Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 7106 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 7106 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOME COGNOME nato in Marocco il 02/04/1981 (CUI 0137YZP)
avverso la sentenza del 12/03/2024 della Corte di appello di Torino;
letti gli atti del procedimento, il ricorso ed il provvedimento impugnato; udita ia relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le richieste del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con atto del proprio difensore, Tc.NOME COGNOME impugna la sentenza in epigrafe indicata, che ne ha confermato la condanna per alcuni episodi di detenzione di sostanze stupefacenti al fine di cessione a terzi, tuttavia
derubricandoli come fatti di lieve entità, a norma del comma 5 dell’art. 73, d.RR. n. 309 del 1990.
Il suo ricorso consta di tre motivi.
2.1. Il primo consiste nella violazione dell’art. 73, comma 7, d.P.R. cit., per essergli stata negata l’attenuante, ivi prevista, dell’essersi adoperato per evitare che l’attività delittuosa fosse portata a conseguenze ulteriori.
Sostiene la sua difesa che, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, detta circostanza attenuante non presuppone che il contributo informativo fornito dal reo agli inquirenti abbia avuto un’effettiva e concreta utilità per le indagini, essendo sufficiente che quegli abbia reso note tutte le proprie conoscenze idonee, anche solo in astratto, ad evitare il progredire dell’attività delittuosa; se così non fosse, la disposizione si porrebbe in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza, in quanto essa potrebbe trovare applicazione soltanto per coloro che siano inseriti in circuiti criminali più ampi e pericolosi e non anche nei casi di cd. “piccolo spaccio”.
Ciò premesso, la sentenza impugnata, adagiandosi su quella di primo grado, ha giudicato inconsistente l’apporto probatorio offerto dall’imputato, senza tuttavia spiegarne le ragioni, laddove, invece, quegli ha operato l’individuazione fotografica di uno dei suoi fornitori, ha offerto una descrizione dettagliata di un altro, ha indicato il luogo di “spaccio”, la provenienza degli spacciatori e le modalità delle consegne.
2.2. Con il secondo motivo si denunciano violazione di legge e vizi di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio.
In primo grado, la pena base era stata fissata nel minimo edittale. La sentenza d’appello, invece, pur con riferimento ai diversi limiti legali per la meno grave fattispecie ritenuta, è partita da una pena ben superiore al medio edittale, senza tuttavia contraddire gli elementi tenuti in considerazione dal primo giudice, ed anzi riconoscendo anch’essa che si trattasse di «piccolo spaccio da strada», nonché valutando i precedenti specifici dell’imputato e la sua «spregiudicatezza» soltanto ai fini dell’applicazione della recidiva, e così rassegnando una motivazione complessivamente contraddittoria.
2,3. Il terzo motivo denuncia i medesimi vizi in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4), cod. pen., per aver agito al fine di conseguire, od avere comunque conseguito, un lucro di speciale tenuità.
Sul punto, pur specificamente dedotto con i motivi d’appello, la sentenza impugnata ha completamente omesso di pronunciarsi, in relazione tanto al riconoscimento della circostanza, quanto al bilanciamento della stessa con la recidiva, ancorché, come in questo caso, reiterata ed infraquinquennale.
2.4. Tali argomentazioni sono state ulteriormente sviluppate con memoria difensiva depositata in cancelleria a norma degli artt. 610, comma 1, e 611, comma 1, cod. proc. pen..
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore ricorrente ha depositato memoria di replica con conclusioni scritte, insistendo per l’accoglimento dell’impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
In tema di reati concernenti sostanze stupefacenti, per l’applicazione dell’attenuante del ravvedimento operoso di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il giudice è tenuto ad accertare l’utilità e la proficuità delle dichiarazioni collaborative rese dall’imputato, con una valutazione che non è suscettibile di censura in sede di legittimità, ove supportata da motivazione logica ed esaustiva (così, tra altre, Sez. 4, n. 3946 del 19/01/2021, COGNOME, Rv. 280385).
Corretta, dunque, è l’interpretazione normativa offerta dalla Corte d’appello ed errata quella difensiva, non potendo ritenersi irragionevole la scelta del legislatore di riservare una previsione attenuante specifica per le condotte che s’inserivano in contesti criminali più articolati e, quindi, maggiormente pericolosi per i beni protetti della sicurezza pubblica e della salute delle persone, potendo, invece, le condotte degli imputati altrimenti collaborative trovare il loro premio sanzionatorio, negli altri casi, nel riconoscimento di eventuali attenuanti comuni, a cominciare da quelle generiche.
V’è, però, che la sentenza impugnata, a fronte di uno specifico motivo d’appello, sostanzialmente nulla ha detto per spiegare per quale ragione le dichiarazioni rese dall’imputato agli inquirenti siano risultate inutili ai fini del ricostruzione dei fatti.
Sotto questo profilo, dunque, la motivazione si presenta lacunosa e dev’essere integrata, dovendo perciò la sentenza essere annullata con rinvio.
Il secondo motivo, in punto di determinazione della pena-base, non ha fondamento.
La sentenza motiva espressamente ed adeguatamente sul punto e, considerando la diversa ipotesi di reato con essa ritenuta, la quale si differenzia da quella originariamente contestata esclusivamente per la minore gravità del
fatto, è del tutto ragionevole che, rispetto alla diversa scala di offensività tenuta in considerazione dalla fattispecie più lieve, la stessa condotta si collochi ad un livello più elevato.
Merita di essere accolto, invece, il terzo motivo, relativo al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4), cod. pen..
Anche in questo caso, allo specifico motivo d’appello la sentenza impugnata ha omesso completamente di rispondere, non tenendo in alcuna considerazione quanto stabilito da Sez. U, n. 24990 del 30/01/2020, NOME COGNOME Rv. 279499, secondo cui la circostanza attenuante del lucro e dell’evento di speciale tenuità è applicabile ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, compresi quelli in materia di stupefacenti, ed è compatibile con la fattispecie prevista dall’art. 73, comma 5, d.P.R., n. 309 del 1990; nonché obliterando la sentenza della Corte costituzionale n. 141 del 21 giugno 2023, che ha dichiarato illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., l’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4), cod. pen., sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, stesso codice.
Pure sotto questo profilo, dunque, la sentenza dev’essere annullata con rinvio, onde consentire la necessaria integrazione della motivazione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle circostanze del reato e al giudizio di bilanciamento, rinviando per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Torino.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2025.