Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3311 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3311 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 02/03/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 02 marzo 2023 la Corte di assise appello di Napoli, confermando la sentenza emessa in data 12 novembre 2019 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, ha condannato NOME COGNOME alla pena di anni dodici di reclusione, nonché alle conseguenti pene accessorie, per il reato di cui agli artt. 575, 577, comma 1 n. 3), 416-bis.1, commi 1 e 3, cod.pen. commesso in data 09 ottobre 2012, cagionando la morte di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, quest’ultima avvenuta in data 09 dicembre 2012, in concorso con altri soggetti giudicati separatamente, da lui coadiuvati mediante la fornitura dell’auto usata per compiere l’agguato, agendo con premeditazione e al fine di agevolare il clan camorrista di appartenenza.
La Corte ha sottolineato che l’imputato è un collaboratore di giustizia, già ritenuto attendibile in altre sedi giudiziarie, che ha confessato i propri crimin per cui ha rinviato alla sentenza di primo grado per la ricostruzione del fatto omicidiario, avvenuto all’interno della terza faida di Secondigliano, che contrapponeva il clan RAGIONE_SOCIALE al clan NOME RAGIONE_SOCIALE. L’ucciso COGNOME era un esponente di vertice di quest’ultimo clan, mentre il COGNOME venne ucciso per un errore di comunicazione del gruppo di fuoco, in quanto uno dei suoi componenti sparò anche contro di lui, che si trovava accanto al NOME, non essendo stato informato che l’azione doveva coinvolgere solo quest’ultimo. Lo stesso NOME ha confessato di avere partecipato al delitto fornendo l’auto utilizzata dal gruppo omicida. Le dichiarazioni dell’imputato sono state confermate da altri collaboratori di giustizia, citati ampiamente nella sentenza di primo grado.
Gli unici motivi di appello, relativi alla concessione delle attenuanti generiche e di quella di cui all’art. 114 cod.pen., sono stati respinti dalla Corte d assise di appello affermando che la pena irrogata è congrua; che, pur essendo la sua confessione rilevante per la sua condanna, non essendo stato egli chiamato in causa da altri dichiaranti, le sue propalazioni non hanno portato alla individuazione degli altri complici, perché precedute da quella di altri collaboratori; che l’attenuante di cui all’art. 416-bis.1, comma 3, cod.pen. non è applicabile nel massimo grado. La Corte ha , pertanto, confermato la pena irrogata dal giudice di primo grado, ricostruendone l’articolazione in quanto mancante, ed ha negato le attenuanti generiche per la mancanza di elementi favorevoli, oltre a quello della “dissociazione attuosa”, mentre ha negato l’attenuante di cui all’art. 114 cod.pen. per la sussistenza dell’aggravante del numero di partecipi, e per l’apporto non di minima rilevanza fornito nell’organizzazione dell’agguato.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del difensore AVV_NOTAIO, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale e l’illogicità della motivazione, per travisamento della prova dichiarativa, con violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen., quantó al rigetto dell’applicazione dell’art. 114 cod.pen.
La sentenza impugnata ha ritenuto rilevante il contributo fornito dal ricorrente per la consumazione del delitto, desumendolo erroneamente dalle dichiarazioni da lui rese, riportate nella sentenza di primo grado. Infatti l’NOME non ha mai detto di avere personalmente affidato l’auto al cognato del coimputato COGNOME, bensì di essersi recato ad acquistare il veicolo con questi, che era stato incaricato da altri di prenderlo e occultarlo: egli, quindi, non ha partecipato ad alcuna fase organizzativa dell’agguato, bensì ha svolto un ruolo del tutto marginale. Anche il fatto che sia stato accompagnato, all’atto dell’acquisto, dal familiare di un membro apicale del clan dimostra che egli rivestiva un ruolo del tutto secondario, e che il suo contributo avrebbe potuto essere prestato da qualunque associato. La prova dichiarativa su cui la Corte di assise di appello ha fondato il suo diniego è stata, perciò, travisata ed erroneamente valutata.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso deduce la GLYPH violazione di legge processuale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod.proc.pen., quanto all’asserita preclusione derivante dall’aggravante di cui all’art. 112 cod.pen.
La Corte ha respinto la richiesta di concessione dell’aggravante di cui all’art. 114 cod.pen. anche per la operatività del divieto previsto dall’art. 114, comma 2, cod.pen., ma l’aggravante della partecipazione al delitto di cinque persone non è stata mai contestata, né con l’indicazione dell’articolo né nel corpo della imputazione. La Corte non doveva, perciò, ritenere sussistente tale aggravante.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen., in relazione agli artt. 62 bis e 133 cod.pen.
La motivazione con cui la Corte ha respinto la richiesta di concessione delle attenuanti generiche è illogica. Non è rilevante l’efferatezza del delitto, atteso che l’NOME ignorava le modalità con cui esso sarebbe stato commesso. La capacità a delinquere, dedotta dai precedenti penali, è poi irrilevante, stante la successiva dissociazione attuosa, che la Corte avrebbe dovuto valutare ai fini della prognosi della capacità a delinquere attuale. L’NOME ha deciso di collaborare quando era quasi giunto al fine pena per i reati per cui era ristretto, e
nonostante non avesse ricevuto alcun avviso di garanzia per il reato qui contestato e per i molti reati da lui poi confessati.
Il Procuratore generale, riportandosi alla requisitoria scritta già depositata, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il ricorrente, per mezzo del suo difensore, ha depositato note d’udienza, in cui ripete le argomentazioni del ricorso, specificamente contestando le conclusioni del ‘procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, e deve essere rigettato.
Il primo motivo di ricorso è infondato, in quanto la motivazione della sentenza impugnata circa la «significatività del contributo offerto dall’NOME» nella organizzazione e consumazione del delitto, è logica e adeguata, e non deriva da un travisamento della prova dichiarativa costituita dalle ammissioni dell’imputato. In queste ultime, riportate nella sentenza di primo grado a cui la pronuncia impugnata rinvia esplicitamente, quanto alla posizione del ricorrente, formando così una “doppia conforme” in cui le due pronunce si integrano in un unico complessivo corpo argomentativo, il ruolo dell’NOME non emerge come del tutto marginale, diversamente da quanto affermato nel ricorso. Egli, infatti, non si limitò a recarsi ad acquistare l’auto da usare per l’agguato in compagnia del cognato di un membro apicale del clan, bensì fu incaricato, direttamente da detto membro apicale, di trovare un’auto “pulita” e che “non desse nell’occhio” (così alla pag. 44 della sentenza di primo grado), e si adoperò in tal senso, non solo individuando il veicolo con le caratteristiche richieste, ma anche procurandosi dei documenti falsi, per acquistarla personalmente ma sotto falsa identità. Egli, quindi, era ritenuto una persona di fiducia dai vertici del clan, ch si erano rivolti direttamente a lui, ed ha svolto un’attività complessa, finalizzata ad impedire che attraverso l’auto, qualora individuata come quella utilizzata per l’agguato, si potesse risalire a lui stesso e, tramite lui, ai capi dell’associazione E’ pertanto logica l’affermazione, contenuta alla pag. 21 della sentenza impugnata, della significatività e non marginalità del contributo fornito, in quanto essenziale per l’organizzazione dell’omicidio e per la sua consumazione secondo le modalità programmate.
Quanto all’essere stato egli accompagnato, per perfezionare l’acquisto, dal cognato del COGNOME, la possibile interpretazione fornita dal ricorrente, che si
trattasse di una forma di controllo nei confronti del ricorrente, è smentita dalle stesse affermazioni di quest’ultimo, che, a proposito di detta persona, affermò di “credere” che fosse a conoscenza del motivo dell’acquisto, manifestando così il dubbio che costui fosse addirittura ignaro della necessità di usare quel veicolo per commettere un omicidio, dubbio che dimostra come quest’ultimo, nonostante il legame di parentela, rivestisse un ruolo del tutto marginale e non potesse, pertanto, essere incaricato di svolgere alcun controllo sull’NOME.
Non si ravvisa, quindi, alcun travisamento della prova dichiarativa da parte dei giudici di appello. Tale prova, infatti, è stata in realtà valutata negli ste termini della sentenza di primo grado, che alla pagina 64 ha valutato il ricorrente «come colui che partecipava alle … fasi organizzative ed esecutive» dell’omicidio, é gli ha attribuito addirittura «un ruolo di vertice» all’interno del clan, senza ch tali affermazioni siano state oggetto di uno specifico motivo di appello, o che siano state censurate come frutto di un travisamento della prova dichiarativa.
In assenza di un simile travisamento, il motivo di ricorso si traduce in una mera richiesta di una diversa valutazione della prova, rispetto alla valutazione fornita, in modo del tutto analogo, dalle due sentenze di merito. E’ invece un consolidato principio della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui «esula dai poteri della Cassazione, nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell'”iter” argomentativo di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione» (Sez. 6, n. 1354 del 14/04/1998, Rv. 210658; Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Rv ‘. 216260; da ultimo, Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Rv. 284556).
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
L’attenuante di cui all’art. 114 cod.pen. è stata legittimamente esclusa per il verificarsi della causa ostativa rappresentata dalla sussistenza di uno dei casi previsti dall’art. 112 cod.pen., quale l’essere stato il delitto commesso da almeno cinque persone riunite. Tale circostanza, infatti, è stata contestata in fatto, indicando, al capo A) dell’imputazione, il concorso dell’NOME con altri quattro correi.
Per l’operatività della preclusione stabilita dall’art. 114, comma 2, cod.pen. non è necessario che l’aggravante di cui all’art. 112 cod.pen. sia contestata ed esplicitamente ritenuta. Tale norma stabilisce, genericamente, che l’attenuante non si applica «nei casi indicati dall’art. 112 cod.pen.», e quindi quando il reato
presenta una delle caratteristiche descritte nell’articolo. Infatti la preclusione è ritenuta operante anche quando il numero dei concorrenti costituisce un’aggravante specifica del reato, che viene quindi contestata al posto dell’art. 112 cod.pen., essendo la norma di cui all’art. 114, comma 2, cod.pen. interpretata come individuante una circostanza ostativa nell’essere il reato aggravato dalla partecipazione ad esso di più persone in concorso tra loro (vedi Sez. 3, n. 17180 del 05/03/2020, Rv. 279014; Sez. 2, n. 18540 del 19/94/2016, Rv. 266852).
La giurisprudenza di legittimità, inoltre, ritiene sempre ammissibile la contestazione di un’aggravante solo in fatto, come nel presente caso (vedi Sez. U., n. 18 del 21/06/2000, Rv. 216430, in relazione alla contestazione dell’aggravante di cui all’art. 112, comma 1, n. 1, cod.pen., e le molte pronunce successive).
4. Infine, è infondato il terzo motivo di ricorso.
Le due sentenze di merito motivano in modo sufficiente e non illogico il diniego delle attenuanti generiche, con riferimento alla gravità del reato commesso, a cui il ricorrente ha partecipato con premeditazione e con la piena consapevolezza delle sue finalità di sopraffazione di un clan rivale, e alla personalità dedotta dai molti e rilevanti precedenti penali, e quindi verificandone la concedibilità alla luce dei criteri di cui all’art. 133 cod.pen.
Quanto alla rilevanza della confessione, la Corte di assise di appello l’ha ritenuta necessaria per la concessione dell’attenuante della dissociazione attuosa, ma non ulteriormente valutabile per concedere le attenuanti generiche. Questa affermazione è conforme all’indirizzo espresso nella sentenza Sez. 6. n. 43890 del 21/06/2017, Rv. 271099, ed altre, secondo cui «gli elementi posti a fondamento della concessione della circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all’art.8, d.l. 13 maggio 1991, n.152, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n.203 (cosiddetta attenuante della “dissociazione attuosa”), non possono essere utilizzati per giustificare anche il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche», stante la diversità dei relativi presupposti. Questo indirizzo è condivisibile in quanto non manifestamente illogico, e nel presente caso la insufficienza della confessione per concedere le attenuanti generiche, a fronte della gravità del reato e della capacità a delinquere dell’imputato dimostrata dai precedenti penali, è giustificata anche dalla valutazione circa la sua non utilità per la individuazione di altri correi, già indicati da altri collaboranti, e circa significatività e non marginalità del contributo fornito per la preparazione e la realizzazione del duplice omicidio.
Questo motivo ricorso, inoltre, è generico, perché il ricorrente non ind alcun elemento favorevole che giustifichi la concessione delle richies attenuanti, ad eccezione della predetta dissociazione attuosa. Il ricor riduce, pertanto, alla richiesta di una diversa valutazione degli element esaminati dai giudici di merito, richiesta che deve essere ritenuta ammissibile, dal momento che, secondo i principi dettati da questa Corte, tema di attenuanti generiche il giudice del merito esprime un giudizio di fatt cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non manifestament illogica né contraddittoria (vedi Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269).
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve pertant essere respinto, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spe processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso il 25 ottobre 2023
Il Consigliere estensore
GLYPH
I Presidente