Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29865 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29865 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SPECCHIA il 09/05/1953 avverso la sentenza del 19/12/2024 della Corte d’assise d’appello di Lecce Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso letta la memoria dei difensori
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19 dicembre 2024 la Corte di assise di appello di Lecce ha confermato quella emessa, a seguito di giudizio abbreviato, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce il 21 febbraio 2024, che, all’esito di giudizio abbreviato, ha condannato NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 575 cod. pen., riconoscendo l’aggravante di cui all’art. 577, comma secondo, cod. pen. equivalente rispetto all’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen.
Nelle convergenti sentenze di merito, COGNOME è stato ritenuto responsabile dell’omicidio del fratello NOME, proprietario di un fondo agricolo attiguo al suo, perché, dopo essersi recato sul terreno di quest’ultimo per chiedere spiegazioni circa il taglio di un serbatoio d’acqua, ha aggredito il germano e lo ha colpito ripetutamente procurandogli molteplici lesioni, trascinando, infine, il corpo ormai esanime in una cisterna di raccolta dell’acqua piovana e cagionandone la morte a causa dei reiterati traumi cranici e dell’asfissia meccanica per ostruzione delle vie respiratorie.
E’ stata ribadita la ricostruzione del fatto operata dalla sentenza di primo grado con l’ampio richiamo agli atti di indagine, con particolare riferimento alle dichiarazioni del teste che ha avvisato le Forze dell’Ordine intervenute sul terreno di NOME COGNOME ove questi è stato aggredito e ucciso dal fratello NOME il quale ha, sostanzialmente, ammesso di avere colpito a morte il congiunto, pur tentando di ridimensionare la gravità della propria condotta.
Ulteriori significative acquisizioni istruttorie sono state desunte dalle dichiarazioni di altre persone informate sui fatti (specie nel contesto familiare) e dagli accertamenti medico legali.
Pronunciando specificamente sui motivi di impugnazione, la Corte di assise di appello ha disatteso sia la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche, sia quella relativa all’attenuante della provocazione.
Con specifico riguardo alle prime, ha evidenziato come l’avvenuto risarcimento del danno, evocato dal ricorrente per giustificare la richiesta di mitigazione della pena, sia sato valorizzato ai fini della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen. e non ricorrano altri elementi di fatto suscettibili essere utilmente invocati.
Piuttosto, ha segnalato la mancata richiesta dei soccorsi, la predisposizione di una versione di comodo, l’assenza di una qualsiasi forma di collaborazione, la particolare ferocia dell’imputato nella consumazione dell’aggressione ai danni del fratello che non era riuscito ad opporre una minima azione di difesa.
Anche le allegazioni in punto di dolo d’impeto sono state ampiamente disattese siccome inidonee ad escludere la presenza di una chiara volontà omicidiaria, sebbene insorta nell’immediato e senza premeditazione; si tratta, peraltro, di circostanza già oggetto di valutazione in sede di quantificazione della pena nel minimo edittale.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME, per mezzo del proprio difensore, avv. NOME COGNOME articolando un unico motivo con il quale ha eccepito mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen. con criterio di prevalenza sull’aggravante contestata e ritenuta.
Nella prospettiva difensiva, la Corte di appello avrebbe effettuato, ai fini del diniego delle predette circostanze, una valutazione insufficiente con riferimento a due profili.
In primo luogo, quello dell’elemento soggettivo del, così detto, “dolo d’impeto” che avrebbe connotato la condotta dell’imputato, improvvisa ed irrazionale, scatenata dal progressivo e incontrollato inasprirsi di una discussione riferibile alla situazione di contrasto tra i due fratelli.
Avrebbe, altresì, trascurato di valutare il comportamento collaborativo tenuto da COGNOME durante le indagini che, nonostante, inizialmente, abbia fornito una versione dei fatti non veritiera, successivamente ha riferito di una colluttazione avuta con il fratello, in occasione della quale avrebbe utilizzato il bastone, indicando il luogo in cui ritrovare lo strumento utilizzato per aggredire il germano.
In seguito, l’imputato ha anche risarcito il danno dimostrandosi, in definitiva, sinceramente pentito.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
I difensori dell’imputato hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Preliminarmente, va osservato che la censura sottopone al giudizio di questa Corte quegli stessi elementi, già proposti con l’atto di appello, che la Corte leccese ha valutato offrendo una motivazione altrettanto congrua, tale da non poterne ravvisare la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità lamentate.
Omette di confrontarsi, il ricorrente, con gli elementi posti alla base del mancato riconoscimento delle invocate circostanze generiche.
L’assenza di specificità del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come l’indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, non potendo il ricorrente ignorare le esplicitazioni del giudice di merito senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1, lett. c), all’inammissibilità (Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 3, n. 35492 del 06/07/2007, Tasca, Rv. 237596).
Il sindacato sulla motivazione del provvedimento impugnato, inoltre, va compiuto attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale espresso nell’atto e della sua interna coerenza logico-giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità «nuove» attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa (Sez. 6, n. 11194 dell’08/03/2012, Lupo, Rv. 252178).
Ancora, va ribadito che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu °culi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi d macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U., n. 24 del 24/11/1999 Rv. 214794; Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074).
Tanto premesso, la Corte di appello ha evidenziato come, nel complessivo giudizio effettuato al fine di valutare la concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sull’aggravante contestata e ritenuta, non siano ravvisabili elementi positivi tali da giustificare l’invocata riduzione de trattamento sanzionatorio, rilevando esclusivamente l’intervenuto indennizzo – già valorizzato con il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen.
Pur avendo correttamente richiamato l’orientamento per il quale «in tema di circostanze, gli elementi costitutivi di una circostanza attenuante, comune o speciale, ben possono essere valutati anche ai fini del più ampio giudizio che concerne il riconoscimento delle attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis cod. pen.» (Sez. 3, n. 10084 del 21/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278535 – 01), ha escluso la ricorrenza delle condizioni idonee a giustificare l’ulteriore mitigazione
sanzionatoria.
Invero, gli altri elementi invocati dalla difesa a tal fine – l’atteggiamento tenuto dopo la commissione del fatto, la condotta collaborativa e di pentimento, il così detto, «dolo d’impeto» – sono stati, nella ragionevole e non illogica valutazione del giudice del merito, interpretati, piuttosto, quali elementi di segno opposto e marcatamente negativi.
3.1. In particolare, l’atteggiamento tenuto dopo la commissione dell’aggressione al fratello, è stato apprezzato come non dimostrativo di resipiscenza, avendo l’imputato omesso di chiamare i soccorsi e così negato qualsiasi possibilità alla vittima di essere salvata, avendo tentato di eliminare le tracce del reato e di sottrarsi alle conseguenze di quanto commesso.
Inoltre, la Corte di merito ha evidenziato che quanto riferito dall’imputato circa la caduta accidentale del corpo del fratello all’interno della vasca durante la col luttazione è stato smentito dagli accertamenti condotti dal consulente medicolegale, il quale ha riscontrato la presenza sul corpo della vittima di lesioni da trascinamento e molteplici lesioni tipiche da difesa «occorse mentre la vittima tentava di ripararsi a braccia e mani tese verso l’aggressore».
Anche l’iniziale tentativo di negare ogni addebito, riferendo qualche dettaglio soltanto successivamente alle contestazioni basate sulla testimonianza di un terzo soggetto e tentando, comunque, di giustificare la propria condotta quale reazione difensiva all’aggressione del fratello, è stato ritenuto privo di attendibilità perché smentito dall’assenza di lesioni sul corpo dell’imputato e, comunque, privo di riscontri costituiti da risultanze oggettive o dalle dichiarazioni di un qualche testimone, sicchè la condotta processuale è stata valutata come non leale e nemmeno significativa di sincero pentimento.
3.2 Per quanto concerne, in particolare, la specifica connotazione del dolo che per il ricorrente indicherebbe la minore gravità del fatto, i giudici di appello hanno segnalato la circostanza che, essendo avvenuto l’omicidio all’interno del fondo della vittima, sia stato l’imputato a raggiungerla mentre era intenta nelle sue attività, posto che era lo stesso imputato ad avere qualcosa da contestare al fratello, indotto da sentimenti violenti e minacciosi nei suoi confronti.
Inoltre, ha evidenziato altri due elementi di fatto: la natura dei rapporti tra due e l’esistenza di reciproca antipatia, circostanze che rendevano prevedibile che la discussione potesse degenerare e le modalità della condotta, ossia l’essere stata colpita la vittima con diversi strumenti e con insistita violenza, quindi trascinata e collocata in una vasca piena di acqua.
E’ stata, in tal modo, ricostruita e ritenuta la chiara volontà di soppressione di NOME COGNOME, di eliminare ogni traccia del delitto, nonché di evitare ogni responsabilità.
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3.3. Pertanto, poiché la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art.
62-bis cod. pen. ed il giudizio di bilanciamento con elementi accidentali di
segno opposto costituisce oggetto di un giudizio di fatto, che può essere risolto dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria
decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in questa sede di legittimità neppure quando difetti di
uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6, n. 7707 del 04/12/2003, dep. 2004, P.G. in
proc. COGNOME ed altri, Rv. 229768-01), le correlate censure devono ritenersi inammissibili.
Il percorso argomentativo adottato dalla Corte salentina è, quindi, pienamente rispettoso dei canoni che presiedono all’applicazione dell’art.
62-bis cod. pen. e, in specie, del principio secondo cui «in tema di bilanciamento di
circostanze eterogenee, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel confermare il giudizio di equivalenza fra le circostanze operato dal giudice
di primo grado, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell’art. 133 cod. pen. e gli altri dati significativi, apprezzat in modo logico e coerente rispetto a quelli concorrenti di segno opposto. (Sez. 1, n. 17494 del 18/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279181 – 02).
Inoltre, «le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto» (Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, COGNOME, Rv. 270450 – 01)
Per quanto esposto, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17/07/2025