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Attenuante collaborazione: non basta fare un nome

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per reati di droga, che richiedeva il riconoscimento dell’attenuante della collaborazione. La Corte ha ribadito che, per ottenere tale beneficio, non è sufficiente la semplice indicazione del nome di un complice, ma è necessaria una collaborazione attiva che porti a risultati concreti, come l’interruzione dell’attività criminale. Il ricorso è stato respinto anche perché si limitava a riproporre le stesse argomentazioni dell’appello in modo stereotipato.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Attenuante Collaborazione: Quando Nominare un Complice Non Basta

L’ordinanza n. 8273/2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui requisiti per il riconoscimento dell’attenuante collaborazione nei reati legati agli stupefacenti. Questa decisione sottolinea che una collaborazione meramente formale, come la semplice indicazione di un complice, non è sufficiente a garantire lo sconto di pena previsto dall’art. 73, comma 7, del d.P.R. 309/1990. Analizziamo insieme i dettagli di questo caso e le sue implicazioni.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla condanna di un individuo a quattro anni di reclusione e 22.000 euro di multa per reati connessi al traffico di sostanze stupefacenti. La sentenza, emessa in primo grado dal Tribunale e successivamente confermata dalla Corte d’Appello, è stata impugnata davanti alla Corte di Cassazione. Il ricorrente lamentava la mancata applicazione della circostanza attenuante speciale prevista per chi si adopera per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori o aiuta concretamente l’autorità a reprimere il reato.

Il fulcro del ricorso si basava sulla presunta violazione di legge, sostenendo che le sue dichiarazioni, consistenti nell’indicare un altro soggetto coinvolto, avrebbero dovuto essere sufficienti per ottenere il beneficio.

La Decisione della Corte e i Limiti dell’Attenuante Collaborazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la linea interpretativa già consolidata in materia. Gli Ermellini hanno evidenziato che la richiesta del ricorrente era una mera riproposizione delle doglianze già formulate in appello, senza un reale confronto critico con le motivazioni della sentenza impugnata. Questo approccio, definito “stereotipato”, non è sufficiente per superare il vaglio di ammissibilità del ricorso per cassazione.

Entrando nel merito della questione giuridica, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: per il riconoscimento dell’attenuante collaborazione, non basta una generica indicazione di un complice. È necessario che la collaborazione sia “operosa” e porti a risultati concreti e rilevanti.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della Suprema Corte si fonda su una giurisprudenza consolidata. Viene richiamato il principio secondo cui “non è sufficiente la mera indicazione del nominativo di qualche complice, ma è necessario che la collaborazione prestata porti alla sottrazione di risorse rilevanti ed eviti la commissione di ulteriori attività delittuose”.

L’attenuante in questione, spiegano i giudici, si colloca in uno stadio più avanzato rispetto alla semplice collaborazione informativa. La norma non premia la mera delazione, ma un’azione concreta che consenta di raggiungere uno dei seguenti obiettivi:

1. Interrompere la catena delittuosa in atto.
2. Colpire i mezzi di produzione delle attività criminali.
3. Sottrarre risorse significative all’organizzazione criminale.

In altre parole, il contributo del collaborante deve avere un’efficacia reale nell’ostacolare l’attività illecita. Indicare un nome, senza che ciò porti al sequestro di droga, armi, denaro o all’arresto di altri membri chiave dell’organizzazione, non integra i requisiti previsti dalla legge. La Corte d’Appello aveva correttamente applicato questo principio, e il ricorrente non è riuscito a contestarlo con argomenti validi in sede di legittimità.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un’interpretazione rigorosa dell’attenuante speciale per la collaborazione. Il messaggio è chiaro: il legislatore ha inteso premiare con uno sconto di pena non chi fornisce una collaborazione simbolica, ma chi offre un contributo determinante e fattivo alla lotta contro il narcotraffico. Questa decisione funge da monito per la difesa, chiarendo che per invocare con successo tale beneficio è indispensabile dimostrare l’impatto concreto e positivo delle informazioni fornite alle autorità. La semplice delazione, fine a sé stessa, non apre le porte ad alcuna riduzione della sanzione penale.

Per ottenere l’attenuante della collaborazione in materia di stupefacenti è sufficiente fare il nome di un complice?
No, secondo la Corte di Cassazione non è sufficiente. La collaborazione deve essere ‘operosa’, cioè deve portare a risultati concreti come l’interruzione dell’attività criminale o la sottrazione di risorse rilevanti all’organizzazione.

Cosa significa che un ricorso è ‘inammissibile’ perché ‘stereotipato’?
Significa che il ricorso si limita a ripetere le stesse argomentazioni già presentate nel precedente grado di giudizio (l’appello), senza confrontarsi criticamente con le motivazioni della sentenza impugnata. In pratica, non solleva una vera e propria critica alla decisione del giudice precedente.

Quali sono le conseguenze di una dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La sentenza impugnata diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito nel provvedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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