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Attenuante lieve entità: la Cassazione chiarisce

Un soggetto condannato per rapina ha richiesto la riduzione della pena in base alla nuova attenuante di lieve entità. La Corte di Cassazione, confermando la decisione del giudice dell’esecuzione, ha respinto il ricorso. È stato chiarito che per la concessione dell’attenuante lieve entità è necessaria una valutazione complessiva del fatto, che include modalità, luogo e tempo dell’azione, e non è sufficiente la sola presenza di un danno patrimoniale di modesta entità.

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Pubblicato il 23 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Attenuante Lieve Entità per Rapina: Non Basta un Danno Minimo

Recentemente, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di grande interesse riguardante l’applicazione della nuova attenuante lieve entità per il reato di rapina, introdotta da una sentenza della Corte Costituzionale. La decisione chiarisce che il riconoscimento di questa attenuante non è automatico e richiede una valutazione complessa che va ben oltre la semplice constatazione di un danno patrimoniale modesto.

Il Caso: Richiesta di Sconto di Pena Dopo la Condanna

Un uomo, condannato in via definitiva per rapina, ha presentato un’istanza al giudice dell’esecuzione per ottenere una riduzione della pena. La richiesta si basava su una recente sentenza della Corte Costituzionale (n. 86/2024) che ha introdotto una specifica attenuante per i fatti di rapina di lieve entità.

Il giudice dell’esecuzione, tuttavia, ha respinto la richiesta. Nella sua ordinanza, ha evidenziato che, sebbene al condannato fossero state concesse le attenuanti generiche e quella per il danno di lieve entità (art. 62, n. 4, c.p.), la gravità complessiva del fatto non giustificava un’ulteriore riduzione della pena. Gli elementi considerati negativamente includevano l’aggressione avvenuta in orario serale, la partecipazione di più persone, l’effrazione nell’abitazione privata della vittima e il danno fisico e morale subito da quest’ultima.

I Criteri per l’Attenuante Lieve Entità e i Motivi del Ricorso

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo principalmente tre argomenti:
1. Il giudice dell’esecuzione avrebbe erroneamente considerato il danno fisico, già valutato per la concessione dell’attenuante comune del danno lieve.
2. La giurisprudenza ammette la possibilità di cumulare le due attenuanti (quella comune e quella speciale di matrice costituzionale).
3. La valutazione del giudice dell’esecuzione era in contrasto con quella del giudice di merito, che aveva definito modesta la somma sottratta e maldestre le modalità dell’azione.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte Suprema di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, fornendo importanti chiarimenti sull’applicazione dell’attenuante lieve entità.

In primo luogo, la Corte ha sottolineato che la valutazione richiesta per questa attenuante speciale è globale e complessa. Non si limita a un solo aspetto, come il valore dei beni sottratti, ma deve considerare tutti gli “indici” che definiscono la gravità del reato. Tra questi rientrano “la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero la particolare tenuità del danno o del pericolo”.

Nel caso specifico, il giudice dell’esecuzione ha correttamente bilanciato gli elementi: da un lato la modesta entità del danno, dall’altro le gravi modalità della condotta (azione di gruppo, in orario notturno, all’interno di un’abitazione privata). Questi ultimi elementi sono stati ritenuti preponderanti e ostativi al riconoscimento della speciale attenuante.

La Cassazione ha inoltre precisato che la possibile cumulabilità tra l’attenuante comune del danno lieve e quella speciale della lieve entità non implica che il riconoscimento della prima porti automaticamente al riconoscimento della seconda. I parametri di valutazione non sono perfettamente sovrapponibili. Concedere una riduzione di pena al di sotto dei limiti minimi previsti dalla legge richiede una motivazione più forte e una valutazione più rigorosa rispetto alla semplice applicazione di una pena nella parte bassa della “forcella edittale”.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: l’attenuante lieve entità è riservata a “ipotesi di lesività davvero minima”. Non è sufficiente che un singolo elemento, come il danno patrimoniale, sia di scarso rilievo. Il giudice deve analizzare l’intera condotta, inclusa l’offesa alla persona e le circostanze dell’azione, per stabilire se il fatto, nel suo complesso, possa essere considerato di gravità contenuta. Questa decisione consolida un approccio rigoroso, volto a garantire che benefici così significativi siano concessi solo nei casi che lo meritano veramente, preservando la razionalità del sistema sanzionatorio.

Il riconoscimento dell’attenuante del danno di speciale tenuità (art. 62, n. 4 c.p.) comporta automaticamente l’applicazione dell’attenuante della lieve entità per la rapina?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il riconoscimento dell’attenuante del danno di speciale tenuità non comporta automaticamente l’applicazione di quella per la lieve entità. I parametri di valutazione non sono completamente sovrapponibili e il giudice deve compiere una valutazione complessiva e autonoma che consideri tutti gli aspetti del fatto, come le modalità dell’azione, il luogo, l’orario e l’offesa alla persona.

Quali elementi deve considerare il giudice per valutare la ‘lieve entità’ in un reato di rapina?
Il giudice deve effettuare una valutazione complessiva che tenga conto di ‘indici’ specifici, quali l’estemporaneità della condotta, la scarsità dell’offesa personale alla vittima, l’esiguità del valore sottratto e l’assenza di profili organizzativi. Come specificato dalla Corte Costituzionale, si deve fare riferimento a ‘natura, specie, mezzi, modalità o circostanze dell’azione, ovvero alla particolare tenuità del danno o del pericolo’.

È possibile chiedere l’applicazione di una nuova attenuante introdotta dalla Corte Costituzionale al giudice dell’esecuzione se la sentenza di condanna non è ancora definitiva?
La Corte, pur decidendo nel merito, ha suggerito che la via corretta sarebbe stata sollevare la questione nel giudizio di cassazione ancora pendente. Poiché la sentenza della Corte Costituzionale era già in vigore prima che la condanna diventasse irrevocabile, l’imputato avrebbe dovuto presentare motivi aggiunti in quella sede, anziché attendere la fase esecutiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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