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Attenuante danno patrimoniale: automatismo escluso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 38117/2024, ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due imputati condannati per spaccio di lieve entità. La Corte ha chiarito che il riconoscimento del reato di lieve entità non comporta l’applicazione automatica dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 62, n. 4 c.p.), la quale richiede una valutazione separata sulla tenuità del lucro e sulla gravità dell’evento. È stato inoltre confermato il giudizio sulla recidiva per uno degli imputati, basato sulle precedenti condanne e sulla persistenza nel reato.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Attenuante danno patrimoniale: non automatica per lo spaccio di lieve entità

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di reati di droga: la qualificazione di un fatto come spaccio di ‘lieve entità’ non implica automaticamente la concessione dell’attenuante danno patrimoniale di speciale tenuità. Questa decisione sottolinea la necessità di una valutazione distinta e approfondita da parte del giudice, che deve considerare non solo il profitto, ma anche la gravità complessiva della condotta. Analizziamo insieme questa pronuncia per capirne la portata e le implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dai ricorsi presentati da due persone, un uomo e una donna, condannati dalla Corte d’Appello di Torino per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti, qualificato come fatto di lieve entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti (d.P.R. 309/1990).

L’imputata contestava il mancato riconoscimento della circostanza attenuante comune del danno patrimoniale di speciale tenuità, prevista dall’articolo 62, n. 4, del codice penale. La sua difesa si basava essenzialmente sul numero limitato di dosi cedute e sul modesto profitto ricavabile. L’altro imputato, invece, lamentava la mancata esclusione della recidiva, sostenendo che non fossero stati adeguatamente valutati gli elementi a suo favore.

L’analisi della Cassazione e l’attenuante danno patrimoniale

La Suprema Corte ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, fornendo chiarimenti cruciali su due aspetti distinti del diritto penale.

L’Autonomia dell’Attenuante Danno Patrimoniale

Il punto centrale della decisione riguarda il ricorso della donna. I giudici hanno spiegato che il motivo era ‘tautologico’, ovvero si limitava a ripetere argomenti generici senza un confronto reale con le motivazioni della sentenza d’appello.

La Cassazione ha colto l’occasione per ribadire un principio consolidato: non esiste alcun automatismo tra la qualificazione del reato come di ‘lieve entità’ e la concessione dell’attenuante danno patrimoniale. Per riconoscere quest’ultima, il giudice deve compiere un’indagine specifica che va oltre il semplice dato quantitativo della droga o del profitto. È necessario accertare che siano di ‘speciale tenuità’ sia l’entità del lucro (perseguito o conseguito) sia la gravità dell’evento dannoso o pericoloso causato dalla condotta.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato lo specifico disvalore della condotta, considerando sia la quantità di stupefacente ceduto sia quella trovata in possesso dell’imputata, elementi che impedivano di considerare il danno complessivo come particolarmente lieve.

La Valutazione della Recidiva

Anche il ricorso dell’uomo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha ritenuto che le censure fossero una mera riproposizione di argomenti già esaminati e correttamente respinti dal giudice di merito. La Corte territoriale aveva infatti valutato in modo congruo i presupposti per l’applicazione della recidiva, basandosi sulle numerose condanne definitive precedenti per reati simili. Questi precedenti, che avevano comportato anche periodi di detenzione, dimostravano una ‘persistente ricaduta nel reato’, giustificando pienamente il mantenimento dell’aggravante.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di distinguere le valutazioni richieste da norme diverse. L’articolo 73, comma 5, d.P.R. 309/90 (lieve entità) e l’articolo 62, n. 4, c.p. (attenuante del danno patrimoniale) operano su piani differenti. Mentre la lieve entità considera una serie di indici (mezzi, modalità, quantità e qualità delle sostanze), l’attenuante si concentra specificamente sulla dimensione patrimoniale del danno e del lucro, e sulla gravità dell’offesa al bene giuridico tutelato.

La decisione richiama una precedente sentenza (Sez. 3, n. 13659 del 16/02/2024) per rafforzare il concetto che la qualificazione giuridica di un fatto non assorbe automaticamente la valutazione richiesta per le circostanze attenuanti. Ogni elemento deve essere oggetto di un’autonoma e puntuale argomentazione da parte del giudice.

Per quanto riguarda la recidiva, la motivazione risiede nel principio secondo cui il giudice di legittimità non può riesaminare il merito delle valutazioni fatte dai giudici precedenti, se queste sono logiche e giuridicamente corrette. Le plurime condanne passate sono state ritenute un indice inequivocabile della continuità delle scelte delinquenziali dell’imputato.

Conclusioni

L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni. In primo luogo, conferma che nel diritto penale gli automatismi sono rari: la concessione di un beneficio, come l’attenuante danno patrimoniale, richiede sempre un’analisi specifica e motivata del caso concreto. Il solo fatto che uno spaccio sia qualificato come ‘lieve’ non è sufficiente. In secondo luogo, ribadisce che i ricorsi in Cassazione devono confrontarsi seriamente con le motivazioni della sentenza impugnata, evitando di riproporre le stesse argomentazioni già respinte, pena l’inammissibilità. Per gli imputati e i loro difensori, ciò significa dover costruire argomentazioni solide e specifiche, dimostrando perché la valutazione del giudice di merito sia errata in punto di diritto o manifestamente illogica.

La qualificazione di un reato come di “lieve entità” comporta automaticamente il riconoscimento dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che non vi è alcun automatismo. Il riconoscimento della lieve entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 non comporta automaticamente la concessione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, c.p., che richiede una valutazione autonoma e specifica.

Cosa valuta il giudice per concedere l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 62, n. 4, c.p.)?
Il giudice deve accertare che risultino di speciale tenuità sia l’entità del lucro perseguito o effettivamente conseguito dall’agente, sia la gravità dell’evento dannoso o pericoloso prodotto dalla condotta criminosa. È una valutazione che va oltre il mero dato quantitativo.

Perché la Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso relativo alla mancata esclusione della recidiva?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché riproduceva profili di censura già vagliati e respinti dal giudice di merito con argomenti giuridicamente corretti. La Corte territoriale aveva congruamente motivato la persistenza della recidiva sulla base delle plurime condanne definitive precedenti per reati simili, che denotavano una continuità nelle scelte delinquenziali dell’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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