravato, la mancanza di comportamenti collaborativi e l’assenza di alcun segno di resipiscenza.
Il provvedimento impugnato appare collocarsi nell’alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).
In caso di diniego, soprattutto dopo la specifica modifica dell’articolo 62bis c.p. operata con il d.l. 23.5.2008 n. 2002 convertito con modif. dalla I. 24.7.2008 n. 125 che ha sancito essere l’incensuratezza dell’imputato non più idonea da sola a giustificarne la concessione va ribadito che è assolutamente sufficiente, come avvenuto nel caso che ci occupa, che il giudice si limiti a dare conto in motivazione di avere ritenuto l’assenza di elementi o circostanze positive a tale fine (cfr. ex
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mu/tis Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME ed altri, Rv. 260610 – 01; conf. Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986 – 01).
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto del loro diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche valutando, negativamente per l’odierno ricorrente, così come per i correi, la mancanza di elementi positivi valutabili ai fini del riconoscimento delle stesse, ma anche la negativa personalità emersa dall’episodio nel suo complesso, posto in essere da 4 persone che si organizzavano per perpetrare l’illecito, e l’assenza di alcun segno di resipiscenza.
Il provvedimento impugnato appare collocarsi nell’alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).
In caso di diniego, soprattutto dopo la specifica modifica dell’articolo 62bis c.p. operata con il d.l. 23.5.2008 n. 2002 convertito con modif. dalla I. 24.7.2008 n. 125 che ha sancito essere l’incensuratezza dell’imputato non più idonea da sola a giustificarne la concessione va ribadito che è assolutamente sufficiente, come avvenuto nel caso che ci occupa, che il giudice si limiti a dare conto in motivazione di avere ritenuto l’assenza di elementi o circostanze positive a tale fine (cfr. ex multis Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME ed altri, Rv. 260610 – 01; conf. Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986 – 01).
2.2. Quanto alla circostanza aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod. pen. la Corte territoriale evidenzia come la violenza sulle cose è contestata in fatto nel corpo dell’imputazione di cui al capo b), laddove si assume che l’imputato, in concorso con altri, dopo avere sfondato la porta d’ingresso con l’auto di cui al capo a), si introduceva nel market della stazione di servizio per impossessarsi delle sigarette e del denaro.
Ciò nel solco della consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fini della contestazione di una aggravante non è necessaria la specifica indicazione della norma che la prevede essendo sufficiente la chiara e precisa enunciazione “in fatto” della stessa e che l’imputato abbia piena cognizione degli elementi di
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fatto che la integrano (Sez. 2, n. 14651 del 10/01/2013, Chatbi, Rv. 255793 – 01 in una fattispecie in cui l’aggravante dell’abuso di prestazione di opera è stata ritenuta desumibile dalla descrizione, nell’imputazione, delle modalità della condotta; Sez. 6, n. 40283 del 28/09/2012, COGNOME, Rv. 253776 – 01).
E’ stato anche chiarito che, in tema di circostanze aggravanti, è ammissibile la c.d. contestazione in fatto quando vengano valorizzati comportamenti individuati nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o ad oggetti determinati nelle loro caratteristiche, idonei a riportare nell’imputazione tutti gli elementi costitutiv della fattispecie aggravatrice, rendendo così possibile l’adeguato esercizio del diritto di difesa (Sez. 2, n. 15999 del 18/12/2019, dep. 2020, Saracino, Rv. 279335 – 01 in un caso in cui è stata ritenuta validamente contestata l’ipotesi di truffa aggravata ai sensi dell’art. 61, comma primo, n. 7, cod. pen. mediante l’originaria indicazione, nel capo di imputazione, del danno di rilevante gravità rappresentato dall’importo complessivo delle cambiali consegnate dall’imputato alla persona offesa in cambio del ritiro di un’istanza di fallimento, in seguito disconosciute e non onorate alla scadenza). E ancor più è ammissibile quando si tratti di un comportamento materiale oggettivamente determinato nella sua materialità e senza alcun elemento valutativo da sottoporre al vaglio del giudice, onde la sua esplicitazione è tale da consentire all’imputato l’adeguato esercizio del diritto di difesa (Sez. 3, n. 28483 del 10/09/2020, D. Rv. 280013 – 02).
Né può porsi in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen (così Sez. Un. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, COGNOME, Rv. 231164, e Sez. Un. n. 19601 del 28/2/2008, COGNOME, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, COGNOME, rv. 256463).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dì parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
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P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle a mende.
Così deciso il 29/05/2024