Attenuanti Generiche: Quando la Personalità dell’Imputato Pesa Più della Confessione
L’applicazione delle attenuanti generiche rappresenta uno dei poteri più discrezionali del giudice penale, un ambito in cui la valutazione complessiva dell’imputato e del fatto commesso assume un ruolo centrale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 14980/2024, offre un chiaro esempio di come tale valutazione non si basi su automatismi, ma su un bilanciamento di tutti gli elementi disponibili. In questo caso, la confessione e lo stato di incensuratezza non sono stati sufficienti a ottenere una riduzione di pena, a fronte di una personalità giudicata “allarmante”.
Il Percorso Giudiziario del Caso
La vicenda processuale ha inizio con una condanna in primo grado emessa dal GUP del Tribunale di Trani per reati legati al possesso e porto di armi. La pena inflitta era di due anni di reclusione e duemila euro di multa.
Successivamente, la Corte di Appello di Bari, nel 2022, ha parzialmente riformato la sentenza. Pur assorbendo alcuni reati minori in quello più grave e dichiarando il non doversi procedere per un’altra imputazione, ha rideterminato la pena finale in un anno e sei mesi di reclusione e 1.800 euro di multa. La Corte territoriale, tuttavia, non ha concesso le attenuanti generiche richieste dalla difesa.
Il Ricorso in Cassazione e il Diniego delle Attenuanti Generiche
L’imputato ha presentato ricorso per cassazione, affidandosi a un unico motivo: il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. La difesa sosteneva che tali circostanze avrebbero dovuto essere concesse sulla base di due elementi principali:
1. La confessione resa dall’imputato.
2. Lo stato di incensuratezza dello stesso.
Secondo la tesi difensiva, questi fattori positivi sarebbero stati ingiustamente trascurati dalla Corte d’Appello, che avrebbe dovuto applicare una riduzione della pena.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione della Corte d’Appello. Le motivazioni dei giudici supremi sono nette e si fondano su principi consolidati.
In primo luogo, la Corte ha sottolineato che la sentenza impugnata aveva ampiamente e logicamente motivato il diniego delle attenuanti. I giudici di merito avevano evidenziato l’assenza di elementi positivi concreti e, al contrario, avevano dato rilievo a fattori negativi di grande peso:
– La condotta serbata dall’imputato.
– La sua “allarmante personalità”, un giudizio rafforzato dal fatto che il soggetto era già stato attinto da una misura di prevenzione come la sorveglianza speciale.
La Cassazione ha ribadito che la valutazione sulla concessione delle attenuanti generiche rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Tale potere, se esercitato in modo logico, coerente e non contraddittorio, come nel caso di specie, non è sindacabile in sede di legittimità. La Suprema Corte non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice che ha esaminato i fatti nel dettaglio.
Le argomentazioni della difesa sono state definite “marcatamente aspecifiche e assertive”, in quanto si limitavano a insistere sulla necessità di un riconoscimento senza confrontarsi efficacemente con le solide motivazioni contrarie espresse nella sentenza d’appello.
Le Conclusioni
La decisione in esame ribadisce un principio fondamentale: la concessione delle attenuanti generiche non è un diritto dell’imputato né una conseguenza automatica di elementi come la confessione o l’assenza di precedenti penali. Il giudice ha il dovere di compiere una valutazione globale della personalità del reo e della gravità del fatto, come previsto dall’art. 133 del codice penale. In questo quadro, indicatori di pericolosità sociale, come la sottoposizione a misure di prevenzione, possono legittimamente assumere un peso decisivo e neutralizzare gli eventuali elementi a favore, conducendo al rigetto della richiesta di riduzione della pena.
La confessione garantisce automaticamente la concessione delle attenuanti generiche?
No, la sentenza chiarisce che la confessione è solo uno degli elementi che il giudice valuta. In questo caso, elementi negativi come la personalità allarmante dell’imputato e la sua condotta hanno avuto un peso maggiore, portando al diniego del beneficio.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni della difesa sono state ritenute generiche e assertive. Inoltre, la richiesta di rivalutare la concessione delle attenuanti, una decisione discrezionale del giudice di merito, esula dai poteri della Corte di Cassazione, a meno che la motivazione non sia palesemente illogica, cosa non avvenuta.
Che peso ha la “personalità allarmante” dell’imputato nella decisione?
Ha un peso dirimente. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del giudice di merito che ha considerato la personalità dell’imputato, desunta anche dal fatto che fosse sottoposto a sorveglianza speciale, come un fattore decisivo per negare le attenuanti generiche, superando gli elementi positivi come la confessione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14980 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14980 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ANDRIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 11/07/2022 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME NOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 19/05/2016, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trani, per quanto ora di interesse, ha ritenuto NOME COGNOME colpevole dei reati di cui agli artt. 2, 4 e 7 legge 02 ottobre 1967, n. 895, 23 legge 18 aprile 1975, n. 110 e 648 cod. pen. e, per l’effetto, lo ha condanNOME alla pena di anni due di reclusione ed euro duemila di multa, emettendo anche i consequenziali provvedimenti in ordine a quanto in sequestro. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Bari ha parzialmente riformato tale decisione, ritenendo assorbiti i reati di cui agli artt. 2, 4 e 7 legge n. 895 del 19 in quello ex art. 23 legge n. 110 del 1975 e dichiarando non doversi procedere in ordine al reato di cui all’art. 23, terzo comma, legge n. 110 del 1975; la Corte territoriale, per l’effetto, ha rideterminando la pena – con riferimento alle residu imputazioni – nella misura di anni uno e mesi sei di reclusione ed euro 1.800,00 di multa.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, per il tramite del difensore AVV_NOTAIO, lamentando unicamente il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, che erano state invocate essenzialmente in base alla confessione resa dall’imputato e in considerazione dello stato di incensuratezza di questi.
Il ricorso è inammissibile, in quanto la sentenza impugnata rileva come elementi positivi, in punto di concessione delle circostanze attenuanti generiche, non siano rinvenibili, assumendo invece rilievo dirimente tanto la condotta serbata dall’imputato, quanto la sua allarmante personalità, quale soggetto attinto dalla misura di prevenzione della sorveglianza speciale. A fronte di tali argomentazioni, scevre da vizi logici e giuridici ed espresse in maniera coerente e non contraddittoria, la difesa ricorrente insiste – con deduzioni marcatamente aspecifiche e assertive – sulla necessità, da parte della Corte territoriale, d procedere al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Orbene, a parte la vaghezza contenutistica delle doglianze prospettate, a fronte delle corrette e puntuali argomentazioni sopra riportate, la valutazione attinente ad aspetti che rientrano nel potere discrezionale di quantificazione sanzioNOMEria riservato al giudice di merito, laddove tale potere risulti esercitato congruamente, logicamente ed anche in coerenza con il principio di diritto secondo il quale l’onere motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente l’esame di tutti i parametri fissati dall’art. 133 cod. pen., si sottrae alle censure c reclamino una rivalutazione in fatto, riguardo a elementi già oggetto di
valutazione, ovvero la valorizzazione di dati che si assume essere stati indebitamente pretermessi, nell’apprezzamento compiuto dal giudice impugNOME.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2024.