Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 32174 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 32174 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Triggiano il 28/06/1986 avverso la sentenza del 29/04/2024 della Corte di appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 29 aprile 2024, la Corte di appello di Bari ha confermato la sentenza del 03 ottobre 2019, con la quale il gup del Tribunale ha condannato COGNOME Giovanni in relazione al reato di cui all’art. 589, cod. pen., per aver cagionato colposamente la morte di altro soggetto, essendosi posto alla guida in stato di alterazione e avendo intrapreso contromano la superstrada, ove si è verificata la collisione con il veicolo della persona offesa.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell’imputato.
2.1. Con un unico motivo di doglianza si lamenta la violazione di legge per aver omesso il giudice di appello di riconoscere l’attenuante di cui all’art. 62, n.6), cod. pen., a seguito del rinvio da parte della Quarta Sezione di questa Corte, che, affermata la tempestività del risarcimento in momento precedente all’ordinanza di ammissione al rito abbreviato, aveva devoluto al giudice dell’appello solo l’accertamento in ordine al momento in cui era intervenuta la richiesta nel giudizio in esame. Tuttavia, la Corte di appello, pur avendo constatato la tempestività del risarcimento, ha comunque negato l’applicazione dell’attenuante rilevando che il risarcimento proveniva da soggetto diverso dall’imputato e che mancava una volontà di questo di risarcire il danno, poiché il pagamento era effettuato dall’assicurazione. Invece proprio il pagamento fatto dall’assicuratore, che agisce in nome e per conto dell’imputato, prova che il pagamento proviene da questo soggetto e, data la natura del contratto di assicurazione, che quello stesso pagamento risulta evidentemente espressione della sua volontà. Si lamenta, inoltre, che l’applicazione dell’attenuante è stata esclusa dal giudice del merito per il mancato risarcimento della fondazione “RAGIONE_SOCIALE, costituitasi in giudizio, la quale tuttavia, trattandosi di ente esponenziale, non potrebbe riconoscersi quale persona offesa dal reato, né che l’imputato avrebbe potuto sapere che si trattava di persona offesa dal reato, come prova la circostanza di non essere stata menzionata quale persona offesa nella richiesta di rinvio a giudizio.
2.2. Con requisitoria, depositata in data 24 maggio 2025, il procuratore generale ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza, ritenendo fondato il motivo nella parte in cui ritiene che il pagamento effettuato dall’assicurazione debba ritenersi sostanzialmente opera dell’imputato.
2.3. Con memoria, depositata in data 11 giugno 2025, la parte civile contesta l’applicabilità dell’attenuante al caso di specie, in quanto l’imputato non ha risarcito il danno a tutte le parti civili regolarmente costituite, e in particolare alla fondazione “RAGIONE_SOCIALE, e non aver partecipato ad alcun programma di giustizia riparativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il motivo, che si articola in due distinti profili, è inammissibile.
1.1. Il primo profilo, ove si afferma la compatibilità del pagamento operato dall’assicurazione con l’attenuante di cui all’art. 62, n.6), cod. pen., è
sostanzialmente corretto. La norma, dal punto di vista oggettivo, si accontenta del ristoro del danno patito in capo alla vittima, mentre, dal punto di vista soggettivo, esige, pur implicitamente, che tale ristoro sia il frutto di comportamento volontario imputabile all’autore del reato. Tale ultimo dato, in particolare, evidenzia che la riparazione deve provenire dall’autore del reato, e che, pertanto, l’attenuante non può essere applicata se proviene invece da un terzo. Tuttavia, occorre specificare che in determinati casi può ammettersi anche questo tipo di pagamento. Con riguardo al profilo soggettivo la disposizione non specifica con quali modalità deve volgersi il comportamento riparatorio, escludendo così eventualmente alcuni modi in cui questo può manifestarsi. Se, dunque, un terzo paga il prezzo del risarcimento al posto dell’autore, questo non significa autonomamente che l’attenuante non può essere concessa, ma deve verificarsi, prima del rigetto della richiesta, se tale pagamento non sia, in realtà, il frutto della volontà dell’autore del reato. Vero è che tale volontà, si apprezza in modo manifesto quanto l’autore paga direttamente di tasca propria l’ammontare del risarcimento; tuttavia, il pagamento risulta ugualmente riconducibile alla sua volontà anche quando questi ha incaricato un terzo di effettuarli. Il terzo, infatti, in questo caso, non agisce autonomamente, ma, al contrario, quale strumento dell’autore del reato. Pertanto, in tali casi, pur provenendo il pagamento da un soggetto diverso dall’autore del reato, non potrebbe dubitarsi che esso sia frutto della volontà di quest’ultimo.
1.2. Con riguardo al risarcimento del danno, praticato dalla compagnia assicuratrice, deve rilevarsi la presenza di due orientamenti contrapposti. In relazione al risarcimento eseguito dalla società assicuratrice, la Corte costituzionale ha affermato la configurabilità dell’attenuante anche quando l’intervento risarcitorio, comunque riferibile all’imputato, sia stato compiuto prima del giudizio dall’ente assicuratore. La decisione è stata fondata sul rilievo che l’orientamento contrario alla applicazione dell’attenuante, interpretata in chiave meramente soggettiva, si pone in contrasto con l’art. 3 Cost. e conduce ad una arbitraria svalutazione dell’istituto dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, istituto che svolge nel nostro ordinamento una insostituibile funzione riequilibratrice, in attuazione degli imperativi contenuti nell’art. 3 Cost. ( C. Cost., 23.4.1998, n. 138, che ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 62, n. 6 prima parte). Per la configurabilità dell’attenuante si esprime anche una parte della giurisprudenza, che riconosce l’attenuante sul rilievo che il risarcimento deve ritenersi effettuato personalmente dall’imputato tutte le volte in cui egli ne abbia conoscenza e mostri la volontà di farlo proprio (Sez. IV, 6-29.12.2023, n.
51603; Sez. VI, 15.9-9.10.2023, n. 40948; Sez. IV, 14.12.2022-23.3.2023, n. 12121; Sez. IV, 22.2-18.5.2018, n. 22022; Sez. IV, 6.2.2009, n. 13870; Sez. IV, 4.10.2004, n. 46557). Sono state ritenute insufficienti le sollecitazioni operate dal difensore dell’imputato per dimostrare che egli avesse avuto conoscenza dell’intervento dell’assicuratore e manifestato la volontà di farlo proprio (Sez. IV, 28.11.2017-8.2.2018, n. 6144). Analogamente si è affermato che l’attenuante anche quando la riparazione del danno è stata effettuata dalla compagnia assicuratrice del veicolo di proprietà di un datore di lavoro e il fatto è stato realizzato da un dipendente che era alla guida del veicolo (Sez. IV, 11.6.2015, n. 36475 e SU., 22.1.2009, n. 5941).
1.3. Non mancano, tuttavia, pronunce di senso contrario (Sez. VI, 9.11.2005, n. 46329; Sez. IV, 3.6.2004, n. 39065; S.U., 23.11.1988). Si è affermato che l’attenuante non può essere riconosciuta in favore del responsabile in materia di sicurezza e prevenzione allorquando il risarcimento del danno sia stato effettuato dalla compagnia assicuratrice del datore di lavoro in virtù di contratto stipulato da quest’ultimo (Sez. IV, 9.6.2015, n. 27006) ; secondo l’attenuante non è integrata quando il risarcimento del danno derivante dalla circolazione stradale sia intervenuto per effetto di un contratto assicurativo concluso dal soggetto titolare della automobile diverso dal conducente (Sez. III, 19.2-7.6.2019, n. 25326). Analogo principio è stato affermato per l’esclusione dell’attenuante in caso di risarcimento da parte dell’Inail (Sez. IV, 7-21.9.2023, n. 38470; Sez. IV, 27.6.2017, n. 45806).
1.4. Alla luce di quanto più su esposto, deve rilevarsi che tale contrasto risulta, nei fatti, più apparente che reale. Il primo orientamento, infatti, afferma che il pagamento dell’assicurazione è ammesso in quanto può considerarsi espressione della volontà dell’autore del reato, che l’ha incaricata al pagamento, o, in alternativa, ha scelto successivamente di farlo proprio. Si sostiene, in altri termini, quanto detto in precedenza, ovvero che il pagamento operato dal terzo può ritenersi ammissibile ai fini dell’applicazione dell’art. 62, n.6), se questo può ritenersi riconducibile alla volontà dell’autore del reato. Il secondo orientamento, a ben guardare non sconfessa questa conclusione, in quanto ha escluso l’applicazione dell’attenuante nei casi in cui il pagamento proveniva da un’assicurazione o da un ente previdenziale che aveva stipulato un contratto, con soggetto diverso dall’imputato, es. il datore di lavoro (e non il lavoratore danneggiante), il proprietario dell’automobile (e non il conducente danneggiante). Tale conclusione non fa che ribadire la premessa che il pagamento del terzo deve risultare riconducibile alla volontà del danneggiante: se così è, quel risarcimento è riconducibile alla volontà dell’autore del reato, che agisce utilizzando il terzo come strumento per il pagamento del debito
risarcitorio, e si applica l’attenuante; se invece il terzo non esegue la volontà dell’autore del reato, quel pagamento si atteggia come quello di un terzo, non può essere ricondotto all’autore del reato, e l’attenuante non può trovare applicazione.
1.5. In definitiva, deve affermarsi il principio secondo cui ai fini dell’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 n.6), è ammesso il pagamento dell’impresa assicuratrice, a patto che esso si atteggi come il pagamento di un terzo incaricato dall’autore del reato, e dunque riconducibile alla volontà di quest’ultimo, mentre deve escludersi l’ammissibilità dei pagamenti operati da compagnie assicuratrici o enti previdenziali, che non operano su incarico di tale soggetto, trattandosi in questo caso di pagamenti non riconducibili alla sua volontà.
1.6. Nel caso in esame, essendo provenuto il pagamento da compagnia assicuratrice che agiva su incarico dell’imputato, sarebbe stato corretto riconoscere l’applicazione dell’attenuante. Ha errato, pertanto, la Corte d’appello a negarla facendo leva sulla terzietà dell’istituto assicurativo e sull’impossibilità di rinvenire la volontà risarcitoria propria dell’imputato.
Il secondo profilo della doglianza, relativo al mancato risarcimento dell’associazione “RAGIONE_SOCIALE, è tuttavia inammissibile. Al riguardo merita premettere che l’art. 62, n.6), riferisce il risarcimento alla persona “offesa”, ovvero che ha subito le conseguenze negative del reato, senza limitare l’effetto attenuante al caso in cui il risarcimento sia prestato, invece, in favore del soggetto passivo del reato, ovvero di un soggetto determinato. Se ne ricava che la fattispecie attenuante si riferisce al soggetto cui risulta attribuibile la qualifica di “offeso” dal reato concretamente verificatosi. Tale qualifica può pertanto essere riferita ad un unico soggetto, se il reato ne ha offeso solo uno, ovvero a più soggetti, se ne ha offesi più. Nel quale ultimo caso l’attenuante potrà applicarsi solamente quando il risarcimento abbia riparato il torto subito da ciascuno di essi.
2.1. La qualifica di persona offesa dal reato è stata inoltre riconosciuta non solo alle persone fisiche, ma anche agli enti esponenziali di interessi collettivi a patto che gli interessi statutariamente tutelati dagli enti corrispondano a quelli protetti dal reato in contestazione, da valutarsi in stretta e specifica aderenza con la struttura e la natura della fattispecie criminosa (Sez. 1 n. 39243 del 04.07. 2024 Rv. 287131 – 01, e in precedenza, Sez. H, 27.09.2016 , n. 43494).
2.2. Inoltre, va rilevato che l’onere dell’autore del reato di risarcire il danno nei confronti di tutte le persone offese, per ottenere l’effetto attenuante, è che
queste siano identificabili “prima del giudizio”. L’imputato, cioè, se ha interesse alla riduzione della pena, è tenuto a risarcire ogni soggetto, al quale possa attribuirsi la qualifica di persona offesa, ma questo onere logicamente vale solamente nei confronti dei soggetti che possano essere riconosciuti come tali prima del giudizio, e non, invece, nei confronti di quelli che si disvelino in un momento successivo. Infatti, solo la costituzione prima del giudizio permette al soggetto offeso di assumere anche la qualifica giuridica di parte offesa dal reato. Tale fenomeno si verifica anche nel caso in cui questi si costituisca come parte civile, giacchè il termine per la costituzione, prevista per tale qualifica dal diritto processuale, è, comunque, il momento del giudizio.
2.3. Tale costituzione, inoltre, non solo guadagna al soggetto costituito la qualifica poc’anzi menzionata, ma permette anche all’imputato di venire a conoscenza di tale status, sapendo così nei confronti di chi deve essere indirizzato il risarcimento.
2.4. Nel caso in esame, deve rilevarsi che l’associazione “RAGIONE_SOCIALE, era legittimata a costituirsi persona offesa, quale ente collettivo, e che si era correttamente costituita come parte civile nel giudizio, risultando perciò destinataria della qualifica di persona offesa, e in particolare danneggiata, e riconoscibile come tale dall’imputato quale destinatario del risarcimento del danno. Pertanto, il mancato risarcimento nei confronti della stessa, rilevato dalla Corte d’appello, rende inapplicabile l’attenuante risarcitoria, e inammissibile il motivo di ricorso dell’imputato.
Il ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18/06/2025