Attenuante danno lieve: perché non si ottiene sempre il massimo sconto di pena?
L’applicazione dell’attenuante danno lieve, prevista dal nostro codice penale, è spesso al centro di dibattiti nelle aule di giustizia. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui criteri che guidano il giudice nel quantificare la riduzione di pena, chiarendo perché un valore economico esiguo non garantisce automaticamente il massimo beneficio. Il caso analizzato riguarda un ricorso presentato contro una sentenza della Corte d’Appello che aveva rideterminato una pena per un furto, applicando la circostanza attenuante in misura inferiore a quella massima.
I Fatti del Caso
La vicenda processuale ha origine da una condanna per furto. In sede di appello, la pena era stata parzialmente riformata e fissata in un anno e quattro mesi di reclusione e 400 euro di multa. L’imputato, non soddisfatto della decisione, ha proposto ricorso per Cassazione basandosi su un unico motivo: la violazione di legge in relazione alla diminuzione applicata per l’attenuante danno lieve. Secondo la difesa, i giudici di secondo grado non avrebbero compiuto una valutazione complessiva della vicenda, concedendo uno sconto di pena inferiore al massimo possibile, nonostante gli oggetti sottratti fossero un bracciale d’oro e una somma di 30 euro.
La questione dell’attenuante danno lieve e la discrezionalità del giudice
L’articolo 62, n. 4 del codice penale prevede una diminuzione della pena quando il danno patrimoniale cagionato alla persona offesa sia di speciale tenuità. La difesa dell’imputato sosteneva che il valore degli oggetti rubati fosse talmente basso da giustificare l’applicazione di questa attenuante nella sua massima estensione. Il punto centrale del ricorso era, quindi, contestare la discrezionalità esercitata dalla Corte d’Appello nel quantificare la riduzione della pena. Tuttavia, come vedremo, la Corte di Cassazione ha ritenuto questo approccio difensivo troppo generico e, in ultima analisi, inammissibile.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, evidenziando come la difesa non si fosse confrontata specificamente con la motivazione della sentenza d’appello. I giudici di secondo grado, infatti, avevano chiaramente spiegato perché non avevano concesso la massima riduzione: il valore complessivo dei beni sottratti (un bracciale d’oro più 30 euro in contanti) non poteva essere considerato ‘assolutamente insignificante’.
La Cassazione ha confermato la correttezza di questo ragionamento, ribadendo un principio fondamentale: nel determinare la riduzione di pena per le circostanze attenuanti, è sufficiente che il giudice individui elementi sfavorevoli che ostacolino la concessione del massimo beneficio. Il magistrato deve considerare il trattamento sanzionatorio nel suo complesso, assicurando che sia congruo e rispetti il principio di individualizzazione della pena, sancito dall’articolo 27 della Costituzione.
In sostanza, il ricorso è stato respinto perché si limitava a una doglianza generica, senza confutare con argomenti specifici il ragionamento logico-giuridico della Corte d’Appello.
Le Conclusioni
Questa ordinanza rafforza due principi cardine del diritto penale e processuale. Primo, la valutazione sull’entità dell’attenuante danno lieve rientra pienamente nella discrezionalità del giudice di merito, il quale non è obbligato a concedere la massima riduzione solo perché il danno è tenue. La non ‘assoluta insignificanza’ del valore è un fattore legittimo per calibrare lo sconto di pena. Secondo, un ricorso per Cassazione, per essere ammissibile, deve essere specifico e puntuale, attaccando direttamente le argomentazioni della sentenza impugnata. Una critica generica, priva di un confronto diretto con la motivazione, è destinata a fallire.
Perché in questo caso l’attenuante per danno lieve non è stata applicata nella sua massima estensione?
Perché i giudici hanno ritenuto che il valore dei beni sottratti, un bracciale d’oro e una somma di 30 euro, non potesse essere considerato ‘assolutamente insignificante’, giustificando così una riduzione di pena inferiore al massimo previsto dalla legge.
Il giudice è obbligato a concedere la massima riduzione di pena se il danno è di lieve entità?
No, il giudice non è obbligato. La determinazione della misura della riduzione rientra nella sua discrezionalità. È sufficiente che il giudice motivi la sua decisione basandosi su elementi, anche sfavorevoli all’imputato, che ostacolano la concessione del massimo beneficio.
Cosa ha reso il ricorso presentato alla Corte di Cassazione inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché era generico. Si limitava a proporre una lamentela generale senza confutare in modo specifico le argomentazioni esposte nella motivazione della sentenza della Corte d’Appello.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36364 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36364 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CORATO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/03/2024 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto dal difensore di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe, con cui in data 21.3.2024 la Corte d’Appello di Bari, in parziale riforma della sentenza del G.u.p. del Tribunale di Trani del 20.9.2022, ha rideterminato la pena nei suoi confronti in anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro 400 di multa;
Evidenziato che l’unico motivo di ricorso deduce violazione di legge in relazione alla diminuzione applicata per la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4), cod. pen. in misura inferiore alla sua massima estensione, lamentando che i giudici di secondo grado non abbiano proceduto ad una valutazione complessiva della vicenda per cui COGNOME è stato condannato;
Osservato, sotto questo profilo, che il ricorso non si confronti con la motivazione della sentenza d’appello, la quale ha dato espressamente atto di avere applicato una diminuzione inferiore alla estensione massima perché il valore degli oggetti sottratti alla persona offesa dall’imputato – un bracciale d’oro e una somma di 30 euro – non poteva considerarsi “assolutamente insignificante”;
Rilevato che, in tal modo, sia stata fatta corretta applicazione del principio secondo cui, nel determinare la diminuzione della pena per le circostanze attenuanti, è sufficiente che il giudice, nel riferimento agli elementi sfavorevoli di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle predette attenuanti nella massima estensione, abbia riguardo al trattamento sanzionatorio nel suo complesso, ritenendolo congruo rispetto alle esigenze di individualizzazione della pena, ex art. 27 Cost. (Sez. 2, n. 17347 del 26/1/2021, Angelini, Rv. 281217 – 01; Sez. 7, n. 39396 del 27/5/2016, COGNOME, Rv. 268475 – 01);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso, limitandosi a proporre una doglianza generica senza confutare specificamente le argomentazioni della sentenza impugnata, debba essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 1’11.9.2025