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Attenuante danno lieve e stupefacenti: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio di lieve entità. La richiesta di applicare l’attenuante del danno lieve è stata respinta poiché, nonostante la qualifica del reato, l’attività illecita aveva generato guadagni non irrisori, come dimostrato dalla somma di denaro sequestrata e dalla natura lucrativa della sostanza. La Corte ha confermato che il profitto significativo è incompatibile con la concessione di tale attenuante.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Attenuante Danno Lieve e Stupefacenti: Quando il Profitto Esclude lo Sconto di Pena

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8479/2024, torna a pronunciarsi su un tema delicato: l’applicabilità della attenuante del danno lieve ai reati in materia di stupefacenti. La decisione chiarisce che, anche in presenza di un fatto qualificato come di “lieve entità”, il conseguimento di un profitto non irrisorio osta al riconoscimento di questo beneficio, delineando un confine netto basato sulla valutazione economica del reato.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla condanna di un soggetto per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti, qualificato ai sensi dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990, ovvero come fatto di lieve entità. La sentenza, emessa dal GUP del Tribunale di Lucca, era stata confermata dalla Corte di Appello di Firenze.

L’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione, lamentando la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante comune del danno patrimoniale di speciale tenuità, prevista dall’art. 62 n. 4 del codice penale.

La Questione Giuridica: Attenuante Danno Lieve e Profitto da Spaccio

Il nodo centrale della questione era stabilire se la qualificazione di un reato di spaccio come “di lieve entità” comportasse, quasi automaticamente, il diritto a ottenere anche l’attenuante del danno lieve. Secondo la difesa, la ridotta offensività del fatto avrebbe dovuto giustificare anche una valutazione di tenuità del danno patrimoniale.

La Corte di Appello, tuttavia, aveva già respinto questa tesi, evidenziando elementi concreti che deponevano in senso contrario: il quantitativo della sostanza stupefacente non era modesto, si trattava di una delle droghe più lucrative sul mercato e, soprattutto, al ricorrente era stata sequestrata una somma di 695,00 euro, considerata provento dell’attività illecita. Questi fattori, nel loro complesso, indicavano che l’imputato traeva dall’attività guadagni tutt’altro che irrisori.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, sposando in pieno il ragionamento dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno ribadito che la valutazione per la concessione dell’attenuante del danno lieve deve essere autonoma e distinta rispetto a quella sulla lieve entità del fatto di spaccio.

Il percorso argomentativo della Corte di Appello è stato definito “esaustivo e non illogico”. La decisione di negare l’attenuante si fondava su tre pilastri:

1. Quantitativo della sostanza: Nonostante la qualifica di lieve entità, la quantità non era così esigua da poter essere considerata trascurabile.
2. Lucratività: La tipologia di sostanza stupefacente era tra le più redditizie, suggerendo un’attività orientata a un guadagno significativo.
3. Profitto conseguito: Il sequestro di quasi 700 euro è stato ritenuto la prova concreta che l’attività illecita generava un profitto economico non trascurabile. Questo guadagno è stato considerato incompatibile con il concetto di “danno di speciale tenuità” richiesto dalla norma.

In sostanza, la Corte ha stabilito che la presenza di un guadagno non irrisorio è un elemento ostativo al riconoscimento dell’attenuante in questione, in quanto il beneficio economico per il reo rappresenta l’altra faccia della medaglia del danno (sociale e patrimoniale) prodotto.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio importante: nel valutare l’applicazione dell’attenuante del danno lieve nei reati di spaccio, il giudice deve andare oltre la semplice qualificazione giuridica del fatto e compiere un’analisi concreta dell’impatto economico dell’attività illecita. La presenza di un profitto non marginale, dimostrata da elementi come il denaro sequestrato, preclude la possibilità di concedere la riduzione di pena. Questa pronuncia serve da monito, chiarendo che anche un’attività di spaccio considerata “minore” dalla legge può non essere ritenuta tale quando genera un arricchimento economicamente apprezzabile per chi la compie.

È possibile applicare l’attenuante del danno lieve a un reato di spaccio di lieve entità?
In linea di principio sì, ma la sua applicazione non è automatica. Viene esclusa se dall’attività illecita deriva un guadagno non irrisorio, come dimostrato nel caso di specie dal sequestro di una somma di denaro significativa.

Quali elementi ha considerato la Corte per escludere l’attenuante del danno lieve?
La Corte ha valutato congiuntamente il quantitativo non modesto della sostanza, la sua natura particolarmente lucrativa e il sequestro di 695,00 euro, ritenendo tale somma la prova di guadagni non trascurabili e quindi incompatibili con il concetto di danno lieve.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per Cassazione?
Comporta che la Corte non esamina il merito della questione perché il ricorso è privo dei requisiti di legge. La sentenza impugnata diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, 3.000 euro) a favore della Cassa delle Ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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