Attenuante collaborazione per stupefacenti: non basta confessare
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di reati legati agli stupefacenti: per ottenere la cosiddetta attenuante collaborazione, non è sufficiente una semplice ammissione di colpa. È necessario un contributo concreto e significativo che aiuti le forze dell’ordine a smantellare la rete di spaccio. Analizziamo questa importante decisione per capire quali sono i requisiti richiesti dalla giurisprudenza.
Il caso in esame
Una donna veniva condannata in primo e secondo grado per detenzione ai fini di spaccio di un considerevole quantitativo di cocaina (192 grammi). La pena inflitta, tenuto conto delle attenuanti generiche e della riduzione per il rito abbreviato, era di 2 anni e 8 mesi di reclusione e 12.000 euro di multa.
L’imputata decideva di ricorrere in Cassazione, lamentando un unico punto: la mancata concessione dell’attenuante ad effetto speciale prevista dall’art. 73, comma 7, del Testo Unico sugli Stupefacenti. Secondo la difesa, la motivazione dei giudici di merito nel negare tale beneficio era illogica e carente.
La decisione della Corte e i requisiti per l’attenuante collaborazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi: uno di carattere processuale e uno di merito.
L’inammissibilità del ricorso “fotocopia”
In primo luogo, i giudici hanno sottolineato che il ricorso si limitava a riproporre le stesse identiche questioni già sollevate e respinte dalla Corte d’Appello, senza contestare in modo specifico e argomentato le ragioni esposte nella sentenza impugnata. Questo modo di agire, definito dalla giurisprudenza come ricorso “fotocopia”, rende il motivo di impugnazione generico e, pertanto, inammissibile ai sensi dell’art. 591 del codice di procedura penale. Un ricorso efficace deve dialogare criticamente con la decisione che contesta, non ignorarla.
I limiti dell’attenuante per la collaborazione
Entrando nel merito della questione, la Cassazione ha ribadito il suo orientamento consolidato sui requisiti necessari per il riconoscimento dell’attenuante collaborazione. La norma non premia qualsiasi forma di aiuto, ma solo quello che si rivela concretamente decisivo. Non costituiscono presupposto idoneo:
* Semplici ammissioni o confessioni.
* Comportamenti che si limitano a rafforzare un quadro probatorio già solido.
* Dichiarazioni che anticipano risultati di indagini già in corso e prossime alla conclusione.
L’obiettivo della norma è incentivare una collaborazione che porti a risultati concreti, come l’interruzione del circuito di distribuzione degli stupefacenti, l’identificazione di altri complici o il sequestro di ulteriori quantitativi di droga. Un aiuto che non produce questi effetti non può essere considerato rilevante ai fini della concessione del beneficio.
Le motivazioni della Sentenza
Le motivazioni della Corte si allineano perfettamente con la giurisprudenza costante. I giudici hanno chiarito che la ratio dell’attenuante speciale è quella di premiare chi fornisce un contributo oggettivamente utile e determinante per le indagini. Nel caso specifico, le dichiarazioni dell’imputata non avevano raggiunto quella soglia di rilevanza. Non avevano permesso di interrompere alcun canale di approvvigionamento né di disarticolare la rete criminale. La sua condotta si era risolta in un comportamento che, pur potendo essere valutato ai fini delle attenuanti generiche, non integrava i requisiti più stringenti richiesti per l’applicazione della norma speciale. La decisione della Corte d’Appello di negare l’attenuante è stata quindi ritenuta coerente e correttamente motivata.
Conclusioni
Questa pronuncia offre un importante promemoria: l’attenuante collaborazione non è un automatismo derivante da una confessione. È un beneficio concesso a chi sceglie di recidere i legami con l’ambiente criminale e fornisce un aiuto effettivo e decisivo allo Stato. Per gli operatori del diritto, ciò significa che la richiesta di tale attenuante deve essere supportata da prove concrete dell’impatto positivo e determinante della collaborazione fornita dal proprio assistito. Per l’imputato, invece, è la chiara indicazione che solo un cambiamento radicale e un aiuto tangibile possono portare a una significativa riduzione della pena.
Quando un ricorso in Cassazione è considerato “non specifico” e quindi inammissibile?
Un ricorso è considerato non specifico quando si limita a riproporre le stesse questioni già esaminate e respinte nel grado precedente, senza confrontarsi criticamente con le motivazioni della sentenza impugnata. In pratica, non basta ripetere le proprie ragioni, ma bisogna spiegare perché la decisione del giudice d’appello è sbagliata.
Cosa si intende per “attenuante della collaborazione” in materia di stupefacenti?
È un’attenuante ad effetto speciale (cioè che consente una riduzione di pena maggiore del normale) prevista per chi si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente la polizia o l’autorità giudiziaria nell’interruzione del traffico di stupefacenti.
Una semplice ammissione dei fatti è sufficiente per ottenere l’attenuante della collaborazione?
No. Secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, una semplice confessione o un comportamento che si limita a confermare un quadro probatorio già noto non è sufficiente. È necessario un contributo decisivo che porti a risultati concreti, come l’arresto di altri responsabili o il sequestro di ingenti quantitativi di droga.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19267 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19267 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a ROMA il 02/09/1956
avverso la sentenza del 21/11/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma indicata in epigrafe, con la quale è stata confermata la penale responsabilità ritenuta dal Tribunale di Roma, in sede di giudizio abbreviato, in ordine alla detenzione ai fini di spaccio di g. 192 di cocaina, integrante il reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R.309/90, condannandola alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione ed euro 12000 di multa, concesse le attenuanti generiche e operata la riduzione per il rito. L’esponente lamenta mancanza ed illogicità della motivazione in merito al diniego del riconoscimento dell’attenuante ad effetto speciale di cui al comma 7 dell’art 73 del DPR 309/1990
La sentenza impugnata svolge argomentazioni coerenti con l’indirizzo della consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui non costituiscono presupposto idoneo per il riconoscimento dell’attenuante della collaborazione prevista dal comma settimo dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ammissioni o comportamenti non conducenti all’interruzione del circuito di distribuzione degli stupefacenti, ma limitati ai rafforzamento del quadro probatorio o al raggiungimento anticipato di positivi risultati ad attività di indagini già in corso i quella direzione (Sez. 3, n. 23942 del 01/10/2014 Ud. (dep. 04)06/2015) Rv. 263642 – 01; Sez. 4 – ,n. 42463 del 14/06/2018, Rv. 274347 – 01.). Nel caso in
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esame, la Corte considera che la ricorrente aveva fornito indicazioni riguardanti le condotte delittuose da lei commesse e contestatele, senza però fornire utili
contributi ai fini della concreta individuazione della persona per conto della quale deteneva lo stupefacente, non realizzando perciò la finalità sottesa alla norma, che
è quella di evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori. Le argomentazioni sopra riportate sono totalmente immuni da vizi logici e, come
detto, perfettamente in linea con i principi giurisprudenziali in materia.
4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al
pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della
cassa delle ammende.
Così deciso, il 13 maggio 2025.