Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23572 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23572 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI NAPOLI nel procedimento a carico di: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA nel procedimento a carico di questi ultimi
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CARDITO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CAIVANO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/06/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla continuazione riconosciuta nei confronti di COGNOME NOME NOME al denegato riconoscimento delle attenuanti generiche a COGNOME NOME e COGNOME NOME e per il rigetto del ricorso del pubblico ministero nel resto; uditi per gli imputati gli avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME NOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, che hanno concluso chiedendo il rigetto del ricorso del Procuratore
Generale.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Napoli ha confermato la condanna di: 1) COGNOME NOME, 2) COGNOME NOME, 3) COGNOME NOME, 4) COGNOME NOME, 5) COGNOME NOME, 6) COGNOME NOME, 7) COGNOME NOME, 8) COGNOME NOME, 9) COGNOME NOME, 10) COGNOME NOME, 11) COGNOME NOME, 12) COGNOME NOME, 13) COGNOME NOME, 14) COGNOME NOME, 15) COGNOME NOME, 16) COGNOME NOME e 17) COGNOME per i reati aggravati di associazione di tipo mafioso, concorrenza illecita, estorsione, tentata estorsione, detenzione e porto di armi comuni da sparo per come agli stessi rispettivamente contestati. In parziale riforma della pronunzia di primo grado ed a seguito della rinuncia ai motivi sulla responsabilità, la Corte territoriale ha rimodulato il trattamento sanzionatorio, previo riconoscimento agli imputati dal n. 3) al n. 15) delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti ed al COGNOME ed al COGNOME dell’attenuante di cui all’art. 416-bis.1 comma 3 c.p. con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti, nonché previo riconoscimento in favore del COGNOME e del COGNOME NOME della continuazione dei reati per cui è stata confermata la loro condanna con quelli oggetto di precedenti condanne.
Avverso la sentenza ricorrono il Procuratore Generale presso la Corte dell’appello di Napoli, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
2.1 D ricorso della parte pubblica articola due motivi. Con il primo deduce erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito al riconoscimento delle attenuanti generiche agli imputati elencati dal n. 3) al n. 15) ed alla conseguente rideterminazione delle pene loro irrogate. In tal senso il ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe giustificato la propria decisione facendo esclusivo riferimento alla scelta dei suddetti imputati di rinunziare nel giudizio d’appello ai motivi d’impugnazione concernenti il merito delle contestazioni mosse nei loro confronti, circostanza di per sé insufficiente ad integrare i presupposti di operatività delle menzionate attenuanti, anche e soprattutto in ragione della reintroduzione del patteggiamento in appello. Secondo il ricorrente la condotta valorizzata dalla Corte potrebbe in astratto ed a tutto concedere essere valutata ai sensi dell’art. 133 comma 2 n. 3) c.p., ma non nel caso di specie, posto che la scelta degli imputati sarebbe stata dettata da intenti esclusivamente utilitaristici, a fronte della poderosa consistenza del compendio probatorio raccolto a carico dei medesimi e non sarebbe il sintomo di una effettiva loro resipiscienza. Analoghi vizi vengono dedotti con riguardo al riconoscimento della continuazione tra i reati contestati a COGNOME NOME e COGNOME NOME e quelli
associativi per i quali questi ultimi sono stati condannati nel 2011. Lamenta in proposito il ricorrente l’assoluta genericità sul punto della motivazione della sentenza, dalla quale non si evincerebbero i parametri utilizzati dai giudici del merito per ritenere l’effetti sussistenza del vincolo di cui all’art. 81 c.p. Né il fatto che i reati per cui si pro possano essere qualificati come reati fine dei sodalizi di cui gli imputati sono stat partecipi sarebbe di per sé sufficiente all’affermazione della continuazione.
2.2 Con il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME vengono dedotti erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito al denegato riconoscimento al medesimo delle attenuanti generiche. In tal senso lamenta il ricorrente che erroneamente la Corte territoriale avrebbe escluso la sussistenza di elementi positivi di valutazione diversi da quelli valorizzati ai fini del riconoscimen dell’attenuante della collaborazione, giungendo alla paradossale conclusione di concedere le invocate attenuanti generiche a tutti i coimputati che non hanno operato alcuna scelta collaborativa e solo perché avevano rinunziato ai motivi di merito e di negarle, invece, proprio all’imputato che tale scelta aveva effettuato già prima della pronunzia della condanna in primo grado e che dunque con l’impugnazione di merito non aveva proposto censure relative all’affermazione della propria responsabilità per i reati per cui è stato condannato.
2.3 Gli stessi vizi vengono dedotti in riferimento al medesimo punto della decisione impugnata anche con il ricorso di COGNOME, al quale analogamente è stata riconosciuta l’attenuante della collaborazione, ma al quale parimenti la Corte ha negato le attenuanti generiche. Anche il COGNOME denunzia l’illogicità della motivazione articolata dai giudici del merito, lamentando in particolare come essi abbiano sostanzialmente omesso di valutare il comportamento post delictum dell’imputato, indice imprescindibile della valutazione sulla nneritevolezza dell’adeguamento del trattamento sanzionatorio nell’ottica della sua coerenza con i principi costituzionali che governano la commisurazione della pena.
I difensori di COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno presentato memorie con le quale hanno chiesto che il ricorso del Procuratore Generale venga dichiarato inammissibile o comunque rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono nel loro complesso infondati e devono essere rigettati.
Per quanto riguarda il ricorso del Procuratore Generale deve ritenersi infondato il primo motivo. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, infatti, le
circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato in considerazione di altrimenti non codificabili situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere del suo autore. In tal senso la necessità di tale adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, avendo il giudice l’obbligo, quando ne affermi la sussistenza, di fornire apposita e specifica motivazione idonea a fare emergere gli elementi atti a giustificare la mitigazione dei trattamento sanzionatorio (ex multis Sez. 1, Sentenza n. 46568 del 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315; Sez. 3, n. 19639 del 27 gennaio 2012, COGNOME e altri, Rv. 252900; Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013 – dep. 15/02/2013, P.G. in proc. La Selva, Rv. 254716). Ed è in questa cornice che devono essere inseriti gli ulteriori principi per cui la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione cir l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo, anche quindi limitandosi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio (ex multis Sez. 5, n. 43952 del 13 aprile 2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 6 n. 41365 del 28 ottobre 2010, COGNOME, rv 248737; Sez. 2, n. 3609 del 18 gennaio 2011, COGNOME e altri, Rv. 249163). Contrariamente a quanto eccepito dal ricorrente, la Corte territoriale non ha disatteso gli insegnamenti ricordati ed ha selezionato l’elemento ritenuto prevalente ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, individuandolo nel comportamento processuale degli imputati, che, non necessariamente, deve esprimere resipiscienza per poter costituire oggetto di positiva valutazione ai fini che qui interessano. Ne consegue che la motivazione sviluppata dai giudici di merito non è manifestamente illogica e risulta dunque insindacabile in questa sede, tanto più che gli appunti critici svolti con il ricorso in proposito si traducono definitiva in censure di mero fatto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il secondo motivo del ricorso è invece inammissibile. La Corte territoriale, contrariamente a quanto eccepito dal ricorrente, ha dato conto delle ragioni per cui ha ritenuto di riconoscere la continuazione tra i reati contestati al COGNOME NOME ed al COGNOME NOME e quelli oggetto delle pregresse condanne riportate dai medesimi, evidenziando come l’adesione dei succitati imputati al clan camorristico sia stato funzionale alla commissione di questi ultimi. Motivazione questa che in definitiva non è stata oggetto di contestazione, atteso che la sentenza ha applicato l’istituto non già in ragione dell’astratta qualificazione dei reati posti in continuazione come “satelliti dell’associazione mafiosa, bensì e per l’appunto della rilevata sussistenza di un identico
3 GLYPH
À
disegno criminoso, i cui presupposti fattuali non è dato sindacare in questa sede atteso il contenuto delle censure proposte.
Come accennato, altrettanto infondati sono i ricorsi del COGNOME e del COGNOME, le cui doglianze sono sostanzialmente identiche e possono dunque essere trattate unitariamente.
Come puntualizzato da Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245930: «Due sono […J le esigenze egualmente e simultaneamente tenute presenti dalla legislazione “premiale” e tra loro non confliggenti: da un lato, l’esigenza di contrastare e scompaginare le associazioni criminali che assegna alle tecniche premiali, segnatamente (ma non solo) alle consistenti diminuzioni di pena, una funzione di incentivazione della collaborazione quale strumento delle indagini; dall’altro, la non obliterazione del fatto di reato nella sua oggettiva gravità, la cui valutazione non può che essere, di volta in volta, rimessa, anche attraverso il giudizio di comparazione delle circostanze, al giudice. Come esigenze di giustizia sostanziale non possono consentire lassismo nel perseguimento e nella punizione di gravi fatti, che tali rimangono anche nei confronti dei “dissociati”, nonostante abbiano contribuito in modo determinante a disarticolare importanti organizzazioni criminose, così l’esigenza della lotta alla criminalità organizzata, specie di origine mafiosa, che rappresenta un obiettivo primario dello Stato, deve tradursi nel riconoscimento, in concreto, di un trattamento privilegiato a chi abbia fornito un contributo determinante in quella lotta. E, in vista appunto della necessità di coniugare queste esigenze, la notevole riduzione di pena stabilita per la dissociazione e, con la sua concessione, l’elisione automatica della circostanza aggravante di cui al più volte citato art. 7 del d.l. n. 152 del 1991 (ora art. 416 -bis.1 comma 1 c.p.) non possono far sì che il sistema penale perda di vista la specifica vicenda criminosa (la quale può avere connotati anche particolarmente gravi), senza il rischio che esso finisca per smentire se stesso, con ricadute sulla proporzionalità della pena alla gravità del reato, sull’effettività della sanzione e sull’osservanza della legge da parte della generalità dei consociati». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ed in accordo con tali rilievi la successiva giurisprudenza di legittimità ha negato che il riconoscimento della circostanza speciale della collaborazione implichi automaticamente anche quello delle attenuanti generiche, fondandosi queste ultime su presupposti differenti, riguardanti la valutazione globale della gravità del fatto e la capacità delinquere dell’imputato (ex multis Sez. 1, n. 7184 del 15/11/2022, dep. 2023, Prestieri, Rv. 284374).
In sintonia con tali principi la Corte territoriale non ha dunque discriminato la posizione dei due ricorrenti, limitandosi semplicemente a ritenere assorbito il loro comportamento
post delictum nella scelta collaborativa e dunque già valorizzato ai fini del riconoscimento dell’attenuante speciale. La motivazione della sentenza è dunque esente da vizi logici che ne compromettano la tenuta.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso del Procuratore Generale nonché i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME e condanna questi ultimi al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 28/2/2024