Attenuanti Generiche: Quando la Cassazione Limita il Giudizio sulla Pena
L’applicazione delle attenuanti generiche e la conseguente determinazione della sanzione penale rappresentano uno dei momenti più delicati del processo, in cui la discrezionalità del giudice gioca un ruolo cruciale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 22203/2024) ci offre l’occasione per ribadire i confini del controllo di legittimità su queste decisioni, chiarendo quando e perché non è possibile appellarsi alla Suprema Corte per ottenere semplicemente una pena più mite.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. L’unico motivo di doglianza sollevato dal ricorrente riguardava la presunta violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione a due aspetti strettamente connessi: il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nella loro massima estensione possibile e, di conseguenza, la determinazione complessiva della pena inflitta. Secondo la difesa, il giudice di secondo grado non aveva adeguatamente valorizzato gli elementi a favore dell’imputato che avrebbero giustificato una riduzione di pena più consistente.
La Valutazione delle Attenuanti Generiche secondo la Cassazione
La Corte di Cassazione, con una decisione netta e conforme al suo orientamento consolidato, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La pronuncia si fonda su un principio cardine del nostro sistema processuale penale: la distinzione tra il giudizio di merito e il giudizio di legittimità.
Le Motivazioni
La Corte ha spiegato che la graduazione della pena, che include la valutazione delle circostanze aggravanti e attenuanti e il loro bilanciamento, rientra pienamente nella discrezionalità del giudice di merito (ovvero il Tribunale e la Corte d’Appello). Questo potere non è assoluto, ma deve essere esercitato nel rispetto dei criteri guida fissati dagli articoli 132 e 133 del Codice Penale, che impongono al giudice di tenere conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del reo.
Il sindacato della Corte di Cassazione, definito ‘di legittimità’, non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda. La Suprema Corte non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice che ha esaminato direttamente le prove e gli atti processuali. Il suo compito è verificare che la decisione impugnata sia immune da due tipi di vizi:
1. Violazione di legge: ovvero quando il giudice di merito ha applicato una norma in modo errato.
2. Vizio di motivazione: quando il ragionamento del giudice è palesemente illogico, contraddittorio o del tutto assente.
Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che la decisione della Corte d’Appello fosse sorretta da una motivazione sufficiente, logica e non arbitraria. Pertanto, la scelta di non concedere le attenuanti generiche nella massima estensione non era sindacabile in sede di legittimità, in quanto frutto di un corretto esercizio del potere discrezionale del giudice di merito.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame conferma un’importante lezione pratica: non è sufficiente lamentare l’entità della pena per ottenere una revisione dalla Corte di Cassazione. Il ricorso deve individuare un vizio specifico e dimostrabile nel percorso logico-giuridico seguito dal giudice di merito. Tentare di ottenere dalla Cassazione una nuova e più favorevole valutazione degli elementi già esaminati nei gradi precedenti è un’iniziativa destinata all’insuccesso, che comporta, come in questo caso, la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
È possibile ricorrere in Cassazione per chiedere una pena più bassa se si ritiene che le attenuanti generiche non siano state applicate al massimo?
No, di regola. La Cassazione ha chiarito che la graduazione della pena e la concessione delle attenuanti sono espressione del potere discrezionale del giudice di merito. Un ricorso è ammissibile solo se si dimostra che la decisione è frutto di mero arbitrio, ragionamento illogico o motivazione insufficiente.
Qual è il ruolo della Corte di Cassazione nella determinazione della pena?
La Corte di Cassazione non ricalcola la pena. Il suo è un ‘sindacato di legittimità’: controlla che il giudice di merito abbia applicato correttamente la legge e abbia motivato la sua decisione in modo logico e coerente, senza entrare nel merito della valutazione dei fatti.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione su questi motivi viene dichiarato inammissibile?
Come avvenuto in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che l’ordinanza ha quantificato in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22203 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22203 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/05/2023 della Corte d’appello di Napoli
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, con il quale si deduce la violazi legge e il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle concesse circostanze attenuanti generiche nella massima estensione e a determinazione della pena, non è consentito in sede di legittimità in quan graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni pre per le circostanze aggravanti e attenuanti e al giudizio di bilanciamento fra ultime, rientra nella discrezionalità del giudice di merito che la esercita in ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen. e sfugge al sinda legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogic sorretta da sufficiente motivazione, come avvenuto nella specie (si veda particolare, la pag. 3);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento d spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa d ammende.
Così deciso, in data 23 aprile 2024.