Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9273 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9273 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a Reggio Calabria il 26/01/1965 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia;
NOME COGNOME nato a Reggio Calabria il 26.11.1977, deceduto già rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME di fiducia;
avverso la sentenza in data 07/12/2023 della Corte di appello di Reggio Calabria;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; preso atto che è stata richiesta dalle parti la trattazione orale; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME per essere il reato a lui ascritto estinto per morte dell’imputato e declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME;
udita la discussione del difensore della parte civile, avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso nei confronti della posizione di COGNOME Giuseppe chiedendo il rigetto del ricorso e ha depositato nota spese;
udita la discussione del difensore del ricorrente COGNOME Giuseppe che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
letta la memoria scritta depositata in data 19 giugno 2024 del difensore del ricorrente NOME COGNOME avv. NOME COGNOME con la quale è stata rappresentato il decesso dell’imputato il giorno 29/04/2024 con allegazione del certificato di e richiesta di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata;
dato atto che la celebrazione del presente procedimento, fissata per l’udienza del 12 luglio 2024, è stato differita al giorno 4 novembre 2024 e, ulteriormente, alla data odierna (con relativa sospensione del termine di prescrizione dei reati sino alla data odierna) avendo l’avv. COGNOME difensore del ricorrente COGNOME Giuseppe, aderito alla astensione proclamata dall’unione Camere Penali per le giornate del 12 luglio e 5 novembre 2024.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Reggio Calabria, per quanto in questa sede rileva, confermava la pronuncia di primo grado del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria emessa in data 05/07/2023 nella parte in cui, in esito a giudizio abbreviato, aveva dichiarato entrambi i ricorrenti responsabili del delitto di rapina aggravata commesso in data 14/11/2012 (capo A) ed il ricorrente NOME COGNOME anche del reato di detenzione e porto di arma comune da sparo clandestina (capo D, in esso assorbiti gli addebiti sub B e C); rideterminava la pena inflitta a NOME COGNOME previa esclusione della recidiva specifica ed infranquinquennale, in anni quattro di reclusione ed euro 1000,00 di multa.
1.1. L’addebito di rapina era ravvisato a carico di NOME COGNOME in qualità di esecutore materiale e a carico di NOME COGNOME nella veste di mandante; persona offesa era l’avvocato NOME COGNOME (ex marito della sorella di NOME COGNOME) presso il cui studio professionale NOME COGNOME si introduceva travisato in volto e, con violenza fisica e minaccia attuata con un’arma comune da
sparo clandestina, si impossessava di monili in oro e orologi custoditi nella cassaforte. Erano ravvisate le aggravanti dell’avere commesso il fatto in più persone riunite (una delle quali –COGNOME NOME – intranea alla cosca mafiosa COGNOME del rione INDIRIZZO e poi affiliato al sodalizio NOME COGNOME), con l’uso di arma e con travisamento, in luogo tale da ostacolare la privata difesa e, infine, dell’avere cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità.
Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, tramite i rispettivi difensori di fiducia
Nell’interesse di COGNOME NOME sono stati articolati tre motivi.
3.1. Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen. in relazione all’art. 416-bis.1, comma 3, cod. pen. e all’art. 8 decreto legge 13 maggio 1991 n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991 n. 203; vizio di motivazione in quanto meramente apparente, contradditoria e illogica nonché omessa con riferimento a talune censure difensive dedotte nell’atto dì appello.
La Corte territoriale non ha riconosciuto l’attenuante speciale prevista dall’art. 416 -bis.1, terzo comma, cod. pen. in relazione al capo A) di imputazione e tale assunto è erroneo.
A carico di COGNOME NOME è stata formalmente contestata e ritenuta l’aggravante dell’avere commesso la rapina quale soggetto facente parte di una associazione mafiosa; il delitto in questione è stato realizzato grazie all’avallo della cosca NOME COGNOME ed esso rappresenta proprio uno dei reati fine del sodalizio che sono stati oggetto anche di separati procedimenti nell’ambito dei quali all’imputato è stata riconosciuta l’attenuante speciale prevista dall’art. 416-bis.1, terzo comma, cod. pen. A sostegno, il ricorrente richiama la documentazione già prodotta ed ammessa nel giudizio di appello di cui la Corte territoriale non ha tenuto conto e le pronunce di cui agli allegati A) e B) del presente ricorso.
In particolare, rileva che nell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare relativo al procedimento n. 4681/20 RGNR nel quale NOME COGNOME è imputato per il delitto di cui agli artt. 416 e 416 bis cod. pen. viene riportato l’elenco dei reati fine rispetto alla fattispecie associativa che comprende anche le contestazioni oggetto del presente procedimento.
3.2.Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 62 bis e 133 cod. pen., vizio di motivazione in quanto meramente apparente, contradditoria e illogica nonché omessa con riferimento ad alcune censure difensive.
La Corte territoriale ha confermato il giudizio di mera equivalenza delle concesse attenuanti generiche alle aggravanti contestate, anziché effettuare il bilanciamento delle stesse in termini di prevalenza, come invocato nell’atto di appello, in considerazione del consistente contributo collaborativo prestato dall’imputato, sul punto la motivazione è graficamente mancante.
Quanto alla dosimetria della pena base stabilita per il più grave delitto di rapina, la motivazione è meramente apparente.
3.3. Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen. in relazione all’art. 157 cod. pen. vizio di motivazione in quanto meramente apparente, contradditoria e illogica nonché omessa con riferimento ad alcune censure difensive.
La Corte territoriale ha ritenuto che il reato di cui all’art. 23, comma 4, legge n. 110 del 1975 di cui al capo D) non fosse prescritto al momento della pronuncia di secondo grado in ragione della contestata recidiva specifica e reiterata; ha tuttavia mancato di considerare che il Giudice per l’udienza preliminare ha emesso declaratoria di prescrizione per l’ipotesi di cui al comma 3 dello stesso art. 23 legge n. 110 del 1975, dal che si ricava implicitamente che la ritenuta recidiva era stata disapplicata.
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati depositati due distinti ricorsi con articolazione dei motivi che di seguito si illustrano.
4.1. Nel ricorso a firma Avv. COGNOME si deduce: -violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt 192, 533 cod. proc. pen e 628 cp cod.pen., vizio di motivazione per mancanza e/o manifesta illogicità e contradditorietà.
La Corte territoriale ha confermato il giudizio di responsabilità del ricorrente per la contestata rapina disattendendo, in violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., i criteri di valutazione della chiamata in correità che deve essere sottoposta alla triplice verifica della credibilità soggettiva del dichiarante, della attendibi intrinseca della dichiarazione eteroaccusatoria e della esistenza di riscontri esterni convergenti e individualizzanti in relazione al fatto oggetto dell’accusa e alla specifica condotta criminosa dell’incolpato; tale vaglio deve altresì essere particolarmente attento e rigoroso laddove si versi nel caso di chiamata de relato; la valutazione c.d. frazionata delle dichiarazioni accusatorie è consentita solo allorquando non vi sia interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta non attendibile e quella che invece sia valutata credibile perché adeguatamente riscontrata.
A tali principi il Giudice di appello non si è conformato.
La Corte territoriale ha assolto i coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME per la rapina in contestazione rilevando il difetto di riscontri esterni al chiamata in correità di NOME COGNOME ma non ha spiegato le ragioni per le quali l’inattendibilità del portato dichiarativo del chiamante rispetto ai du coimputati non abbia inciso sulla credibilità di costui anche rispetto alla accusa mossa a NOME COGNOME in particolare non ha affrontato il preliminare profilo della “interferenza fattuale e logica” che nel caso di specie è evidente.
NOME COGNOME ha infatti riferito che la rapina era stata eseguita su mandato di NOME COGNOME e di avere appreso ciò da suo nipote NOME COGNOME.
Innanzitutto si è al cospetto di una dichiarazione de relato che imponeva un controllo particolarmente rigoso e penetrante della dichiarazione appresa dal terzo, accertamento che la Corte territoriale non ha compiuto, benchè nessun dettaglio specifico fosse stato riferito dal nipote in ordine al luogo, al tempo e all caratteristiche del mandato asseritamente conferito da NOME COGNOME
In secondo luogo è palese l’interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato che concerne il coinvolgimento di NOME COGNOME nella rapina (ritenuto dalla Corte di appello inattendibile per mancanza di riscontri) e quella che attiene il mandato ad eseguirla: il venir meno infatti della attribuibilità al nipote dell’azio predatoria, travolge il dato storico di partenza rappresentato proprio dal mandato che NOME COGNOME avrebbe conferito a NOME COGNOME e di cui quest’ultimo avrebbe riferito allo zio NOME
Erronea è anche la valutazione concernente i riscontri alle propalazioni di NOME COGNOME che, già di per sé sole, sono caratterizzate da genericità e “oggettiva debolezza”.
Gli elementi valorizzati dalla Corte territoriale quali conferme esterne sono privi di capacità dimostrativa rispetto non solo al fatto storico della rapina in contestazione ma anche alla specifica condotta ascritta a NOME COGNOME
I Giudici di appello hanno individuato un preciso riscontro nelle dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME che, tuttavia, non ha fornito elementi conoscitivi di natura oggettiva, bensì solo fatti congetturali (cioè il sospetto che l rapina fosse stata commissionata dai cognati) e frutto del forte sentimento di acredine nutrito nei confronti della ex moglie e della cerchia familiare di costei.
NOME COGNOME ha riferito che solo la moglie ed il padre sapevano della presenza della cassaforte ove erano custoditi i beni rapinati: tale affermazione proviene da soggetto portatore di astio, appare in sé e per sé inverosimile (la decisione di riporre i monili e gli orologi nella cassaforte dell’ufficio era stata presa da COGNOME proprio per sottrarli ad eventuali aggressioni della moglie con la quale i rapporti erano pessimi ed era incorso una complessa separazione giudiziale) e risulta
smentita dalla socia, NOME COGNOME la quale ha invece dichiarato che l’esistenza della cassaforte in questione era circostanza nota a tutti i componenti dello studio professionale.
I Giudici di appello hanno inoltre affermato che l’unico movente della rapina era da individuare nei contrasti con la moglie e la sua famiglia, ma tale assunto si fonda sui semplici sospetti palesati da NOME COGNOME e riferiti in modo approssimativo da NOME COGNOME
Né l’incontro fugace con NOME COGNOME e il nipote di cui NOME COGNOME ha riferito varrebbe a rendere più dettagliato ed affidabile il racconto di quest’ultimo in ordine al ruolo di mandante della rapina addebitato al ricorrente. Trattasi peraltro di circostanza non riscontrata e comunque avvenuta post delictum.
La motivazione della sentenza impugnata è poi carente nella valutazione della l’attendibilità del narrato di NOME COGNOME che è costellato da numerose contraddizioni compiutamente indicate nell’atto di appello e che diverge marcatamente dalla ricostruzione della rapina resa da coloro che vi avevano assistito con riferimento ad aspetti non certo marginali e cioè alle modalità di ingresso nello studio, alle armi utilizzate, al numero dei rapinatori, al valore dell refurtiva.
-violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 628 comma 3, cod. proc. pen. e vizio di motivazione
La Corte territoriale ha formulato giudizio di aprioristica ricorrenza in capo a NOME COGNOME delle circostanze aggravanti contestate in relazione all’addebito di rapina.
Proprio perché le dichiarazioni rese da NOME COGNOME sono del tutto generiche in ordine al mandato asseritamente conferito da NOME COGNOME costituisce mera presunzione l’affermare che l’azione predatoria fosse stata concertata dal ricorrente come da eseguirsi in più persone riunite travisate in volto, in possesso di armi e con modalità tali da ostacolare la privata difesa.
Quanto all’aggravante dell’essere stato commesso il fatto da persona appartenente ad associazione mafiosa, l’unica condanna riportata da NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. è molto risalente nel tempo, sicchè non può affermarsi che alla data di commissione della rapina costui facesse ancora parte di un sodalizio di tal fatta; la Corte territoriale ha poi omesso d considerare che il mandato sarebbe stato conferito a COGNOME NOME, soggetto mai condannato per reati di criminalità organizzata.
– violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod proc. pen. in relazione all’art. 6 comma 1, n. 7 cod.pen. e vizio di motivazione.
La Corte territoriale ha affermato la ricorrenza dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità , benchè nessun accertamento sul punto sia stato effettuato e nonostante le dichiarazione di NOME COGNOME che ha riferito di un bottino alquanto modesto, del resto risulta che NOME COGNOME non si è avvalso della copertura assicurativa esistente sui beni trafugati
– violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 23 comma 3 e comma 4, legge n. 110 del 1975 e vizio di motivazione.
Poiché le dichiarazioni rese da NOME COGNOME sono del tutto generiche in ordine al mandato asseritamente conferito da NOME COGNOME costituisce mera presunzione l’affermare che l’azione predatoria fosse stata concertata dal ricorrente prevedendo l’utilizzo di armi da sparo
– violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt 62 bis e 133 cod. pen., assenza illogicità e contradditorietà della motivazione.
La Corte territoriale ha determinato una pena base che si discosta dal minimo edittale senza spiegare le ragioni di tale scelta e senza considerare le specifiche censure dedotte nell’atto di appello.
Difetta la motivazione anche con riferimento alle invocate circostanze attenuanti generiche che il Giudice di primo non aveva riconosciuto.
5.1. Nel ricorso a firma Avv. COGNOME e avv. COGNOME si deduce:
-violazione degli artt. 187, 192, comma 1 e comma 2, cod. proc. pen., art. 628 comma 1, comma 3, comma 3 bis, cod. pen. e vizio di motivazione
Erronea è la valutazione dei Giudici di appello in punto di verifica della credibilità soggettiva del dichiarante NOME COGNOME
Quanto alla genesi della collaborazione, è la stessa Corte territoriale a dare conto di un primo periodo di collaborazione di” non particolare pregnanza” da cui non erano scaturiti processi a carico degli accusati e del fatto che vi era stata ammissione ad un programma di protezione dal quale, tuttavia COGNOME era uscito per capitalizzazione delle misure di assistenza economica con successiva ripresa di attività delittuose; a ciò era seguito un nuovo percorso collaborativo intrapreso nel 2019 avente ad oggetto anche la rapina in contestazione. Già tale particolare iter, di cui lo stesso Giudice di appello ha dato conto, avrebbe dovuto rivestire un significativo peso nella valutazione della credibilità soggettiva del dichiarante che nell’interrogatorio reso in data 08/08/2019 ha spiegato come la prima collaborazione non era stata veritiera avendo egli evitato di riferire una serie di fatti a carico di esponenti della consorteria dei NOME COGNOME a cui apparteneva, garantendo loro che, se chiamato a deporre, non avrebbe confermato le accuse. L’ulteriore scelta di ricorrere una seconda volta allo strumento della collaborazione avrebbe quindi imposto una più che approfondita verifica della credibilità
soggettiva, specie sotto il profilo dello scopo meramente utilitaristico di tale atteggiarsi e cioè da ritenersi unicamente orientato ad ottenere benefici premiali poiché gravato da una pesante condanna a dieci anni di reclusione.
La Corte di appello non ha neppure svolta la necessaria verifica della attendibilità intrinseca del narrato di NOME COGNOME che è vacuo, presenta crepe narrative, pecca di precisione e coerenza, risulta divergente – rispetto agli elementi salienti delle modalità organizzative ed esecutive e non a mere imprecisioni di contorno- dalla ricostruzione dell’azione predatoria operata dai soggetti che vi avevano assistito, tanto da far sorgere il dubbio che ad essa egli non abbia preso parte pur attribuendosene la paternità e della stessa abbia a grandi linee semplicemente appreso da altri.
In particolare, si tratta di un portato dichiarativo che presenta non imprecisioni bensì “marchiani e macroscopici errori” per quanto concerne il numero delle armi utilizzate, la violenza fisica perpetrata in danno di COGNOME NOME e delle altre persone presenti nello studio professionale, i danni causati e le circostanze della fuga.
La sentenza impugnata è manifestamente illogica e contradditoria anche sul piano della individuazione e rassegna degli elementi di riscontro individualizzanti. La Corte territoriale non si è confrontata con la circostanza che il coinvolgimento del NOME nella rapina era stato indicato in termini di sospetto dallo stesso NOME COGNOME durante la esecuzione della stessa (egli aveva infatti chiesto ai rapinatori se fossero stati incaricati dai suoi cognati) e tale dato finisc inevitabilmente per svilire il riscontro esterno individuato nella denuncia sporta da COGNOME nell’immediatezza del fatto nella parte in cui aveva esternato il dubbio che i mandanti fossero i familiari della ex moglie.
Un ulteriore vulnus di logicità si ravvisa laddove i Giudici di appello attribuiscono natura di riscontro al fatto che COGNOME avesse dichiarato in denuncia che i rapinatori sapevano dell’esistenza di una cassaforte all’interno dello studio e della sua precisa collocazione nell’ufficio, in realtà NOME COGNOME ha affermato che la cassaforte in questione era stata da lui autonomamente individuata poiché NOME aveva indicato una ubicazione diversa, senza contare che il mero dato della presenza di un caveau non può assurgere a riscontro essendo risaputo che in uno studio professionale di solito tale oggetto è presente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME va dichiarato inammissibile.
1.1. Manifestamente infondato è il primo motivo con il quale si deduce violazione dell’art. 416-bis.1, comma 3, cod. pen. e dell’ art. 8 decreto legge 13 maggio 1991 n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991 n. 203, nonché vizio di motivazione della sentenza impugnata in relazione al mancato riconoscimento della attenuante speciale prevista dall’art. 416-bis.1, comma terzo, cod. pen. con riferimento al delitto di rapina contestato al capo a) di imputazione.
Va ricordato il pacifico orientamento di questa Corte, al quale si intende dare continuità, secondo cui, ai fini della applicabilità della speciale attenuante contemplata dall’art. 8 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991 n. 203 (ora prevista dall’art. 416 bis.1, comma terzo, cod. pen.) per coloro che si dissociano dalle organizzazioni di tipo mafioso adoperandosi per evitare che l’attività delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze, non è richiesta la formale contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 7 della stessa legge (ora prevista dall’art. 416 bis.1, comma primo, cod. pen.), ma occorre che dagli atti del processo emergano elementi certi ed univoci idonei a comprovare che il reato contestato risulti “in fatto” commesso dall’imputato in presenza delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen. ovvero per agevolare l’attività di un’associazione di tipo mafioso (Sez. 4 n. 32159 del 29/05/2019, COGNOME, Rv. 276687; Sez. 2 n. 12330 del 05/12/2018, COGNOME, Rv. 276324; Sez. 1 n. 21783 del 20/10/2016, Lin e altri, Rv. 270006; sez. 4 n. 30062 del 20/06/2006, COGNOME, Rv. 235179).
Nel caso di specie, la Corte territoriale (pag. 14 paragrafo 8 della sentenza impugnata),, ha correttamente applicato tale principio di diritto osservando che, al di là della assenza di formale contestazione con riferimento all’addebito sub A), dagli atti non emergevano concreti elementi fattuali dai quali desumere che la rapina commessa in danno di NOME COGNOME fosse stata connotata dal c.d. metodo mafioso, ovvero realizzata proprio al fine di agevolare l’attività della associazione mafiosa di cui COGNOME faceva parte (la cosca NOME COGNOME) .
Al riguardo ha evidenziato, con motivazione puntuale e condotta in piena aderenza alle risultanze processuali, che l’azione predatoria – seppure materialmente commessa da un soggetto facente parte di associazione mafiosa non era stata realizzata nell’interesse di tale sodalizio atteso che il profitto er stato diviso esclusivamente tra i correi e che lo stesso imputato (ritenuto pienamente attendibile) ne aveva delineato il movente indicandolo in una rappresaglia correlata alla burrascosa separazione di COGNOME dalla moglie (sorella del mandante NOME COGNOME) e alla relazione che questi aveva instaurato con un’altra donna.
La rapina non era neppure connotata dal c.d. metodo mafioso in quanto la minaccia e la violenza fisica nei confronti di COGNOME era stata realizzata in più
persone riunite, travisate al volto, con l’uso di un’arma utilizzata anche per colpire la vittima, quindi con modalità non evocative della forza intimidatrice propria della organizzazione a cui COGNOME apparteneva, così da porre la vittima in una condizione di soggezione ulteriore ben più penetrante, energica ed efficace rispetto a quella solitamente derivata dall’agire di un delinquente comune.
Con tali affermazioni i giudici di secondo grado hanno, dunque, implicitamente ritenuto l’irrilevanza della documentazione difensiva acquisita nel giudizio di appello attestante il fatto che la rapina in danno di COGNOME fosse stata costruita dalla pubblica accusa quale reato fine della cosca NOME COGNOME e che altre autorità giudiziarie (il cui decisum era evidentemente non vincolante) avessero riconosciuto a COGNOME l’attenuante della collaborazione con riferimento ad altri reati- scopo.
La Corte territoriale ha sviluppato un costrutto argomentativo tutto correttamente incentrato sulle concrete modalità dell’illecito e sulle stesse dichiarazioni rese dall’imputato che escludevano la ricorrenza “in fatto” dei presupposti richiesti per la concessione della invocata diminuente, sicchè la decisione sul punto è immune da vizi deducibili in sede di legittimità.
1.2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso relativo al mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche riconosciute dal giudice di primo grado sulle aggravanti contestate.
Ben diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente che denuncia la totale omessa motivazione al riguardo che sarebbe, dunque, graficamente mancante, la Corte territoriale (pag. 15 paragrafo 10 della sentenza impugnata) ha argomentato al riguardo spiegando che la diminuente di cui all’art. 62 bis cod. pen. (peraltro non bilanciabile con la ritenuta aggravante di cui all’art. 628, comma terzo n. 3bis, cod. pen., per espresso divieto legislativo) non poteva essere valutata in termini di prevalenza avuto riguardo al numero e al particolare ” peso specifico” delle aggravanti, alla oggettiva gravità del fatto e alla natura particolarmente qualificata della recidiva (sussistente nella forma reiterata e specifica).
Trattasi di giudizio fattuale di natura discrezionale che, in quanto argomentato e sorretto da considerazioni non manifestamente illogiche, è sottratto al sindacato di questa Corte.
I giudici di secondo grado hanno anche esaminato il punto relativo alla dosimetria della pena oggetto di censura nell’atto di appello e, lungi dal fornire una motivazione meramente apparente, ha evidenziato – così facendo buon governo dei criteri previsti dall’art. 133 cod. pen.- che la sanzione irrogata dal primo giudice era del tutto proporzionata alla gravità del fatto (in relazione al grado di violenza realizzata e al valore della refurtiva), al ruolo di primo piano
ricoperto dall’imputato e alla sua negativa personalità, stante i numerosi e gravi precedenti penali.
1.3. E’ infine inammissibile il terzo motivo di ricorso con il quale si prospetta la violazione dell’art. 157 cod. pen ed il vizio di motivazione in punto di mancata declaratoria di estinzione del delitto di cui all’art. 23, comma 4, legge n. 110 del 1975 contestato al capo D) e commesso in data 14 novembre 2012.
Del tutto correttamente la Corte di appello (pagg. 13 e 14 paragrafo 7 della sentenza impugnata) ha ritenuto non maturato il termine di prescrizione con riferimento a tale addebito sul presupposto della ricorrenza in capo all’imputato Morabito della recidiva reiterata e specifica la quale- diversamente da quanto sostiene il ricorrente – non è stata affatto esclusa dal giudice di primo grado, bensì espressamente applicata, come chiaramente ricavabile dal tenore del dispositivo della relativa sentenza ove si legge ” riconosciuta la recidiva contestata” ed ove è indicato in modo esplicito il riconoscimento a COGNOME NOME “delle circostanze attenuanti generiche in misura equivalente a tutte le contestate aggravanti”.
Con riferimento alla impugnazione proposta nell’interesse di NOME COGNOME nelle more del presente procedimento è intervenuta la morte dell’imputato, il decesso si è verificato in data 29 aprile 2024 come attestato dal certificato rilasciato in data 30/04/2024 dal Comune di Reggio Calabria e depositato dai difensori.
Per l’effetto, il reato al medesimo contestato è estinto, ai sensi dell’art. 150 cod. pen., con la conseguenza che la sentenza impugnata, per quanto riguarda le statuizioni relative, deve essere annullata senza rinvio ai sensi dell’art. 620, lett a), cod. proc. pen.
È, invero, consolidato l’orientamento di legittimità, che il Collegio ribadisce, secondo cui la morte dell’imputato, intervenuta successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, impone l’annullamento senza rinvio della sentenza, per estinzione del reato, con l’enunciazione della relativa causale nel dispositivo, risultando esaurito il rapporto processuale ed essendo preclusa ogni eventuale pronuncia di proscioglimento nel merito ex art. 129, comma secondo, cod. proc. pen., tanto più quando, come nel caso di specie, non risulti dal testo del provvedimento impugnato l’evidenza di alcuna delle situazioni previste da tale ultima disposizione (Sez. 4 n. 16819 del 20/04/2022, COGNOME, Rv. 283206; Sez. 3 n. 23906 del 12/05/2016, Patti, Rv. 267384; Sez. 1, n. 24507 del 09/06/2010, COGNOME, Rv. 247790; Sez. 4, Sentenza n. 36524 del 26/06/2008, COGNOME, Rv. 242114).
Alla inammissibilità del ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Va invece rigettata la richiesta formulata nei confronti dell’imputato di rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME atteso che l’impugnazione proposta non ha attinto il capo della responsabilità per il reato di rapina (unico per il quale vi è stat costituzione) e neppure quello delle statuizioni risarcitorie disposte per tale addebito, bensì il solo trattamento sanzionatorio, del tutto estraneo alle pretese civilistiche.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME perché il reato è estinto per morte dell’imputato.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende
Rigetta la richiesta di rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME Così deciso il 07/01/2025