Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23180 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23180 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME (CUI 02RZAFN) nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/11/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo violazione di legge e/o vizio motivazionale in relazione al mancato contenimento della pena nel minimo edittale e a! diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
2.1. Gli stessi, in particolare, non sono consentiti dalla legge in sede di legit timità perché afferiscono al trattamento punitivo benché sorretto da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive e il ricorso, in particolare, non si confronta con l’ampia motivazione offerta a sostegno del diniego delle circostanze attenuanti generiche negate sul motivato rilievo dei numerosi precedenti penali dell’imputato, anche specifici e della corretta considerazione che, contrariamente a quanto contestato dalla difesa – il tempo trascorso dalla commissione del reato per il quale si procede non è elemento idoneo a determinare alcun effetto favorevole diverso dalla eventuale prescrizione del reato, tenuto conto, nel caso concreto, anche della personalità negativa dell’imputato. E che relativamente ai precedenti penali, per quanto non siano ritenuti dalla giurisprudenza di per sé ostativi al riconoscimento delle attenuanti ex art. 62 bis cod. pen., possono tuttavia essere valutati come elemento decisivo per il loro diniego, in quanto considerati indicativi della capacità a delinquere del reo (Sez 2, n. 3896 del 20/01/2016).
Per i giudici di appello è, dunque, corretta la valutazione effettuata dal giudice di prime cure, potendosi del resto negare le attenuanti generiche anche solo con riferimento alla posizione dell’imputato quale “incriminato per altri reati’ o all sussistenza di una sentenza di condanna non definitiva ovvero potendo assumere rilievo ostativo altresì le condanne per i reati commessi successivamente ai fatti per cui si procede (Sez. 5, n. 33847/2018).
Viene anche precisato che l’imputato, come risulta dal casellario giudiziale aggiornato, ha riportato una recente condanna per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, relativa a fatti commessi nell’anno 2020, essendo irrilevante che il magistrato di Sorveglianza abbia disposto la misura alternativa della detenzione domiciliare, a ciò si aggiungono anche precedenti, seppur più risalenti, per rapina e porto d’armi tali da essere espressione di un percorso delinquenziale intrapreso da lungo tempo e mai interrotto dall’odierno appellante, tanto che i primi
precedenti per reati in materia di sostanze stupefacenti risalgono a fatti commessi nell’agosto e nel settembre del 2007.
Il provvedimento impugnato appare, pertanto, collocarsi nell’alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).
2.2. La motivazione in punto di dosimetria della pena nel provvedimento impugnato è logica, coerente e corretta in punto di diritto (sull’onere motivazionale del giudice in ordine alla determinazione della pena cfr. Sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, COGNOME, Rv. 276288-01; Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, COGNOME, Rv. 271243).
I giudici di appello rilevano correttamente, in merito alla quantificazione della pena inflitta all’imputato, che i parametri ex art. 133 cod. pen. consentono al giudice di valutare discrezionalmente la pena tenendo conto della gravità del reato nonché della capacità a delinquere del colpevole. E ritengono che il Tribunale ha dunque già correttamente considerato i suddetti criteri di cui all’art. 133 cod. pen. nonché la quantità di sostanza venduta dall’imputato, le modalità del fatto ovvero le circostanze dell’azione (rudimentalità dell’operato e scarso occultamento della droga) e ha pertanto effettuato un giudizio di ridotta offensività sociale, ritenendo correttamente di inquadrare la condotta tenuta dall’imputato nella fattispecie di cui all’art. 73, Co. 5, d.P.R. 309/90,
La risposta sanzionatoria viene, dunque, ritenuta proporzionata alla portata delle condotte commesse dal NOME e la pena finale – già individuata misura prossima al minimo edittale – risulta adeguata e proporzionata ai fatti oggetto di imputazione.
L’obbligo motivazionale è dunque assolto laddove questa Corte di legittimità ha più volte precisato che la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra, tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art 133 cod. pen. (così questa Sez. 4, n. 46412 del 5/11/2015, COGNOME, Rv.
265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/3/2013, COGNOME, Rv. 256197; conf. Sez. 2, n. 28852 dell’8/5/2013, COGNOME e altro, Rv. 256464; Sez. 3, n. 10095 del 10/1/2013, COGNOME, Rv. 255153; Sez. 2, n. 36245 del 26/6/2009, COGNOME, Rv. 245596). E ancora di recente, è stato ribadito che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, COGNOME ed altro, Rv. 271243).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 29/05/2024