Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 10314 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 10314 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
UP – 28/01/2025
R.G.N. 39941/2024
NOME FILOCAMO
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il 25/08/1977
avverso la sentenza del 30/05/2024 della Corte d’assise d’appello di Napoli
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che, con requisitoria scritta, ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 30 maggio 2024 la Corte di assise di appello di Napoli, riformando parzialmente la sentenza emessa in data 03 aprile 2023 dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, ha condannato NOME COGNOME non ricorrente, alla pena di anni venti di reclusione ed NOME COGNOME alla pena di anni trenta di reclusione, nonchØ entrambi alle conseguenti pene accessorie, per i delitti di cui agli artt. 110, 112, 575, 577, 416bis .1 cod. pen. e 12 e 14 legge n. 8479/1974, commessi il 19 dicembre 2007, cagionando la morte di NOME COGNOME colpito con numerosi colpi di arma da fuoco.
I giudici di appello, emettendo una sentenza dichiaratamente ‘doppia conforme’, hanno confermato la ricostruzione del fatto contenuta nella sentenza di primo grado e la individuazione delle prove a carico del Notturno nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME. Costoro avevano riferito, in modo sostanzialmente concorde, che l’omicidio era stato deciso da NOME COGNOME junior e da NOME COGNOME nipoti del capo del clan camorristico COGNOME per vendicare l’onore di NOME COGNOME, anch’egli affiliato a tale clan, uccidendo colui che aveva intrapreso una relazione sentimentale con la sua ex-fidanzata, nonchØ avevano riferito che il Notturno era stato uno dei partecipi alla fase preparatoria dell’omicidio e uno degli esecutori
materiali. Anche i due imputati avevano confessato le proprie responsabilità, senza però apportare nuove informazioni al quadro probatorio, e il Notturno rendendo anche una confessione assai generica, nonchØ resa dopo che egli aveva avuto modo di conoscere le dichiarazioni dei vari collaboratori.
I giudici hanno respinto l’appello proposto dal Notturno ribadendo la non concedibilità dell’attenuante di cui all’art. 416bis .1, comma 3, cod. pen. e delle attenuanti generiche, e la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen.
L’attenuante della ‘dissociazione attuosa’ e le attenuanti generiche sono state negate mancando, nella confessione del Notturno, approfonditamente valutata sia quanto al suo contenuto sia quanto all’epoca di sopravvenienza, il requisito della spontaneità, perchØ resa dopo l’esecuzione della misura cautelare, quando egli aveva avuto piena conoscenza delle prove a suo carico, ed essendo la stessa del tutto generica quanto al ruolo ricoperto e alle modalità dell’omicidio, raccontati in modo da limitare le proprie responsabilità, negando ad esempio di avere sparato, e da contrastare con la ricostruzione della vicenda resa dai vari collaboratori di giustizia, dei quali peraltro egli non ha censurato la credibilità.
L’aggravante Ł stata ritenuta sussistente sia per l’utilizzo del metodo mafioso, stante la ferocia e la platealità dell’esecuzione, che avevano indotto all’omertà i potenziali testimoni, sia per la finalità mafiosa dell’agguato, essendo stato l’omicidio finalizzato ad agevolare il clan COGNOME, in quanto diretto non solo a vendicare l’onore del Siciliano, ma anche a punire il mancato rispetto delle regole del clan da parte della vittima, anch’essa affiliata, che aveva contravvenuto alle regole interne che vietavano agli associati di avere rapporti con le donne che erano, o erano state, fidanzate con altri sodali. Tale mancato rispetto di una regola interna, infatti, aveva reso inaffidabile tale associato ed era un segno di ribellione verso i capi, per cui il suo omicidio serviva anche a riaffermare il potere del clan e dei suoi capi, e ad agevolarne l’attività, rafforzando, anche presso i terzi, l’immagine di solidità del gruppo. Secondo il collaboratore COGNOME, inoltre, l’omicidio era divenuto necessario perchØ il COGNOME era a conoscenza di molti segreti del clan, in particolare la decisione già assunta di uccidere alcuni rivali, ed una punizione meno severa avrebbe potuto indurlo a divenire un collaboratore di giustizia.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME articolando un unico motivo, con il quale deduce la mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche.
La motivazione, sul punto, Ł mancante o solo apparente, in quanto si limita a ripercorrere lo stesso iter argomentativo della sentenza di primo grado o a richiamarlo per relationem , senza spiegare perchØ se ne discosti, invece, in riferimento alla posizione del coimputato.
Il ricorrente sin dal 2015 ha confessato reati analoghi, dissociandosi dal contesto criminale a cui aveva partecipato negli anni della cosiddetta faida di Scampia. Anche questa confessione Ł spontanea, autonoma e molto antecedente alla richiesta di procedere con il rito abbreviato, ed ha eliminato ogni dubbio che poteva derivare dalle narrazioni dei collaboratori di giustizia, non sempre precise nØ frutto di conoscenze dirette. Tale confessione Ł segno di resipiscenza e non Ł strumentale, come dimostra l’intero percorso del ricorrente, che a partire dal 2015 ha confessato anche altri omicidi, tenendo un comportamento costante e coerente di dissociazione dalla criminalità organizzata.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł infondato, e deve essere rigettato.
Il ricorrente si limita a riproporre i motivi di appello e le ragioni già esposte per la richiesta delle attenuanti generiche, senza confrontarsi adeguatamente con la motivazione di secondo grado che, anche attraverso il richiamo alla sentenza di primo grado, Ł esaustiva sulla questione posta nuovamente con il ricorso. L’unica ragione addotta dal ricorrente per chiedere la concessione del beneficio consiste nella intervenuta ammissione della propria partecipazione al delitto, ma entrambi i giudici di merito hanno sottolineato che essa non solo non ha fornito elementi nuovi al quadro probatorio già raggiunto attraverso le dichiarazioni dei vari collaboratori di giustizia, ma si Ł posta in contrasto con la ricostruzione effettuata attraverso tali prove, «non apportando alcun contributo di chiarezza» quanto alle modalità del fatto e alle ragioni della sua personale partecipazione ad esso, «anzi introducendo elementi smentiti dagli atti di causa» (pag. 20 della sentenza impugnata).
Il ricorso non si confronta con tale valutazione, in quanto si limita a dire che la confessione del ricorrente «ha spazzato via ogni dubbio», venendo da un partecipe al delitto e non da dichiaranti de relato , ma non indica quali elementi di novità, di chiarimento o di approfondimento abbia apportato al quadro probatorio, nØ controbatte all’affermazione dei giudici di merito, secondo cui essa ha avuto un contenuto molto limitato, dal momento che il Notturno avrebbe addirittura sminuito la rilevanza della sua partecipazione all’agguato, dichiarando di non avere sparato e assegnandosi un ruolo marginale, come sottolineato nella sentenza di primo grado, in particolare alla pagina 36, in cui il contenuto della sua confessione viene riportato e valutato.
Le due sentenze, poi, motivano ampiamente anche sulla inidoneità di tale confessione a dimostrare che il ricorrente abbia intrapreso un percorso dissociativo dalla precedente condotta criminosa, e abbia preso coscienza della gravità dei delitti commessi. Secondo entrambi i giudici di merito, infatti, essa non ha i caratteri della autonomia, della spontaneità e della manifestazione di resipiscenza, in quanto consiste in una semplice missiva, definita «asettica», predisposta dopo l’applicazione della misura cautelare, quando il ricorrente aveva potuto conoscere le dichiarazioni del vari collaboratori di giustizia e le valutazioni del giudice per le indagini preliminari circa la loro valenza indiziaria. A questa motivazione il ricorrente risponde solo ribadendo che la propria confessione Ł una dimostrazione di resipiscenza perchØ si inserisce in un comportamento ammissivo che egli sta tenendo dal 2015, avendo confessato altri delitti analoghi. Anche in questo caso, però, il ricorso non offre alcun elemento concreto che dimostri la completezza della sua scelta confessoria, e che superi la valutazione dei giudici di merito, di una confessione resa, in questo caso, solo per beneficiare di uno sconto di pena.
E’ irrilevante, infine, la diversa valutazione che i giudici di appello hanno espresso in favore del coimputato, di cui il ricorrente si duole lamentando la «disparità di trattamento»: la motivazione della sentenza impugnata, sul punto, Ł puntuale e approfondita, e fondata su un diverso appezzamento delle dichiarazioni rese da questi, ritenute «tempestive, puntuali e precise», nonchØ tali da apportare elementi ulteriori alle prove fornite dai collaboratori di giustizia, avendo confermando le loro accuse, nonchØ su un comportamento processuale ritenuto «totalmente collaborativo». La dedotta disparità di trattamento, pertanto, Ł stata adeguatamente motivata sulla base di un comportamento concretamente diverso dei due imputati, e non risulta frutto di arbitrio o di una valutazione superficiale.
2. Il diniego della concessione delle attenuanti generiche, inoltre, Ł motivato dalle due sentenze di merito non solo con l’assenza di elementi favorevoli al ricorrente, in particolare lo svolgimento, all’interno del carcere, di un’attività lavorativa, elemento affermato nell’atto di appello ma non
provato, secondo i giudici, e comunque non riproposto nel presente ricorso, ma anche con la valutazione della sussistenza di elementi che dimostrano la personalità criminale del ricorrente, il quale rivestiva un ruolo apicale nel clan, da cui non risulta essersi dissociato, e si Ł reso responsabile di molti altri delitti di rilevante gravità.
La sentenza impugnata si Ł conformata, quindi, ai principi di questa Corte, secondo cui «In tema di circostanze attenuanti generiche, la confessione giudiziale, quale condotta susseguente al reato, ha una “rilevanza mediata” al fine della concessione delle stesse, ex art. 133, comma secondo, n. 3, cod. pen., da ritenersi indicatore utile nei limiti di effettiva incidenza sulla capacità a delinquere e non come mero strumento di semplificazione probatoria. » (Sez. 2, n. 27547 del 10/05/2019, Rv. 276108) ed «¨ legittimo il diniego delle circostanze attenuanti generiche motivato con l’esplicita valorizzazione negativa dell’ammissione di colpevolezza, in quanto dettata da intenti utilitaristici e non da effettiva resipiscenza» (Sez. 1, n. 35703 del 05/04/2017, Rv. 271454).
Deve altresì ribadirsi che«In tema di circostanze, ai fini del diniego della concessione delle attenuanti generiche, non Ł necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma Ł sufficiente il riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, purchØ la valutazione di tale rilevanza tenga conto, a pena di illegittimità della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall’interessato.» (Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, Rv. 282693). Inoltre questa Corte ha anche statuito che «In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione Ł insindacabile in sede di legittimità, purchØ sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione.» (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269).
La sentenza impugnata ha applicato correttamente tali principi, fornendo, anche attraverso il richiamo alla analoga motivazione della sentenza di primo grado, una motivazione precisa ed esaustiva; non sussistono, pertanto, ragioni per il suo annullamento.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere respinto, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 28/01/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME