Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33146 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33146 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: Procuratore Generale presso Corte d’appello di Catanzaro nonché da COGNOME NOME nato a Cosenza il 3/03/1988 nel procedimento a carico di quest’ultimo
avverso la sentenza del 3/10/2024 della Corte d’assise d’appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso dell’imputato e la declaratoria di inammissibilità del ricorso della parte pubblica; ha concluso chiedendo l’annullamento della
per la difesa, l ‘ Avv. C. COGNOME sentenza e l’Avv. P. COGNOME ha concluso chiedendo l ‘ accoglimento dei motivi
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di assise di appello di Catanzaro ha riformato la pronuncia del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale in sede, emessa in data 2 febbraio 2023, nei confronti di NOME COGNOME con rideterminazione della pena irrogata all’imputato , previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, in quella di venti anni di reclusione e conferma nel resto.
1.1. Il primo giudice aveva condannato l’imputato, all’esito di rito abbreviato, alla pena dell’ergastolo oltre a pene accessorie di legge, con la libertà vigilata per la durata di anni tre, in relazione ai reati di cui ai capi di imputazione n. 8, 9 e 10 relativi al concorso nell’omicidio pluriaggravato di NOME COGNOME, avvenuto in data 3 gennaio 2012, in località feudo del Comune di Castrolibero, all’occultamento del cadavere della vittima, al porto delle armi usate per l’esecuzione materiale dell’omicidio avvenuta per mano di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Si tratta di fatto contestato come posto in essere per motivi ritenuti collegati agli equilibri esistenti tra cosche mafiose e per il timore che la vittima potesse decidere di collaborare con la giustizia, con la contestazione delle circostanze aggravanti della premeditazione e quella speciale di cui all’art. 7 della legge n. 203 del 1991, al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa di riferimento.
I giudici di merito inseriscono l’omicidio nella lotta tra clan (COGNOME di Cosenza e Rango) operanti nella stessa zona e precisano che COGNOME era già stato condannato per partecipazione ad associazione mafiosa, con sentenza della Corte di assise di appello di Catanzaro n. 16 del 2017.
Le prove utilizzate hanno acclarato la responsabilità dell’imputato, secondo i giudici di merito; in particolare, si fa riferimento alle dichiarazioni di coloro che hanno preso parte al delitto quali NOME COGNOME nella veste di mandante, nonché degli esecutori materiali, COGNOME e COGNOME nonché a quelle di altri collaboratori di giustizia quali NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, affermazioni reputate convergenti tra loro e collimanti con quelle rese dai concorrenti nel delitto.
Tutti i collaboratori hanno riferito, senza incertezze secondo le sentenze di merito, circa la presenza di NOME COGNOME sul luogo dell’omicidio nonché in ordine al ruolo da questi rivestito nella fase immediatamente successiva all ‘ esecuzione, cioè quella dell’occultamento del cadavere della vittima uccisa dagli esecutori materiali con l’uso di una pistola calibro 7,65 e una pistola calibro 38, a seguito di azione attuata da un commando che aveva dettagliatamente programmato tutte le fasi del delitto.
Inoltre, sono state valorizzate le dichiarazioni di NOME COGNOME il quale ha riferito di aver incontrato l’imputato, qualche giorno dopo la scomparsa della vittima, e, in quella circostanza, di aver sentito dall’imputato medesimo la frase ‘abbiamo fatto un porco’, espressione tipica mafiosa per indicare che un soggetto
è considerato un nemico da eliminare perché pericoloso per gli equilibri delle cosche, reputando il contenuto della frase di significato confessorio rispetto all’omicidio.
1.2. La Corte territoriale, accogliendo parzialmente il gravame dell’imputato, gli ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alle circostanze aggravanti ordinarie, stante la posizione defilata nella fase della deliberazione, in quanto la decisione di eliminare la vittima era stata presa da Bruzzese e Rango e il fatto era stato commesso dai due esecutori materiali senza la partecipazione attiva all’eliminazione della vittima da parte del ricorrente.
Ricorre, avverso la descritta sentenza, il Sostituto Procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro, affidando il ricorso a due motivi, di seguito riassunti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen .
2.1. Con il primo motivo si denuncia erronea applicazione degli artt. 62bis e 69 cod. pen.
2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione.
La sentenza ha ricostruito le fasi dell ‘ ideazione, organizzazione ed esecuzione dell’omicidio, inserendo l’eliminazione della vittima nella lotta tra cosche mafiose, per il timore che COGNOME potesse decidere di collaborare con la giustizia, fatti ricostruiti grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
La concessione delle circostanze attenuanti, per il ricorrente, sarebbe in contrasto con la motivazione della sentenza di primo grado circa l ‘ estrema riprovevolezza e gravità dei fatti ascritti all’imputato e, comunque, non sarebbe stata giustificata da congrua motivazione.
Peraltro, queste, nel giudizio di bilanciamento, andavano ritenute minusvalenti rispetto alle circostanze aggravanti concorrenti.
Si richiama sul punto la sentenza della Corte di assise di appello di Catanzaro, del 18 dicembre 2017, divenuta definitiva il 17 aprile 2019, che ha concesso le circostanze attenuanti generiche ma le circostanze aggravanti sono state ritenute prevalenti rispetto alle circostanze generiche. Si tratta della sentenza che è stata emessa all’interno dello stesso procedimento e che ha visto l’omessa pronuncia, da parte del Giudice di primo grado in sede di giudizio abbreviato, con riferimento ai capi di imputazione 8, 9 e 10 ascritti a NOME COGNOME oggetto del presente giudizio.
Sicché la Corte avrebbe dovuto spiegare come mai tale sentenza, emessa nello stesso procedimento, è addivenuta ad un giudizio di bilanciamento diverso.
Peraltro, all’interno della sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, del 6 aprile 2016, richiamata nella sentenza impugnata si fa riferimento al ruolo di rilievo svolto dall’imputato nel sodalizio mafioso e alla fortissima carica criminogena espressa dal sodalizio medesimo. Inoltre, la sentenza impugnata omette di motivare circa la biografia penale dell’imputato, già ritenuto appartenente ad associazione di stampo ‘ ndranghetistico, oltre a non considerare gli ulteriori gravi precedenti penali anche in materia di detenzione illecita di stupefacenti e di associazione finalizzata al narcotraffico.
L’imputato per il tramite del difensore, avv. P. COGNOME ha proposto tempestivo ricorso affidandosi a tre motivi di seguito riassunti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 442, 597, comma 3, cod. proc. pen., 649 cod. proc. pen. 185 disp. att. cod. proc. pen., 3, 111, 24 Cost.
Come già eccepito davanti al giudice di primo grado e con l’atto di appello, la sentenza è nulla per violazione del divieto di bis in idem e di reformatio in peius .
L’imputato, nel procedimento n. 484 del 2013, è stato condannato con sentenza del 6 aprile 2016, in sede di giudizio abbreviato, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, alla pena di anni sedici di reclusione per tutti i reati contestati, compresi quelli di cui ai capi 8, 9 e 10 relativi all’omicidio COGNOME.
La Corte di assise di appello di Catanzaro, con sentenza del 18 dicembre 2017, ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado per omessa motivazione con riferimento ai tre capi di imputazione oggi in esame.
In primo luogo, si eccepisce la violazione del divieto di bis in idem .
Il primo giudice, infatti, aveva condannato l’imputato per tutti i reati ascrittigli e il Pubblico ministero aveva chiesto la condanna per tutti i reati di cui ai capi di imputazione, evidentemente compresi quelli relativi all’omicidio COGNOME.
A tale eccezione non ha dato risposta né il Giudice né la Corte d’assise d’a ppello che, anzi, l’ha dichiarata improponibile.
La difesa osserva, sul punto, che il Pubblico ministero non ha proposto appello avverso la sentenza del 6 aprile 2016, quanto all ‘ omessa pronuncia sui tre capi di imputazione di cui si discute e, quindi, la Corte di assise di appello, con la pronuncia del 18 dicembre 2017, nel rimettere gli atti al giudice, ha violato il divieto di reformatio in peius e del bis in idem.
Il Giudice per le indagini preliminari, in sede di rinvio da parte della Corte di assise di appello, con la prima sentenza, ha omesso ogni valutazione sul punto.
Tuttavia, la difesa ha eccepito che, comunque, il Pubblico ministero non aveva proposto appello avverso la prima sentenza e che questo aveva comportato la formazione del giudicato interno, quanto meno rispetto alla pena di anni sedici di reclusione riguardante, per quanto sin qui esposto, anche il reato di omicidio.
In ogni caso, il giudice avrebbe soltanto potuto rimodulare la pena con il limite del trattamento sanzionatorio di anni sedici di reclusione, perché non è pena illegale ma comunque non emendabile in assenza di appello della parte pubblica.
La Corte di assise di appello ha ritenuto che queste eccezioni avrebbero dovuto essere proposte avverso la sentenza della Corte di assise di appello del 18 dicembre 2017. La difesa, invece, deduce che effettivamente le eccezioni sono state sollevate nelle forme e nei modi previsti dal codice di rito. Infine, alcuna osservazione viene svolta con riferimento alla sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro nel procedimento n. 1113 del 2017 dove Sottile viene considerato come coimputato già giudicato per tutti i reati ascrittigli (cioè, anche per l’omicidio COGNOME).
In definitiva, la difesa assume che la regressione, operata per effetto della sentenza della Corte di assise di appello del 2017, doveva riguardare al più soltanto la motivazione del Giudice, ma questi non poteva intervenire sull ‘ entità della pena. Anzi, il procedimento doveva ripartire dallo stato in cui si trovava al momento in cui si era prodotta la nullità, cioè dalla camera di consiglio in cui si era decisa la pena di anni sedici di reclusione per tutti i reati contestati, senza motivare, poi, sui capi 8, 9, 10.
Peraltro, nell’ambito del nuovo processo abbreviato, sono state introdotte agli atti anche le dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia (COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME) così integrando una nuova piattaforma probatoria, non presente agli atti del primo giudizio abbreviato, rito scelto dalla
difesa proprio perché erano presenti soltanto le dichiarazioni dei collaboratori NOME ed NOME COGNOME.
La declaratoria di nullità e l’indebita regressione del procedimento ha reso impossibile alla difesa recedere dal rito abbreviato, ormai arricchito da nuova piattaforma probatoria, in violazione degli artt. 3, 24, 111 Cost. nonché art. 442 cod. proc. pen.
L’art. 185 disp. att. cod. proc. pen., invece, prevede espressamente che in caso di regressione del procedimento, questo riprenda dallo stato in cui si trova, al momento della verificata causa di nullità.
3.2. Con il secondo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 575, 577 cod. pen., 192, comma 2 e 3, cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
La motivazione è contraddittoria in relazione alla valutazione del dichiarato dei collaboratori di giustizia.
La difesa aveva sollevato, con i motivi di appello, una deduzione relativa alla circolarità della prova dichiarativa resa dai collaboratori di giustizia e si era rilevato che le dichiarazioni di COGNOME e COGNOME non sono univoche e collimanti.
La Corte territoriale introduce nella motivazione stralci delle dichiarazioni rese dai due collaboratori, nel corso degli interrogatori resi, ma omette di valutare le dichiarazioni dei medesimi nelle parti sottolineate dalla difesa con l’atto di appello.
In particolare, le due dichiarazioni divergerebbero rispetto al contenuto degli incontri preparatori dell’omicidio. Secondo COGNOME, al primo incontro del 22 luglio 2011, avrebbero partecipato più soggetti mentre COGNOME fa altri nominativi, comunque, concordando sul fatto che, in quell’occasione, non era stata presa la decisione omicidiaria.
COGNOME risulta assente anche al primo incontro, secondo le dichiarazioni di COGNOME e, comunque, si segnala che anche in altro procedimento, sulla base delle dichiarazioni di COGNOME, si era giunti all’assoluzione dei due imputati, rilevando che COGNOME, ogni volta che aveva deposto sull’omicidio in esame aveva reso versioni diverse.
L’eliminazione di COGNOME è una decisione di Bruzzese, come dallo stesso dichiarato nell’altro procedimento definito con la sentenza COGNOME +1, procedimento al quale non ha partecipato Sottile.
Quindi, si contesta la declaratoria di attendibilità delle dichiarazioni di COGNOME e COGNOME alle quali la Corte territoriale aderisce senza valutare che nell’altro procedimento i due imputati sono stati assolti perché i due collaboratori in esame sono stati considerati discordanti e divergenti.
Si richiamano i principi generali sanciti dalla Corte di cassazione in tema di chiamate in correità, ove si indica come necessaria la precisione, la coerenza e la completezza delle dichiarazioni dei collaboratori, requisiti non presenti nella specie.
Peraltro, la stessa Corte territoriale, per il ricorrente, si esprime in termini dubitativi circa la presenza di COGNOME anche ad altri incontri nei quali si decideva l’omicidio della vittima. Anzi, i due collaboratori parlano di tante riunioni ma in nessuna di queste viene menzionata la presenza di COGNOME, né si comprende se in queste riunioni fosse stato individuato colui che aveva il compito di occultare il cadavere. Dunque, le dichiarazioni di COGNOME di cui alla sentenza della Corte di assise d’appello di Catanzaro, nel processo a carico di COGNOME smentirebbero COGNOME.
La difesa sostiene che la mancata presenza dell’imputato agli incontri decisivi per l’organizzazione dell’omicidio e la sua partecipazione, resta comunque costellata da incertezze.
Inoltre, si segnala che la previsione di cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. pretende che vi siano altri elementi di prova a conferma dell’attendibilità dei dichiaranti. Nel caso in esame mancano i riscontri alla presenza di Sottile e la Corte territoriale non valuta il rilievo difensivo mosso nella impugnazione. La stessa dinamica dell’occultamento del cadavere non è spiegata dai due dichiaranti in maniera precisa quanto ai compiti modalità e tempistiche. Anzi le dichiarazioni dei collaboratori sono generiche, non conferenti e pregnanti rispetto alla presunta condotta concorrente di partecipazione all’omicidio.
3.3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 7 legge n. 203 del 1991.
Nella determinazione della pena, si è applicato l’aumento di un terzo per la circostanza aggravante ad effetto speciale, ma il fatto è in astratto punibile con l’ergastolo, quindi , la circostanza aggravante non va applicata, per effetto dell’art. 7, comma 1, legge n. 203 del 1991, applicabile ratione temporis, trattandosi di omicidio commesso nel 2012.
3.4. I difensori, Avv. COGNOME e COGNOME hanno fatto pervenire motivi nuovi con p. e. c. del 18 aprile 2025.
Si evidenzia che il ricorso del Pubblico ministero fonda su elementi di fatto che imporrebbero un giudizio di merito non ammissibile in sede di legittimità per costante giurisprudenza.
Formalmente, quindi, il ricorso fonda su violazione di legge, ma in sostanza si prospettano censure che riguardano la ricostruzione dei fatti o la diversa valutazione delle circostanze svolta in sede di merito.
Il giudice di secondo grado ha motivato la decisione di concedere le circostanze attenuanti generiche in virtù di una differenziazione di responsabilità rispetto ai concorrenti nel reato che hanno deliberato l’omicidio e che hanno materialmente eseguito l’azione. Di conseguenza, aderire alla critica implicherebbe un giudizio di merito non consentito.
In ogni caso il ricorso del Pubblico ministero è manifestamente infondato perché non si spiega in quale modo si sarebbe verificata la violazione di legge. Circa la mancanza dei presupposti per la concessione delle circostanze attenuanti lo stesso Ufficio di Procura riporta, quale incipit del ricorso, il passaggio che giustifica la concessione del beneficio sicché non è neanche dedotta l’assenza di motivazione.
La difesa ha chiesto ed ottenuto l’autorizzazione a procedere alla trattazione dei ricorsi in pubblica udienza partecipata. All’odierna udienza, all’esito della discussione delle parti presenti, queste hanno concluso nel senso riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso della parte pubblica è inammissibile.
1.1. Il primo motivo è inammissibile.
Va precisato che, con il primo motivo di ricorso, ad onta dell ‘ intestazione, non si contesta violazione di legge quanto, piuttosto, la scelta di merito di concedere il beneficio a un concorrente nel reato soltanto per il ruolo assunto nell ‘ omicidio, ritenuto meno grave, in sede di merito, rispetto a quello rivestito dai concorrenti.
La deduzione non è consentita in questa sede, posto che l ‘ opzione di concedere il beneficio e l ‘ operato bilanciamento nel senso dell ‘ equivalenza, in quanto scelta discrezionale, risulta debitamente motivata dal giudice di merito.
Invero, per la costante giurisprudenza di questa Corte, la concessione o meno delle attenuanti generiche è un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice il quale deve motivare la scelta nei soli limiti atti a far emergere, in misura sufficiente, la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità dell ‘ agente (Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, Rv. 248737 -01; Sez. 1, n. 46954 del 04/11/2004, P.G. in proc. Palmisano, Rv. 230591 -01).
Tali attenuanti, infatti, non vanno intese come oggetto di una benevola concessione da parte del giudice, né l’applicazione di esse costituisce un diritto in assenza di elementi negativi, ma la loro concessione deve avvenire come riconoscimento dell ‘ esistenza di elementi di segno positivo, suscettibili di positivo apprezzamento.
La peculiarità delle circostanze attenuanti generiche risiede, dunque, nel fatto che le stesse costituiscono un mezzo liberamente affidato al giudice per meglio adeguare la pena al caso concreto, in base ad una valutazione che sfugge a una casistica predeterminata, con la conseguenza che il corretto parametro, tanto per determinare la misura della pena, quanto per operare un ‘ ulteriore diminuzione della stessa, va ricercato nei criteri direttivi delineati nell’art. 133 cod. pen.
Nella specie, la Corte territoriale, in linea con l ‘ illustrato indirizzo interpretativo, ha spiegato le ragioni per le quali ha reputato l ‘ imputato meritevole delle invocate attenuanti, con considerazioni ampiamente giustificative che le censure del ricorrente attaccano con argomenti di merito, non consentiti nella presente sede. Né la gravità intrinseca del fatto impedisce ogni valutazione del ruolo assunto dal singolo concorrente nel reato, ai fini della concessione del beneficio in parola.
Invero, anche in relazione a fatti reato di elevata gravità, è possibile giustificare, a condizioni esatte, un ‘ ulteriore riduzione della pena rispetto alla misura che si dovrebbe infliggere alla stregua degli ordinari canoni di valutazione della fattispecie (Sez. 3, n. n. 40322 del 23/06/2016, M., Rv. 268276 -01, in motivazione).
Peraltro, le circostanze attenuanti generiche ben possono essere concesse per un imputato e negate per il concorrente nello stesso reato, senza che sussista necessariamente contraddittorietà della motivazione. Alla diversità dei giudizi, infatti, deve corrispondere una diversa valutazione della gravità dei fatti rispettivamente contestati e della relativa capacità a delinquere denotata dagli imputati e di ciò il giudice del merito ha fornito, nella specie, logica e adeguata motivazione (Sez. 3, n. n. 40322 del 23/06/2016, M., Rv. cit., in motivazione).
1.2. Il secondo motivo è inammissibile.
Le circostanze attenuanti generiche e l ‘ operato giudizio di bilanciamento trovano adeguata e lineare giustificazione, reputando significativo il ruolo assunto dall’imputato . Si tratta di ruolo ritenuto, con giudizio di merito immune da illogicità manifesta, dunque non rivedibile nella presente sede, meno grave rispetto a quello degli altri concorrenti nel reato che lo hanno anche deliberato o materialmente eseguito. Tanto, evidentemente, considerando ai fini sanzionatori recessivo il profilo dell ‘ esistenza, a carico di COGNOME, di precedenti penali anche per appartenenza ad associazione di stampo ‘ ndranghetistico, in materia di detenzione illecita di stupefacenti e di associazione finalizzata al narcotraffico.
Peraltro, la contraddittorietà che si denuncia, pur se interna allo stesso procedimento, non è relativa al provvedimento impugnato, ma riguarda una diversa sentenza di primo grado, quella resa dal Giudice per le indagini preliminari in data 6 aprile 2016, con la quale non si è provveduto sui tre capi di imputazione che sono sottoposti, nel presente giudizio, al vaglio di questa Corte.
Invero, il vizio di motivazione per contraddittorietà consiste in un insanabile contrasto, per difformità di valutazione, di uno stesso e rilevante punto di fatto, in plurimi momenti del suo apprezzamento dell’ambito della motivazione della sentenza. La contraddittorietà della motivazione, quindi, deve essere interna alla motivazione della stessa sentenza, non esterna. Ne deriva, pertanto, che non sussiste vizio di motivazione, per contraddittorietà, fra sentenze che valutino in modo diverso uno stesso fatto, giacché ciò è naturale conseguenza della libertà di apprezzamento e di giudizio di ogni organo giurisdizionale, il quale, comunque, è tenuto a spiegare le ragioni di ogni suo provvedimento attraverso la motivazione, deputata a esternare il suo fondamento in maniera autonoma e indipendente, come avvenuto nel caso in valutazione (cfr. Sez. 3, n. 13678 del 20/01/2022, Rv. 283034 -01; Sez. 1,
n. 11484 del 24/03/1986, COGNOME, Rv. 174057 -01, entrambe in tema di sentenze emesse in diverso grado di giudizio).
Il ricorso di NOME COGNOME è infondato.
2.1. Il primo motivo è infondato.
2.1.1. L’imputato, nel procedimento n. 484 del 2013, è stato condannato con sentenza del 6 aprile 2016, in sede di giudizio abbreviato, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, alla pena di anni sedici di reclusione.
La Corte di assise di appello di Catanzaro, con sentenza del 18 dicembre 2017, ha dichiarato la nullità parziale della sentenza di primo grado per omessa statuizione relativamente ai tre capi di imputazione in esame nel presente giudizio.
Tale pronuncia ha, in primo luogo, verificato, sulla base della formulazione testuale della rubrica, tanto in base alla richiesta di rinvio a giudizio, quanto al contenuto del decreto che dispone il giudizio, che Sottile andava considerato imputato nel procedimento anche dei reati di cui ai tre capi di imputazione in questione, nonostante il fatto che, nell’ incipit di alcuni di questi, fosse riportato soltanto il nome di NOME COGNOME e di NOME COGNOME oltre alla citazione dei coimputati COGNOME e COGNOME giudicati in separato processo (cfr. p. 88 della sentenza del 18 dicembre 2017).
In secondo luogo, la pronuncia in questione ha chiarito che la sentenza di primo grado aveva diversamente interpretato la rubrica reputando escluso il Sottile dalle imputazioni dei reati relativi all’omicidio COGNOME (cfr. p. 776 della sentenza del 6 aprile 2016). Sicché la Corte territoriale ha ricavato l’omessa statuizione di primo grado sui capi 8, 9 e 10, con conseguente declaratoria di nullità parziale della sentenza e restituzione degli atti al primo giudice, per celebrare il relativo giudizio.
Dunque, si osserva che l ‘ eccezione di violazione del divieto di bis in idem andava dedotta nel giudizio di legittimità avverso la citata sentenza di appello.
Invece, la pronuncia di questa Corte (Sez. 6, n. 38061 -2019 del 1/04/2019, v. p. 19 e ss.) che ha deciso l ‘ impugnazione avverso la sentenza del 18 dicembre 2017 citata, rende conto, nel ‘ ritenuto in fatto ‘ , nell ‘ incontestata sintesi dei motivi di impugnazione, che la difesa di COGNOME ha proposto quattro motivi di ricorso relativi solo ai reati per i quali vi è stata, in sede di merito, condanna nei confronti
dell ‘ imputato, nulla deducendo quanto alla declaratoria di nullità della sentenza di primo grado.
La nullità parziale riscontrata dalla Corte di appello del 2017, non è stata oggetto, dunque, di alcuna eccezione devoluta in sede di legittimità avverso quella pronuncia e, dunque, la declaratoria di nullità parziale cui è pervenuta, in quella sede, la Corte territoriale, è senz’altro irrevocabile, come nota la sentenza impugnata (cfr. p. 9).
La prima sentenza di secondo grado, in definitiva, avendo diversamente interpretato la rubrica rispetto al primo giudice, è una pronuncia che ha preso atto dell ‘ omessa statuizione, da parte del Giudice di primo grado, in ordine ai tre capi di imputazione indicati e, di conseguenza, ha dichiarato la nullità parziale della sentenza, con conseguente regressione del procedimento e trasmissione degli atti al Giudice per le indagini preliminari per il giudizio relativo ai capi 8, 9 e 10.
Dunque, la disposta regressione, per effetto della declaratoria di nullità, ha fatto retroagire il procedimento al momento della celebrazione del giudizio sui tre capi di imputazione in questione, con statuizione che è senz ‘ altro più favorevole per l ‘ imputato, posto che questi ha potuto prendere parte e ha potuto spiegare pienamente le proprie difese nel celebrato rito speciale in relazione ai tre capi di imputazione citati.
La soluzione adottata dalla Corte territoriale qui censurata, invero, appare in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale deve escludersi, per principio generale, che il giudice di appello possa decidere nel merito in ordine a un reato per il quale il giudice di primo grado abbia omesso di pronunciare.
In tale caso, invece, spetta alla Corte territoriale rilevare, anche d ‘ ufficio, la nullità parziale della sentenza impugnata in relazione ai capi di imputazione su cui è mancata la pronuncia e disporre la restituzione degli atti al primo giudice, onde procedere alla decisione nel merito sugli altri capi. Invero, la parziale omissione di pronuncia produce la nullità della sentenza, rilevabile anche di ufficio, limitatamente ai capi di imputazione formalmente contestati e non decisi, con conseguente necessità di un completo giudizio sugli stessi, pur senza incidere, stante l’autonomia delle singole statuizioni, sulla validità della sentenza relativamente agli altri capi per i quali vi è stata pronuncia (Sez. 2, n. 9534 del 13/02/2008, Rv. 239549 -01; Sez. 6, n. 3962 del 19/01/1996, Rv. 204648 -01).
Tale impostazione, invero, tiene in debito conto che il giudice di appello non può sostituirsi al primo giudice, salve le eccezioni tassativamente previste, fra cui quella specifica enunciata nel comma 5 dell ‘ art. 597 e quella generale di cui all’art. 129 cod. proc. pen., con riguardo ai capi e ai punti impugnati. Ne consegue che il giudice di appello non può decidere in ordine ad un reato su cui il giudice di primo grado abbia omesso di pronunciare, ma deve rilevare anche di ufficio la nullità di cui all’art. 546, comma 3, cod. proc. pen. e rimettere gli atti al giudice di primo grado per il giudizio.
2.1.2. Non ricorre, alla stregua di quanto sin qui esposto, nemmeno la lamentata violazione del divieto di reformatio in peius per mancata impugnazione della parte pubblica della pronuncia del 6 aprile 2016 quanto al trattamento sanzionatorio irrogato dalla sentenza di primo grado pari ad anni sedici di reclusione.
La difesa ha eccepito che, comunque, il Pubblico ministero non aveva proposto appello avverso la prima sentenza e che questo aveva comportato la formazione del giudicato interno, quanto meno rispetto all ‘entità della pena irrogata, di anni sedici di reclusione, riguardante tutti i reati contestati a COGNOME, quindi anche i reati concernenti l ‘ omicidio COGNOME.
Tuttavia, si osserva che, per lo stesso Giudice per le indagini preliminari, la pena irrogata era senz ‘ altro relativa a tutti i capi di imputazione per i quali era stata pronunciata condanna, ad esclusione di quelli sub capi 8, 9, 10, reati che, secondo quell ‘ Autorità giudiziaria, non sono stati ritenuti contestati a COGNOME nel procedimento definito con la sentenza di primo grado.
Tale eccezione, peraltro, non risulta proposta avverso la prima sentenza di appello e, comunque, riguarda l ‘ entità di una pena (anni sedici di reclusione) che, diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, non è stata considerata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro nel procedimento n. 1113 del 2017 come relativa anche ai reati di cui ai capi 8, 9 e 10, riguardanti l ‘ omicidio oggetto del presente giudizio.
In ogni caso, si osserva che la Corte territoriale ha dichiarato la nullità parziale della pronuncia, quindi, non vi è formazione di giudicato sul punto annullato.
Inoltre, si rileva che il vizio riconosciuto dalla Corte territoriale attiene non già alla sentenza in sé, come provvedimento decisorio, ma al giudizio che, benché
disposto anche per i capi 8, 9 e 10, non era stato celebrato in primo grado, anche in relazione a queste imputazioni.
La critica relativa all ‘ utilizzo, a fini decisori, di prove dichiarative formatesi dopo la richiesta di giudizio abbreviato (dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME, COGNOME, COGNOME) non è specifica perché la censura non precisa, rispetto alle prove indicate, quali siano state decisive ai fini di giungere al giudizio di responsabilità dell ‘ imputato. Né si specifica quando sarebbero intervenute le dichiarazioni citate e quando queste sono state inserite nel fascicolo del rito abbreviato (v. p. 11 della sentenza impugnata ove viene indicato che le prove dichiarative sono state legittimamente acquisite ai sensi dell’art 442 del codice di rito, nonché p. 2 della sentenza dove si rende conto della produzione documentale del Pubblico ministero relativa soltanto ai verbali di dichiarazioni dei collaboratori COGNOME e NOME COGNOME).
2.2. Il secondo motivo è inammissibile.
Il ricorrente non svolge la cd. prova di resistenza. Invero, le fonti a carico considerate in sede di merito non sono solo rappresentate dalle dichiarazioni dei collaboratori COGNOME e COGNOME. Dunque, il ricorrente avrebbe dovuto specificare, all ‘ esito dell ‘ esame delle residue fonti di prova, se queste siano state o meno sufficienti a giustificare il medesimo epilogo decisorio.
Infatti, anche se, come dedotto, le dichiarazioni dei due collaboratori fossero inattendibili, come riscontrato in altro giudizio, comunque non si tratta delle uniche fonti di accusa a carico utilizzate nella sentenza impugnata. Né si confronta il ricorrente, espunte queste fonti di prova, con la valenza probatoria delle residue dichiarazioni eteroaccusatorie.
Invero, è noto che, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta prova di resistenza, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 – dep. 2017, La Gumina, Rv. 26921801; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014 – dep. 2015, Calabrese, Rv. 26201101; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, COGNOME, Rv. 25945201)
Inoltre, il motivo è reiterativo dell’appello al quale la Corte territoriale risponde (v. p. 11 e ss.) in modo compiuto ed esente da illogicità manifesta.
Peraltro, il ruolo svolto da COGNOME, come riconosciuto con la pronuncia impugnata, non è quello di aver partecipato all’organizzazione dell’omicidio ; anzi proprio la sua assenza alla fase preparatoria viene valutata dalla Corte di assise di appello per concedere le circostanze attenuanti generiche. Quindi, risulta non decisivo il rilievo circa il dubbio e l ‘ imprecisione del narrato dei due collaboratori in ordine alla presenza o meno di COGNOME agli incontri preparatori dell’agguato.
La sentenza di secondo grado -v. p. 12 -valorizza il fatto che sulla base delle dichiarazioni di COGNOME, COGNOME, COGNOME, erano stati condannati altri partecipi all’omicidio, tra cui NOME COGNOME con lo stesso ruolo di COGNOME.
In ogni caso, deve rilevarsi che il Collegio aderisce al l’insegnamento di questa Corte di legittimità secondo il quale (tra le altre, Sez. 1, n. 8799 del 23/01/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276166) il giudizio di credibilità del dichiarante e di attendibilità delle dichiarazioni deve essere l’esito di una motivata valutazione autonoma del giudicante e non può essere soddisfatto dal mero rinvio a quanto avvenuto in separati procedimenti che si risolva in un acritico recepimento di valutazioni operate da altri giudicanti.
Infine, si osserva che la questione della carenza di riscontri è genericamente posta e non si confronta con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale riscontri esterni della chiamata in correità possono essere ricavati anche da una pluralità di chiamate convergenti; il requisito della convergenza, tuttavia, non va inteso come piena sovrapponibilità delle diverse chiamate (che sarebbe, oltretutto, sospetta), ma come concordanza dei nuclei essenziali delle dichiarazioni, in relazione al thema decidendum, dovendo piuttosto il giudice verificare che tale consonanza non sia frutto di condizionamenti, collusioni e reciproche influenze che, nel caso al vaglio, non risultano nemmeno illustrate (Sez. 1, . 17370 del 12/09/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286327 -01; Sez. 5, n. 9001 del 15/06/2000, COGNOME, Rv. 217729 -01).
2.3. Il terzo motivo è inammissibile perché si svolge una deduzione che non è stata devoluta con il gravame (cfr. p. 3 e ss. della sentenza di secondo grado dove viene svolta la sintesi dei motivi di appello).
Invero, secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, Costa, Rv. 269632; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017,
COGNOME, Rv. 270316; Sez. 5,n. 48416 del 06/10/2014, Dudaev, Rv. 261029; Sez. 2, n. 22362 del 19/04/2013, COGNOME, Rv. 255940) non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione.
2.4. I motivi nuovi proposti dalla difesa, con memoria depositata in data 18 aprile 2025, sono in sostanza diretti a replicare al ricorso del Pubblico ministero e, dunque, l ‘ esame di questi resta assorbito vista la pronuncia di inammissibilità del ricorso della parte pubblica.
Segue la declaratoria di inammissibilità del ricorso della parte pubblica, senza condanna alle spese (cfr. nel senso che al rigetto a all ‘ inammissibilità del ricorso non consegue la condanna al pagamento delle spese processuali, Sez. U, n. 3775 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271650, trattandosi di parte pubblica).
Segue altresì, il rigetto del ricorso di Sottile e la condanna alle spese processuali ex art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro. Rigetta il ricorso di NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 20 giugno 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME