Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 15822 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
Penale Sent. Sez. 1 Num. 15822 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/04/2025
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da:
NOME COGNOME
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
Sent. n. sez.
258/2025 UP – 08/04/2025
R.G.N. 4869/2025
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AVVENTURATO NOME nato a ACERRA il 06/03/1987
avverso la sentenza del 07/11/2024 della CORTE RAGIONE_SOCIALE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata nel preambolo la Corte di assise appello di Napoli, in parziale riforma della pronuncia con cui la Corte di assise aveva dichiarato NOME colpevole per reato di omicidio commesso ai danni di NOME COGNOME in concorso con altri, ha rideterminato la pena inflittagli in anni 13 e mesi 6 di reclusione.
La Corte partenopea , nell’esaminare l’appello dell’imputato, ha escluso la
sussistenza di ulteriori e diversi elementi rilevanti ai fini del giudizio di prevalenza delle già concesse attenuanti generiche ed ha ritenuto congrua una riduzione di pena per l’attenuante della collaborazione superiore a quella stabilita in primo grado, pari al minimo, senza tuttavia raggiungere la massima estensione ma attestandosi ad un livello intermedio.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, articolando due motivi.
2.1. Con il primo deduce violazione dell’art. 416bis .1, terzo comma, cod. pen. nonché vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante della dissociazione attuosa prevista in materia di collaboratori di giustizia, con conseguente diminuzione della pena nella misura massima consentita.
Lamenta che la Corte distrettuale non ha seguito un percorso motivazionale logico: ha preferito preferito dilungarsi in ‘ equilibrismi matematici ‘ anziché valorizzare l’unico parametro al quale deve essere commisurata, secondo la giurisprudenza di legittimità richiamata, la misura della diminuzione correlata all ‘ attenuante de qua ovvero l’utilità obiettiva della collaborazione.
L’ apporto fornito da Avventurato ai fini della ricostruzione dei fatti di causa e dell’accertamento delle responsabilità dei coimputati, pur definito di ‘ indubbia consistenza ‘ , non è stato valutato sufficiente per pervenire alla massima diminuzione della pena perché erroneamente bilanciato con la ‘ gravità delle condotte e le ragioni che hanno sorretto l’azione omicida nonché condotte di vita pregressa ‘ .
2.2. Col secondo motivo deduce violazione dell’articolo 62 bis cod. pen. nonché vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti.
Lamenta che la sentenza impugnata, disattendendo i motivi dedotti con l’impugnazione, non ha adeguatamente valorizzato, la condotta tenuta dell’imputato in epoca successiva alla consumazione del reato. Eppure, è pacifico che Avventurato, oltre ad attenersi alle prescrizioni previste dal programma di protezione, ha intrapreso un proficuo e rassicurante percorso di recupero sociale e di resipiscenza tanto da ottenere il beneficio della detenzione domiciliare, che, come è noto, è subordinato anche al ravvedimento, inteso come recisione dei legami con gli ambienti malavitosi e completa metamorfosi della personalità del condannato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato.
E’ approdo consolidato della giurisprudenza di legittimità che la circostanza attenuante speciale di cui a ll’ar t. 416bis ,terzo comma, cod. pen.si fonda sul mero presupposto dell’utilità obiettiva della collaborazione prestata dal partecipe all’associazione di tipo mafioso e non può pertanto essere disconosciuta, o, se riconosciuta, la sua incidenza nel calcolo della pena non può essere ridimensionata, in ragione di valutazioni inerenti alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell’imputato o, ancora, alle ragioni che hanno determinato l’imputato alla collaborazione (Sez. 2, n. 18875 del 30/04/2021, COGNOME, Rv. 281287; Sez. 2, n. 34148 del 05/05/2015, COGNOME, Rv. 264529; Sez. 1, n. 31413 del 19/06/2015, Ponticelli, Rv. 264756).
In sintonia con tale principio la Corte territoriale, una volta riconosciuto che l’imp utato aveva fornito un contributo decisivo, sia per la ricostruzione dei fatti che per l’in dividuazione dei colpevoli, rendendo dichiarazioni confessorie ed etero accusatorie, ha operato una diminuzione di pena nell’ambito del potere discrezionale attribuito al giudice dalla norma (che prevede una riduzione minima di un terzo e massima della metà) e ne ha dato compiuta e plausibile motivazione.
Al riguardo, ha osservato che l’apporto dichiarativo di COGNOME, pur utile, ha arricchito un impianto accusatorio già esistente ed imperniato su precedenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia, in particolare quella di NOME COGNOME
La Corte di appello, quindi, nell’esercitare il potere attribuitole dall ‘ordin amento processuale, ha giustificato, con apprezzamento discrezionale non censurabile in sede di legittimità ed in applicazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza indicata in premessa, la misura della diminuzione apportata alla pena inflitta all’imputato in primo grado, attribuendo esclusiva rilevanza alla qualità de ll’ apporto collaborativo e non ad altri elementi di valutazione, come la gravità del reato, presa sì in esame ma solo per giustificare il giudizio di equivalenza fra le circostanze attenuanti generiche e le aggravanti.
D’altra parte, la previsione nell’art. 416bis .1, terzo comma, cod. pen. di un range nella riduzione di pena tra un minimo ed un massimo, esclude qualunque obbligo del giudice, come nella sostanza auspicato dal ricorrente, di applicare in ogni caso la riduzione massima.
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo.
La Corte distrettuale ha ampiamente dato conto delle ragioni poste a fondamento della conferma del giudizio di equivalenza tra circostanze .
Al riguardo ha evidenziato che gli elementi positivi valorizzati in favore dell’imputato dovevano essere necessariamente posti a raffronto con la gravità dei reati accertati.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma 8 aprile 2024.
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME