Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 33868 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 33868 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, nato in Albania il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 22-02-2023 della Corte di appello di Lecce; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO che ha concluso per il rigetto del ricorso. In subordine, ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata circoscritto alla concessione delle attenuanti generiche; udito l’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia del ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 28 febbraio 2018, il Tribunale di Lecce condannava NOME alla pena di anni 20 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato ex art. 74, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990 (capo A), commesso in San Cesario, Monteroni e in Provincia di Lecce fino all’estate del 1997, mentre gli altri reati ascritti all’imputato (art. 416 cod. pen. di cui al capo A e art. 73-80 dei d.P.R. n 309 del 1990 di cui ai capi B e C) venivano dichiarati estinti per prescrizione.
Con sentenza del 22 febbraio 2023, la Corte di appello di Lecce, in parziale riforma della decisione di primo grado, riduceva la pena ad anni 10 di reclusione, previa esclusione del ruolo direttivo e organizzativo attribuito all’imputato.
Avverso la sentenza della Corte di appello salentina, COGNOME, tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con cui la difesa ha articolato una pluralità di censure, dolendosi sia della mancata declaratoria di estinzione del reato associativo, essendo applicabile il più favorevole termine di prescrizione massima di 22 anni e 6 mesi in base alla disciplina anteriore alla legge n. 251 del 2005, sia della conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato, mancando la prova di un apprezzabile contributo del ricorrente al sodalizio criminoso, sia infine del diniego delle attenuanti generiche, che erano concedibili per l’incensuratezza dell’imputato, per la risalenza dei fatti addirittura al secolo scorso, per la tipologia della sostanza trafficata (solo marjuana) e per l’eliminazione del ruolo direttivo in capo a COGNOME.
Dopo essere stato originariamente assegnato alla Settima Sezione Penale, il ricorso veniva fissato dinanzi alla Terza Sezione Penale per l’odierna udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Le doglianze in punto di prescrizione e di responsabilità non sono fondate, mentre sono meritevoli accoglimento quelle sul diniego delle attenuanti generiche.
Iniziando per ragioni di priorità logica dalle censure in punto di responsabilità, occorre evidenziare che alcuna criticità è ravvisabile al riguardo.
Ed invero le due conformi sentenze di merito, le cui argomentazioni sono destinate a integrarsi per formare un apparato motivazionale unitario, hanno operato un’adeguata ricostruzione dei fatti di causa, avendo sia il Tribunale (pag. 5-13 della sentenza di primo grado) che la Corte di appello (pag. 5-6 della decisione impugnata) valorizzato le attività investigative della P.G. e le conversazioni intercettate, da cui è emerso che COGNOME era stabilmente inserito in un sodalizio dedito al traffico di stupefacenti, sodalizio la cui esistenza è risultata pacific anche perché accertata con separata pronuncia irrevocabile del Tribunale di Lecce.
In particolare, sono stati richiamati i dialoghi (come quelli del 19 marzo, del 20 marzo, del 25 marzo, del 29 marzo, del 17 aprile, del 22 aprile e del 13 maggio 1997, riportati a pag. 9-10 della sentenza di primo grado e ripresi dalla Corte di appello) che attestano non solo i rapporti tra NOME e i correi, come ad esempio NOME COGNOME e NOME, ma anche il pieno coinvolgimento nelle attività di spaccio dell’imputato, rivelatosi pronto a concordare i termini delle cessioni di droga, talora definita nei dialoghi captati o come “formaggio” o come “scarpe”, termine quest’ultimo peraltro espressamente riferito alla droga, come si desume chiaramente dall’intercettazione delle ore 15.58 del 12 aprile 1997.
Pur avendo riguardato un periodo di pochi mesi, tuttavia le conversazioni captate, per la loro pregnanza e continuità, hanno consentito di delineare nitidamente lo stabile inserimento di COGNOME nel sodalizio, dovendosi in tal senso richiamare l’affermazione di questa Corte (Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021, Rv. 282122), secondo cui, in tema di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione sodalizio, e in particolare dell’ “affectio” di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi, come è appunto avvenuto nella vicenda in esame, l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato. In proposito, peraltro, non può sottacersi che la Corte di appello ha derubricato la condotta dell’imputato da organizzatore a partecipe, rilevando che, pur avendo il ricorrente ricoperto stabilmente un ruolo attivo nelle varie cessioni dello stupefacente anche con persone non residenti in Provincia di Lecce, tuttavia non era da lui che partivano le direttive su prezzi e quantità delle forniture di droga. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.1. Orbene, al di là della differente qualificazione giuridica del ruolo di COGNOME, occorre evidenziare che alla ricostruzione operata dai giudici di merito, fondata su una disamina razionale del materiale probatorio acquisito, la difesa ha contrapposto nel ricorso, peraltro in termini non adeguatamente specifici, una lettura differente (e frammentaria) delle fonti dimostrative disponibili, operazione questa che non può tuttavia trovare ingresso in sede di legittimità, dovendosi al riguardo ribadire il principio elaborato da questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimit la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore Capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
Di qui l’infondatezza delle censure in punto di responsabilità.
La medesima conclusione si impone per l’eccezione di prescrizione.
Il reato (art. 74, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990) per cui è il ricorrente è stato condannato è infatti punito con la reclusione non inferiore a 10 anni, per cui, in assenza di un limite massimo, la pena su cui parametrare il computo della prescrizione è quella di 24 anni di reclusione. Ne consegue che la prescrizione massima deve computarsi in 30 anni, e ciò sia in base alla disciplina introdotta dalla legge n. 251 del 2005, in forza della quale al termine di 24 anni occorre aggiungere l’aumento di un quarto per gli atti interruttivi, sia alla stregua del regime vigente all’epoca del fatto, in applicazione del quale al termine ordinario di 20 anni occorre aggiungere l’aumento della metà, non essendo consentita, in tema di prescrizione, l’applicazione simultanea, in ragione della maggiore convenienza per l’imputato, delle differenti disposizioni di due diversi regimi normativi, come più volte precisato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 5; n. 26801 del 17/04/2014, Rv. 260228 e Sez. 5, n. 43343 del 05/10/2010, Rv. 248783).
Dunque, risultando la condotta contestata commessa sino all’estate 1997 (ossia al 21 giugno 1997, dovendosi fare riferimento, in un’ottica di favor rei, al primo giorno della stagione), il termine di prescrizione matura il 21 giugno 2027.
Il reato per cui è intervenuta la condanna non può dunque considerarsi prescritto.
È invece fondata la doglianza sul diniego delle attenuanti generiche.
E invero i giudici di appello, nel motivare la mancata applicazione dell’art. 62 bis cod. pen., si sono limitati a rimarcare l’insussistenza di elementi suscettibili d positivo apprezzamento, senza tuttavia confrontarsi con le deduzioni difensive volte a sottolineare la significativa risalenza nei tempo dei fatti, commessi oltre 25 anni fa, la condizione di incensurato di COGNOME, la qualità della droga spacciata (di tipo leggero) e il ridimensionamento del ruolo operativo del ricorrente, elementi questi che, sebbene non privi di connotazioni positive, sono stati tuttavia ignorati dalla Corte di appello e non neutralizzati da eventuali aspetti di segno contrario.
Stante la ravvisata lacuna argomentativa rispetto al tema devoluto dalla difesa, si impone pertanto l’annullamento della decisione impugnata in parte qua, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce, occorrendo un adeguato approfondimento in sede di merito in ordine alla verifica dei presupposti per la concessione delle attenuanti generiche, dovendosi a tale fine tenere conto delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall’interessato (cfr. in tal senso Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, dep. 2022, Rv. 282693).
Il ricorso deve essere invece disatteso nel resto.
4
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente GLYPH giudizio sulla riconoscibilità delle circostanze attenuanti generiche, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezio della Corte di appello di Lecce. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 04.06.2024