Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 34712 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 34712 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/11/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 2 novembre 2023 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma di quella emessa il 9 febbraio 2023 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli Nord, ha – previa qualificazione del fatto indicato al capo a) dell’imputazione ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 – rideterminato le pene inflitte ad NOME COGNOME e NOME COGNOME, per tale reato e per quelli connessi alla detenzione illegale di una pistola di matrice furtiva, di una mitraglietta UZI e di vario munizionamento, rispettivamente in quattro anni e dieci mesi di reclusione e 7.000 euro di multa ed in tre anni e sei mesi di reclusione e 5.000 euro di multa.
Il procedimento penale nell’ambito del quale sono state emesse le menzionate sentenze è scaturito dall’arresto, eseguito il 2 ottobre 2022 in Giugliano, di entrambi gli imputati, sorpresi, all’interno di una stanza d’albergo, nella flagrante disponibilità di un revolver Smith & Wesson calibro TARGA_VEICOLO, in precedenza sottratto al legittimo titolare, NOME COGNOME, di munizioni per pistola calibro 2 Luger e 38 TARGA_VEICOLO, nonché di un piccolo quantitativo di cocaina, suddiviso in sette buste di cellophane termosaldate.
COGNOME e COGNOME sono stati, altresì, condannati per la detenzione di una mitraglietta UZI, non rinvenuta in loco ma effigiata in una fotografia contenuta nella memoria del telefono cellulare in uso a COGNOME, e per le pregresse cessioni a terzi di imprecisati quantitativi di sostanza stupefacente.
NOME COGNOME propone, con il ministero dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale lamenta vizio di motivazione con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche, che egli, sostiene, avrebbe meritato per la condizione di pregressa incensuratezza, il leale contegno processuale, la piena ammissione degli addebiti, la modesta offensività della condotta di narcotraffico.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione articolato su tre motivi, con il primo dei quali deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere i giudici di merito stimato la sua responsabilità concorsuale in ordine all’attività di detenzione e cessione di cocaina in assenza di prova di fattiva e consapevole collaborazione con COGNOME.
Evidenzia che egli era impegnato, in quel contesto spazio-temporale, nella commissione di reati di diversa natura ma non anche di quello ex art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ed ha serbato, al riguardo, un atteggiamento che non h
oltrepassato la dimensione della connivenza non punibile; ascrive alla Corte di appello di avere, a tal fine, valorizzato – in uno alla sua presenza, dovuta a distinte ragioni e, in sé, neutra, all’interno della stanza d’albergo occupata da COGNOME – il tenore di una conversazione che, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, è stata captata in un frangente in cui egli non si trovava in compagnia del correo e che, comunque, appare priva di effettiva portata indiziante.
Con il secondo motivo, si duole, ancora nell’ottica della violazione di legge e del vizio di motivazione, della contraddittorietà dell’attribuzione, nei suoi confronti, del ruolo di fornitore della sostanza stupefacente, che la stessa Corte di appello reputa «non implausibile», così orientando la decisione in spregio al canone secondo cui la responsabilità dell’imputato deve essere accertata, ai sensi dell’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., «al di là di ogni ragionevole dubbio».
Con il terzo motivo, COGNOME eccepisce violazione di legge in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, cui i giudici di merito sono pervenuti senza riservare la dovuta considerazione all’avere egli spontaneamente indicato, all’atto dell’accesso delle forze dell’ordine, l’ubicazione della pistol prontamente rinvenuta e sequestrata, in tal modo agevolando le operazioni di perquisizione, nonché all’essersi egli posto subito a disposizione dell’autorità, a differenza di COGNOME, che ha tentato di fuggire.
Disposta la trattazione scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Procuratore generale ha chiesto, con atto del 24 aprile 2024, la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché vertenti su censure manifestamente infondate.
COGNOME, con il primo motivo, contesta la legittimità della motivazione sottesa all’affermazione della sua penale responsabilità in ordine all’attività di narcotraffico gestita in cooperazione con COGNOME che, tuttavia, appare coerente con le emergenze istruttorie ed esente da qualsivoglia vizio logico.
Da un canto, va, invero, considerato che la presenza dell’imputato all’interno della stanza d’albergo in cui lo stupefacente era custodito e dalla quale COGNOME si muoveva per incontrare gli acquirenti costituisce elemento di significativa attitudine indiziaria, non scalfita dalla concomitante e parallela
conduzione, da parte di entrambi gli imputati, di distinte attività illecite, cui accompagna, nella ricostruzione operata dai giudici di merito, la considerazione della conversazione n. 110 del 2 ottobre 2022, ore 19:20, nel corso della quale COGNOME si è rivolto a COGNOME in termini che, secondo i giudici di merito, rivelano l’esistenza di un preciso rapporto tra i due e, in particolare, dell’affidamento al primo di compiti esecutivi nell’ambito di un’attività illecita nella quale il secondo era certamente e personalmente coinvolto.
A questo proposito, il ricorrente oppone argomentazioni che, in quanto volte a sminuire la valenza probatoria dei dialoghi captati, trascurano che l’interpretazione delle intercettazioni, su cui principalmente si concentra il dissenso valutativo espresso dal ricorrente, costituisce essa stessa questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta irragionevolezza della motivazione (da ultimo, Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389)
Al riguardo, è utile aggiungere, a confutazione delle doglianze di COGNOME, che il contenuto delle intercettazioni può costituire fonte diretta di prova della colpevolezza dell’imputato, senza neppure necessità di riscontro ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., fatto sempre salvo l’obbligo del giudice di valutarne il significato secondo criteri di linearità logica (Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, Cigliola, Rv. 268414 – 01; Sez. 5, n. 4572 del 17/07/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265747 – 01; Sez. 2, n. 47028 del 03/10/2013, COGNOME, Rv. 257519 – 01) e fermo restando che, qualora gli elementi a carico, tratti dalle intercettazioni, abbiano natura indiziaria, essi dovranno certamente possedere i requisiti di gravità, precisione e concordanza, in conformità del disposto dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 37588 del 2014, COGNOME, Rv. 260842 – 01).
Nel caso in esame, la conversazione rilevante e gli elementi di validazione esistenti nel processo sono oggetto di diffusa, logica ed esauriente disamina da parte della Corte territoriale, non censurabile in questa sede e più che bastevole ai fini dell’integrazione della condotta contestata al capo a).
Né, va ulteriormente osservato, la solidità del costrutto argomentativo che sorregge l’affermazione della responsabilità di COGNOME è minata – a dispetto di quanto da lui obiettato con il secondo motivo – dalla qualificazione di «non implausibilità» dell’attribuzione nei suoi confronti della veste di fornitore dell cocaina distribuita al minuto da COGNOME, che attiene, con ogni evidenza, all’individuazione dello specifico ruolo da lui svolto e non anche al suo fattivo
consapevole coinvolgimento nell’attività illecita, che si è detto essere stato acclarato in termini di certezza processuale.
4. Il terzo motivo del ricorso di COGNOME e l’unico di quello di COGNOME vertono sulla congruità della motivazione adottata dai giudici di merito per escludere l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, che gli imputati, si sostiene, avrebbero meritato in ragione: l’uno, dell’avere egli spontaneamente indicato, all’atto dell’accesso delle forze dell’ordine, l’ubicazione della pistola prontamente rinvenuta e sequestrata, in tal modo agevolando le operazioni di perquisizione, nonché dell’essersi egli posto subito a disposizione dell’autorità, a differenza di COGNOME, che ha tentato di fuggire; l’altro, della condizione di pregressa incensuratezza, del leale contegno processuale, della piena ammissione degli addebiti, della modesta offensività della condotta di narcotraffico.
Così facendo, i ricorrenti invocano, a dispetto di quanto affermato, una diversa e più favorevole interpretazione di circostanze di fatto delle quali i giudici del merito hanno fornito una lettura aliena dall’ipotizzato travisamento della prova.
Premesso che è pacifico, in giurisprudenza, che «In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione» (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269), va attestato che la Corte di appello ha indicato, alle pagg. 6-7 della motivazione della sentenza impugnata, le ragioni che precludono l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, riferendosi specificamente, per COGNOME, alle negative informazioni raccolte sul vissuto giudiziario, espressivo di una propensione criminale tanto radicata da giustificare l’aumento di pena per la recidiva ed ulteriormente attestata dalla dedizione, emersa nell’ambito del presente procedimento, a rapine a mano armata di orologi preziosi, dato che è stato ritenuto ostativo al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in favore di COGNOME.
L’iter argomentativo sviluppato dalla Corte di appello si mantiene all’interno della fisiologica discrezionalità e non soffre delle incoerenze segnalate dal ricorrente il quale, va ancora una volta ribadito, sollecita un intervento che il giudice di legittimità non può compiere al cospetto di una motivazione esente da vizi logici e che tiene debitamente conto delle conquiste processuali.
In senso contrario, non vale obiettare, come fanno i ricorrenti, che la Corte di appello non ha valutato gli elementi da loro indicati, che ha espressamente , ritenuto irrilevanti o, comunque, subvalenti nell’ottica dell’art. 62-bis cod. pen..
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Al riguardo, pertinente si rivela, del resto, il richiamo al condiviso indirizzo ermeneutico secondo cui «Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente» (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269) e «In tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la “ratio” della disposizione di cui all’art. 62 bis cod. pen. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti» (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME Cotiis, Rv. 265826).
Sulla base delle considerazioni che precedono i ricorsi devono essere, pertanto, dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 24/05/2024.