Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 17099 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 17099 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 25/06/1997
avverso la sentenza del 16/09/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME
considerato che il primo motivo di ricorso, con cui si contesta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per i reati di rapina aggravata e lesioni aggravate ascritti all’odierno ricorrente, è formulato in termini non consentiti in questa sede per un duplice ordine di motivi: in primis, perché volto a sollecitare un sindacato precluso a questa Corte, contestando una decisione erronea, perché fondata su una valutazione asseritamente errata del materiale probatorio posto a base del decisum; e, in secundis, perché riproduttivo di profili di censura già prospettati con l’atto di appello e già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti logici e giuridici dalla Corte territoriale dovendosi gli stessi considerare non specifici ma solamente apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che, infatti, come emerge dalle pagg. 8-9 della impugnata sentenza, i giudici di appello, con una incensurabile motivazione, condividendo integralmente la decisione del giudice di primo grado, hanno affermato la penale responsabilità del ricorrente sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, neppure costituitasi parte civile, sottolineandone la linearità e la piena attendibilità, in piena aderenza ai principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tal caso non è richiesta l’osservanza delle regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.;
osservato che il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rifiutato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in favore dell’odierno ricorrente, è manifestamente infondato, a fronte della congrua motivazione (si veda pag. 10 della impugnata sentenza) posta dai giudici di appello a base del diniego, in conformità all’orientamento di questa Corte, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione, potendo tra l’alt legittimamente giustificare la mancata applicazione di tali diminuenti anche con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610);
ritenuto che il terzo motivo di ricorso sull’omessa applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 4, cod. pen. , formulato in termini del tutto privi
di concreta specificità e pertinenza censoria (si veda pag. 10 della impugnata sentenza sull’assenza di ogni qualsivoglia indicazione apportata dalla difesa in
ordine al valore economico del telefono cellulare e al contenuto del portafogli sottratti alla vittima) risulta, in ogni caso, non consentito dalla legge in questa
sede, per essere stato dedotto per la prima volta dinanzi a questa Corte, non avendo rappresentato oggetto di specifico e autonomo motivo di appello – come
sottolineato dalla Corte territoriale stessa (cfr. la già richiamata pag. 10) – con
conseguente inammissibile interruzione della catena devolutiva;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 18 marzo 2025.