Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 16985 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 16985 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME NOME nato a Napoli il 18/06/1977
NOMECOGNOME nato a Caivano il 26/07/1964
avverso la sentenza del 01/07/2024 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili; udito l’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia di NOME COGNOME che ha
concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Giudice per le indagini preliminari di Napoli, che aveva condannato, tra gli altri, NOME COGNOME per il delitto di associazione a delinquere contestato al capo n. 1, con il ruolo di partecipe, e NOME COGNOME per il delitto d estorsione aggravata, contestato al capo n. 12.
Pir
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori degli imputati, denunciando i motivi di annullamento di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Ricorso di NOME COGNOME
Nell’interesse di NOME COGNOME viene dedotto un unico motivo di annullamento per violazione di legge in relazione all’art. 62-bis cod. pen.
Rileva il difensore che il giudizio di responsabilità è stato fondato sulle dichiarazioni auto ed etero accusatorie rese nell’interrogatorio del 17/06/2014, nelle quali, in riferimento al delitto di estorsione contestato in altro procedimento, il ricorrente aveva chiamato in correità il cognato NOME COGNOME e altri soggetti, tutti appartenenti al clan COGNOME.
Tali dichiarazioni, rilevanti anche in quanto indicative della dissociazione da detto clan, non sono state considerate come elemento idoneo a giustificare l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, in quanto rese in un altro procedimento, e ciò in violazione dell’obbligo di ricondurre la condotta successiva al reato nell’alveo degli elementi rilevanti ex art. 62-bis cod. pen.
2.2. Ricorso di NOME COGNOME
Nell’interesse di NOME COGNOME viene dedotto un unico motivo di ricorso per violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen., 110, 629, 416-bis.1 cod. pen.
Deduce il difensore che le sentenze di primo e di secondo grado, conformi in ordine alla responsabilità del ricorrente per il delitto di estorsione aggravata, sono viziate da travisamento della prova in quanto né nelle conversazioni intercettate né nelle dichiarazioni della persona offesa vi è alcun riferimento al ricorrente o alla sua partecipazione al delitto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
Va premesso che nel presente procedimento NOME COGNOME è stato condannato quale partecipe al clan COGNOME, sia in primo che in secondo grado.
Dalla sentenza di primo grado (pag. 115 e ss.) emerge che la partecipazione è stata desunta da una serie di elementi, tra i quali la circostanza che era beneficiario di una somma di denaro mensile, quale retribuzione per la sua messa a disposizione del sodalizio, per il quale compiva, in concorso con altri, estorsioni.
Nell’interrogatorio del 17/06/2014 -reso in altro procedimento- il ricorrente ha confessato una estorsione tentata, chiamando in correità altri correi, tra cui il cognato NOME COGNOME
Il confronto tra le dichiarazioni rese e le captazioni delle conversazioni rende, però, evidente, secondo il giudice di primo grado, che il ricorrente non ha reso integrale confessione (non menzionando, ad esempio, la detenzione di un’arma né riferendo altre vicende dell’associazione, la cui conoscenza è certa in base alle conversazioni intercettate). Si tratta, dunque, di una confessione limitata a un delitto fine, che non è stata positivamente valutata nel presente procedimento, che ha ad oggetto il delitto associativo, in cui egli si è avvalso della facoltà di no rispondere.
La sentenza impugnata ha confermato tale impostazione e ha negato l’applicazione delle attenuanti generiche in considerazione della durata dell’appartenenza al clan (dal 2012 al giugno 2014), della vicinanza a elementi apicali, del valore limitato delle dichiarazioni confessorie.
Il ricorso non si confronta con tale motivazione, che costituisce corretta applicazione del principio secondo cui, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quelli che ritiene preponderanti ai fini del decisione (ex multis, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano Rv. 279549 02).
Il ricorso, quindi, deve essere dichiarato inammissibile per aspecificità, stante la mancanza di correlazione tra le ragioni argonnentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione.
2. Il ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato.
La sentenza di primo grado e quella di secondo grado, conformi sul punto, rilevano che l’estorsione aggravata commessa in danno dell’imprenditore NOME COGNOME, costretto a versare due rate da 10.000 euro ciascuna, per poter continuare ad operare, era inizialmente emersa dalle intercettazioni telefoniche, che hanno permesso di individuare altri consociati come responsabili del fatto (per costoro si è proceduto separatamente).
Il 19/04/2018 è stato escusso NOME COGNOME che ha dichiarato di non aver denunciato in precedenza il fatto per timore di ritorsioni e che ha riconosciuto NOME COGNOME e NOME COGNOME come coloro ai quali aveva versato le rate estorsive.
Secondo la Corte di appello non vi può essere dubbio sulla individuazione di NOME COGNOME ben noto alla persona offesa sia perché abitava nei pressi del luogo di lavoro di quest’ultima sia perché il fratello era stato alle dipendenze dell’imprenditore.
La tardività della denuncia si spiega in relazione al fatto, dichiarato dalla stessa persona offesa, che quest’ultima conosceva lo spessore criminale del
ricorrente, tanto che ha reso le sue dichiarazioni solo dopo che costui è stato tratto in arresto.
Tale motivazione, logica e immune da vizi, non viene scalfita dalle censure mosse con il ricorso, che propongono una diversa lettura degli elementi probatori,
inammissibile in sede di legittimità.
3. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue l’obbligo al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della
Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 13/03/2025.