Attenuante Minima Partecipazione: Quando la Cassazione Non Può Decidere
L’applicazione dell’attenuante minima partecipazione a un reato, prevista dall’articolo 114 del codice penale, è spesso oggetto di dibattito nelle aule di giustizia. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 22348 del 2024, torna sul tema, delineando con chiarezza i confini tra la valutazione dei fatti, riservata ai giudici di merito, e il controllo di legittimità, proprio della Suprema Corte. Analizziamo insieme questa importante decisione.
Il Caso: La Richiesta di Sconto di Pena per Minima Partecipazione
Il caso trae origine dal ricorso di un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Firenze. Il ricorrente lamentava il mancato riconoscimento dell’attenuante speciale prevista per chi ha avuto una partecipazione di minima importanza nella preparazione o nell’esecuzione di un reato commesso in concorso con altre persone.
Secondo la difesa, il ruolo dell’imputato era stato talmente marginale da giustificare una diminuzione della pena. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva respinto tale richiesta, motivando la propria decisione sulla base delle prove raccolte durante il processo.
La Decisione della Cassazione: Un Limite Preciso tra Fatto e Diritto
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del nostro ordinamento processuale: la distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità.
L’applicazione dell’attenuante minima partecipazione
I giudici hanno ribadito che stabilire se la partecipazione di un concorrente al reato sia stata di “minima importanza” richiede una valutazione dei fatti. Si tratta di analizzare concretamente il contributo dato dall’imputato, il suo peso nell’economia complessiva del piano criminoso e la sua efficacia causale. Questo tipo di accertamento è di esclusiva competenza dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello).
Alla Corte di Cassazione, invece, spetta il “sindacato di legittimità”, ovvero il compito di verificare che i giudici precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio. La Suprema Corte non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella espressa nella sentenza impugnata.
Le Motivazioni della Corte
Nelle motivazioni dell’ordinanza, la Corte ha spiegato che, nel caso specifico, i giudici d’appello avevano “ampiamente esplicitato, con corretti argomenti logici e giuridici, le ragioni del loro convincimento”. Poiché la sentenza impugnata presentava una motivazione adeguata e priva di vizi logici, la valutazione sul mancato riconoscimento dell’attenuante si sottraeva a qualsiasi ulteriore censura in sede di legittimità.
Il ricorso, pertanto, è stato giudicato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa pronuncia conferma un orientamento consolidato e offre importanti spunti pratici. Chi intende ricorrere in Cassazione per contestare il diniego di un’attenuante come quella della minima partecipazione deve essere consapevole che non basta semplicemente sostenere una diversa ricostruzione dei fatti. È necessario, invece, dimostrare che la motivazione della sentenza d’appello è palesemente illogica, contraddittoria o basata su un’errata interpretazione della norma di legge. In assenza di tali vizi, il ricorso è destinato all’inammissibilità, con le relative conseguenze economiche.
È possibile chiedere in Cassazione il riconoscimento dell’attenuante della minima partecipazione se i giudici precedenti l’hanno negata?
No, non è possibile se la decisione dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) è adeguatamente motivata. La valutazione sulla minima partecipazione è una questione di fatto, non di diritto, e quindi non rientra nel sindacato di legittimità della Corte di Cassazione.
Cosa significa che una valutazione è “di fatto” e non “di legittimità”?
Significa che riguarda l’accertamento di come si sono svolti gli eventi e il ruolo specifico dell’imputato, un compito che spetta ai giudici di primo e secondo grado. La Corte di Cassazione, invece, si occupa solo di verificare che la legge sia stata interpretata e applicata correttamente (giudizio di legittimità), senza poter riesaminare i fatti.
Quali sono le conseguenze per chi presenta un ricorso inammissibile in Cassazione?
Come stabilito in questa ordinanza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questo caso, 3.000 euro) in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22348 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22348 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a FUCECCHIO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/05/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
considerato che l’unico motivo di ricorso, con il quale si censura il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., non è consentito in quanto la sussistenza o meno della minima partecipazione al reato, legittimante la diminuzione di pena, presuppone una valutazione di fatto che, se adeguatamente motivata, si sottrae al sindacato di legittimità;
che, nella specie, i giudici del merito hanno ampiamente esplicitato, con corretti argomenti logici e giuridici (Sez. 6, n. 34539 del 23/06/2021, I., Rv. 281857; Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012, dep. 2013, Modafferi, Rv. 254051), le ragioni del loro convincimento, non sindacabili in questa sede (si vedano, in particolare, pagg. 4 e 5);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 16 aprile 2024.