Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 18075 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 18075 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DCOGNOMENOME COGNOME nato a SAN CIPRIANO D’AVERSA il 06/10/1963
avverso la sentenza del 17/07/2024 della CORTE RAGIONE_SOCIALE di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di assise di appello di Napoli confermava la decisione in data 9 dicembre 2022, con la quale il G.u.p. del Tribunale di Napoli aveva condannato NOME COGNOME alla pena di 12 anni di reclusione per il reato di omicidio volontario pluriaggravato (artt. 110, 112, 81, cpv., 575, 577, primo comma, nn. 3 e 4, 61, nn. 1 e 4, e 416-bis.1., primo comma, cod. pen.), commesso in danno di NOME COGNOME con esclusione della contestata recidiva.
Dalle sentenze di merito emergeva che il 18 dicembre 1991, alle ore 20.00, personale della Squadra mobile della Questura di Caserta, dopo aver ricevuto una segnalazione anonima, si recò presso il distributore carburanti “Esso” sito in Pastorano, località Spartimento Abruzzi (CE), dove, all’interno del bar della stazione di servizio, rinvenne il cadavere di un uomo attinto da colpi di arma da fuoco.
La vittima, identificata in NOME COGNOME era un pregiudicato per delitti di lieve entità che lavorava come guardiano presso l’azienda agricola di proprietà dei COGNOME a Pignataro Maggiore.
L’COGNOME si trovava in compagnia del proprietario del bar quando venne raggiunto da tre individui, i quali, con il volto travisato e muniti di fucile, esplose contro di lui numerosi colpi di arma da fuoco, cagionandone la morte.
Le indagini non approdarono, inizialmente, ad alcun risultato.
Dopo alcuni anni, grazie alle convergenti dichiarazioni autoaccusatorie dei collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME esecutori materiali di tale omicidio, si accertò che l’assassinio era stato commesso nel contesto di una faida all’epoca esistente tra il clan COGNOME e la fazione COGNOME del clan dei Casalesi per il controllo dei centri di macero delle pesche.
L’uccisione di COGNOME era stata decretata dal suddetto clan per vendicare l’omicidio di NOME COGNOME fratello di NOME, soggetto apicale del sodalizio, avvenuto a Grazzanise il 22 ottobre 1985 con il coinvolgimento dell’COGNOME nel ruolo di “specchiettista”.
2. La Corte di assise di appello condivideva la valutazione operata dal primo giudice sulla responsabilità del COGNOME escludendo la recidiva contestata all’imputato, ma mantenendo inalterato il trattamento sanzionatorio.
Confutava, poi, i motivi di gravame afferenti alla misura della riduzione della pena apportata per effetto dell’attenuante di cui all’art. 8 I. n. 203/91 (ora art. 416-bis.1., terzo comma, cod. pen.), al diniego delle attenuanti generiche e alla esclusione del vincolo della continuazione tra il reato sub iudice e altri reati di omicidio e di associazione mafiosa giudicati con sentenze irrevocabili.
‘2. Ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, per il tramite del suo difensore, sviluppando quattro motivi.
2.1. Con il primo, si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 416-bis.1., terzo comma, cod. pen.
La Corte di merito avrebbe errato nell’applicazione in misura ridotta dell’attenuante in esame, non avendo tenuto conto in modo adeguato del contributo conoscitivo fornito dall’imputato, ritenuto di “assoluta rilevanza” dal primo giudice.
2.2. Con il secondo motivo, si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze di cui all’art. 62-bis cod. pen., avendo la Corte territoriale ritenuto erroneamente che l’eventuale concessione delle attenuanti generiche sarebbe stata un’inutile duplicazione del riconoscimento dell’attenuante speciale della c.d. dissociazione attuosa.
2.3. Con il terzo motivo, si eccepisce il vizio di motivazione in ordine alla entità della pena (artt. 133 cod. pen. e 27 Cost.), rimproverandosi ai giudici del gravame di non aver chiarito le ragioni per le quali, pur avendo escluso la recidiva ritenuta in primo grado, non avrebbero modificato in me/ius il trattamento sanzionatorio.
2.4. Con il quarto e ultimo motivo, infine, si contestano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 81, cpv., cod. pen. e 671 cod. proc. pen.
Lamenta il ricorrente che la Corte abbia contraddittoriamente escluso il vincolo della continuazione tra il reato sub iudice e quelli già giudicati con sentenze rese dalla Corte di assise di appello di Napoli, rispettivamente, in data 19 giugno 2008 (concernente il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. e plurimi omicidi avvenuti tra il 1988 e 1992), 14 giugno 2019 (n. 60/2019, inerente a delitto di omicidio avvenuto il 21 ottobre 1992) e il 10 giugno 2021 (n. 50/21, avente ad oggetto delitto di omicidio avvenuto il 23 giugno 1991), nonostante la Corte medesima, in funzione di giudice dell’esecuzione, avesse riconosciuto l’identità del disegno criminoso tra i reati associativi mafiosi commessi dal 1988 al 2005, gli omicidi consumati tra 11 1988 e il 1992 e gli omicidi giudicati con le due sentenze da ultimo indicate.
Il Procuratore generale di questa Corte, dapprima nella sua requisitoria scritta “da valere anche quale memoria”, poi nella trattazione orale in udienza, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato, perché, nel complesso, infondato.
Destituito di fondamento è il primo motivo di ricorso.
2.1. Giova rammentare, in linea con il consolidato orientamento di legittimità, che l’esame del giudice sulla ricorrenza dei presupposti della speciale attenuante della dissociazione, prevista per i delitti di criminalità organizzata dall’art. 8 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 1991, n. 203 (ed oggi dall’art. 416-bis.1., terzo comma, cod. pen.), non può che essere limitato a quanto riferito dall’imputato nel singolo procedimento in ordine ai reati oggetto dello stesso, solo in relazione ai quali vengono in rilievo decisività e concretezza dell’apporto fornito, restando estraneo a tale esame il contributo offerto in altri procedimenti per vicende delittuose diverse (Sez. 2, n. 46385 del 15/10/2021, COGNOME, Rv. 282439 – 02).
Va, inoltre, tenuto presente che l’applicazione della suddetta circostanza attenuante non può essere legata ad un mero atteggiamento di resipiscenza, ad una confessione delle proprie responsabilità o alla descrizione di circostanze di secondaria importanza, ma richiede una concreta e fattiva attività di collaborazione dell’imputato, volta ad evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori e a coadiuvare gli organi inquirenti nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e la cattura degli autori dei del (Sez. 1, n. 52513 del 14/06/2018, L., Rv. 274190 – 01).
2.2. Ciò detto, osserva il Collegio che la Corte di merito, nel confermare l’applicazione della pena base nella misura di 18 anni di reclusione nell’ambito di una forbice edittale che va dai 12 ai 20 anni, non si sia affatto “trincera(ta) dietro al tipo di delitto commesso ed alle modalità”, come dedotto in ricorso, ma abbia stigmatizzato, principalmente, il concreto modo di atteggiarsi della condotta collaborativa posta in essere dal COGNOME il quale, dopo aver reso, in un primo interrogatorio del 19 agosto 2013, una confessione generica con indicazione dei suoi complici senza specificarne i ruoli (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME), aveva fornito il suo contributo più importante tre anni dopo, in data 5 ottobre 2016, solo a seguito delle dichiarazioni rese dal coimputato NOME COGNOME che, in data 1° luglio 2015, aveva spiegato nel dettaglio dinamica e causale dell’omicidio COGNOME.
La decisione dei giudici di merito, nel sostituire la pena dell’ergastolo con quella detentiva temporanea, di non applicare nella misura massima la riduzione per la collaborazione è, dunque, fondata su argomenti corretti e adeguati, con i quali sono stati messi in luce, in chiave critica, l’originaria genericità del narrato la successiva non spontaneità del contributo dichiarativo, poiché essenzialmente debitore delle antecedenti e più articolate propalazioni rese da un coimputato.
A tale già adeguato costrutto argomentativo si affianca, ma solo in aggiunta (“A ciò si deve aggiungere…”: pag. 4 della sentenza impugnata), quale elemento
ulteriore, peraltro superfluo – per quanto detto – nell’economia motivazionale, il riferimento alla “inaudita ferocia della condotta posta in essere”, alla “ferma intenzione con cui il crudele disegno omicida, a lungo coltivato, veniva portato a compimento con il contributo di primo piano dell’imputato” e alla “allarmante capacità a delinquere dimostrata dall’imputato con la commissione del fatto”: indicatori, quelli elencati dalla Corte di merito, ricompresi nei parametri normativi di cui all’art. 133 cod. pen. e apprezzati alla luce di un recente orientamento ermeneutico (Sez. 1, n. 35804 del 06/06/2023, COGNOME, non mass.) in parte dissonante da quello attualmente maggioritario (espresso da Sez. 2, n. 18875 del 30/04/2021, COGNOME, Rv. 281287 – 01; Sez. 1, n. 31423 del 19/06/2015, COGNOME e altri, Rv. 264756 – 01; Sez. 2, n. 34148 del 05/05/2015, COGNOME e altri, Rv. 264529 – 01; Sez. 2, n. 32645 del 18/06/2013, Rv. 256789 – 01: secondo tali decisioni, l’incidenza dell’attenuante speciale della collaborazione nel calcolo della pena non può essere ridimensionata in ragione di valutazioni inerenti alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell’imputato, ovvero alle motivazioni che hanno determinato l’imputato alla collaborazione).
Aspecifico e, comunque, manifestamente infondato è il motivo con cui si lamenta il diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Occorre ricordare che la concessione delle attenuanti generiche e la concessione dell’attenuante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen. si fondano su distinti e diversi presupposti, sicché le prime non escludono, ma nemmeno necessariamente implicano, l’applicazione della seconda.
Invero, mentre l’art 62 bis cod. pen. attribuisce al giudice la facoltà di cogliere, sulla base di numerosi e diversificati dati sintomatici (motivi che hanno determinato il reato, circostanze che lo hanno accompagnato, danno cagionato, condotta tenuta “post delictum”, ecc.), quegli elementi che possono suggerire l’opportunità di attenuare la pena edittale, l’attenuante speciale è conseguenza del valido contributo fornito dall’imputato allo sviluppo delle indagini e dell’attivit dallo stesso posta in essere allo scopo di evitare le ulteriori conseguenze della attività delittuosa (Sez. 2, n. 27808 del 14/03/2019, COGNOME, Rv. 276111 – 02; Sez. 5, n. 1703 del 24/10/2013, dep. 2014, COGNOME e altri, Rv. 258958 – 01; Sez. 6, n. 20145 del 15/04/2010, COGNOME e altri, Rv. 247387 – 01; Sez. 1, n. 14527 del 03/02/2006, COGNOME e altri, Rv. 233938 – 01; Sez. 1, n. 2137 del 05/11/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212531 – 01).
In definitiva, la condotta collaborativa può fondare la concessione dell’attenuante di cui all’art. 416-bis.1., comma terzo, cod. pen., ma non è, “ex se”, sufficiente per l’applicazione anche delle circostanze attenuanti generiche (Sez. 2, n. 34126 del 05/06/2024, COGNOME, Rv. 286921 – 07).
3.1. La Corte territoriale ha confermato la valutazione del giudice di primo grado in punto di diniego delle attenuanti generiche con una motivazione compiutamente argomentata, che si sottrae, pertanto, a censure spendibili in sede di legittimità.
Non solo ha rilevato – in ciò neppure smentita dalla difesa – l’assenza di elementi di fatto, ulteriori a quelli posti a fondamento del riconoscimento dell’attenuante della collaborazione, da cui poter desumere la sussistenza dei presupposti per una diminuzione della pena.
Ma ha anche convenientemente ancorato il diniego alle specifiche circostanze e modalità del fatto e all’intensità del dolo, già prima sottolineate, nonché alla allarmante capacità a delinquere, desumibile, tra l’altro, dai plurimi precedenti penali documentati a carico del ricorrente sia per omicidio che per reati associativi mafiosi.
Nessun dialogo con il delineato iter argomentativo è stato instaurato dalla difesa.
Manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso, concernente la doglianza circa la mancata riduzione di pena a fronte della esclusione della contestata recidiva.
Come correttamente messo in luce dal Procuratore generale nella sua requisitoria, posto che il reato di omicidio volontario contestato, aggravato dalla premeditazione e dai motivi abietti, è ex se punito con la pena dell’ergastolo, e che la pena perpetua è stata ridotta a 18 anni di reclusione in ragione dell’attenuante già ampiamente citata, che si sottrae al giudizio di comparazione, è evidente che l’assenza di qualsivoglia ulteriore circostanza aggravante risulta del tutto ininfluente sotto il profilo sanzionatorio: i.L GLYPH 42 n ··· n · GLYPH ok +tfs
Generico e, comunque, manifestamente infondato, infine, è l’ultimo motivo di ricorso, con cui si censura il mancato riconoscimento dell’istituto della continuazione tra il reato di omicidio sub iudice e altri reati, dello stesso tipo o associativi mafiosi, commessi nello stesso periodo di tempo.
La Corte di merito ha, infatti, fondato il suo diniego evidenziando, in modo non manifestamente illogico, che l’omicidio di NOME COGNOME venne eseguito – per come dichiarato dallo stesso COGNOME – per scopo di vendetta, in quanto la vittima era ritenuta coinvolta nell’omicidio del fratello di NOME COGNOME. Esso, quindi, venne occasionato da un accadimento specifico, non previsto ed assolutamente autonomo, sicché non poteva essere stato ideato e deliberato, almeno nelle sue componenti essenziali, sin da quando fu commesso il primo reato al fine di perseguire uno scopo unitario.
I giudici di merito si sono, così, pienamente conformati all’indirizzo di legittimità per cui non è configurabile la continuazione tra il reato associativo e i
reati fine non programmabili
“ab origine”
perché legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali, pur potendo astrattamente rientrare nell’ambito delle
attività del sodalizio criminoso (fra le più recenti, Sez. 6, n. 4680 del 20/01/2021,
COGNOME, Rv. 280595 – 01).
Generico e assertivo è il rilievo con cui, rifuggendo da un vero confronto con la motivazione, il ricorrente insiste nel voler ricomprendere anche l’omicidio
COGNOME fra i reati per i quali era già stata riconosciuta la continuazione.
6.
Per le esposte ragioni, il ricorso va rigettato, dal che consegue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2025
Il Consigliere estensore