Attenuante Evasione: Rientrare a Casa Non Basta per lo Sconto di Pena
Il reato di evasione, disciplinato dall’articolo 385 del Codice Penale, punisce chi, legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade. La legge prevede, tuttavia, una specifica circostanza attenuante per chi si costituisce volontariamente. Ma cosa succede se, invece di costituirsi in carcere, la persona fa semplicemente rientro al proprio domicilio dove era sottoposta agli arresti? La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 19262 del 2024, offre un chiarimento decisivo sulla questione della cosiddetta attenuante evasione, stabilendo che non ogni forma di cessazione della condotta illecita merita uno sconto di pena.
I Fatti del Caso Giudiziario
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto condannato per il reato di evasione. La sua difesa contestava la decisione della Corte d’Appello di non concedere la circostanza attenuante prevista dal quarto comma dell’art. 385 c.p. La linea difensiva si basava sul fatto che l’imputato, dopo essersi allontanato, aveva fatto spontaneamente ritorno presso il luogo degli arresti domiciliari. Secondo il ricorrente, tale comportamento avrebbe dovuto essere valutato positivamente e ricondotto nell’alveo della norma premiale.
La Decisione della Corte di Cassazione sull’Attenuante Evasione
La Suprema Corte ha respinto la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che il motivo di ricorso fosse una mera riproposizione di una doglianza già esaminata e correttamente disattesa dalla Corte d’Appello. La decisione conferma, quindi, la linea interpretativa rigorosa sulla concessione dell’attenuante evasione. Per la Cassazione, non vi sono dubbi: il comportamento del ricorrente non era sufficiente a integrare i presupposti della norma.
Le Motivazioni della Sentenza
Il fulcro della decisione risiede nell’interpretazione della condotta richiesta per l’applicazione dell’attenuante. La Corte d’Appello, con una motivazione definita “corretta e congrua” dalla Cassazione, aveva già stabilito che la condotta del ricorrente – limitatasi a rientrare presso il luogo degli arresti domiciliari – non fosse idonea a integrare l’attenuante.
Il punto cruciale è che la norma premia un comportamento assimilabile alla “costituzione in carcere”. Questo implica un atto attivo di sottomissione all’autorità giudiziaria, una chiara manifestazione di volontà di ripristinare la legalità violata. Il semplice rientro a casa, al contrario, viene visto come un comportamento passivo, non equiparabile a un atto di consegna spontanea alle forze dell’ordine o presso un istituto penitenziario. La condotta dell’imputato, pertanto, non dimostrava quel ravvedimento attivo che il legislatore ha inteso premiare con una riduzione di pena.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per beneficiare dello sconto di pena previsto per il reato di evasione, non è sufficiente interrompere la condotta illecita. È necessario un “quid pluris”, un comportamento proattivo che dimostri la volontà del soggetto di mettersi a disposizione della giustizia. Questa pronuncia serve da monito, chiarendo che l’interpretazione della norma sull’attenuante evasione è restrittiva e non ammette estensioni a comportamenti ambigui o non pienamente collaborativi. La decisione comporta, per il ricorrente, non solo la conferma della condanna ma anche il pagamento delle spese processuali e di una sanzione di tremila euro a favore della Cassa delle ammende, a riprova della manifesta infondatezza del ricorso.
Per ottenere l’attenuante per il reato di evasione, è sufficiente rientrare nel luogo degli arresti domiciliari?
No, secondo l’ordinanza, il semplice rientro nel luogo degli arresti domiciliari non è una condotta idonea a integrare la circostanza attenuante speciale, in quanto non è assimilabile alla costituzione in carcere.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché riproponeva una censura già correttamente esaminata e respinta dal giudice di merito, con motivazioni ritenute dalla Cassazione corrette e congrue.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente dopo la dichiarazione di inammissibilità?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19262 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19262 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/06/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe indicata;
ritenuto che il motivo dedotto con il ricorso, afferente alla condanna del ricorrente in relazione al reato di cui all’art. 385 cod. pen., e avente ad oggetto la mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 385, comma 4, cod. pen., è inammissibile in quanto riproduttivo di profilo di censura già adeguatamente vagliato e disatteso con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito;
considerato, invero, che, con corretta e congrua motivazione, la Corte d’appello ha ritenuto che la condotta del ricorrente – che si limitava a rientrare presso il luogo degli arresti domiciliari – non fosse idonea ad integrare l’attenuante, non essendo comportamento assimilabile alla costituzione in carcere (cfr. pag.3);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22 marzo 2024
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