Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 44042 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 44042 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
LA
nato in
digs. 1
dispo:
.
j a
IL FUNZ. COGNOME,
L,TM.T17 ,71.A.R10
COGNOME omissis
avverso la sentenza del 05/10/2023 della Corte di appello di Venezia; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
udito il difensore, avv. NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 5 ottobre 2023, la Corte di appello di Venezia ha parzialmente riformato la sentenza dell’8 aprile 2022, con la quale il Tribunale di Verona aveva condannato l’imputato alla pena di anni 10 di reclusione, nonché alle pene accessorie – oltre che al risarcimento del danno – perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, mediante minaccia e abusando della condizione di inferiorità psicofisica di una minorenne, in più occasioni, trovandosi
presso l’abitazione del suo nucleo familiare in quanto figlio di amici di famiglia, la induceva, anche in cambio di regalie, a toccamenti e atti di masturbazione, con la contestuale visione, in alcuni casi, di filmati e contenuto pornografico che lo rappresentavano, con la minaccia di mostrare ai genitori le fotografie che ritraevano i genitali di lei; con le aggravanti dell’avere commesso il fatto nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni 10 (fino al maggio 2011) e di persona che non ha compiuto gli anni 14 (fino al 2013), con l’ulteriore aggravante dell’avere commesso il fatto con abuso di relazioni domestiche (artt. 81, 609-bis, 609-ter, primo comma, n. 1, e ultimo comma, 609-sexies, quarto comma, n. 1, 61, n. 11, cod. pen.).
La Corte di appello ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza con le contestate aggravanti, rideterminando la pena principale in anni sette di reclusione e confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta la violazione del principio di immutabilità del giudice di cui all’art. 525, comma 2, cod. proc. pen.
Tale eccezione era stata rigettata dalla Corte d’appello sul rilievo che – a fronte del mutamento del collegio, di cui veniva dato atto nel verbale all’udienza dell’8 aprile 2022 – la difesa non aveva esercitato alcune delle facoltà a lei riconosciute, non richiedendo la rinnovazione delle prove già assunte. Parimenti, erano ritenute infondate le osservazioni difensive sulla violazione del giusto processo, legate alla partecipazione al collegio deliberante di un giudice ordinariamente assegnato a funzioni civili, il quale, nella prospettazione difensiva, non era dotato della specific formazione necessaria per procedimenti che coinvolgono la testimonianza di minorenni. Secondo la difesa, vi sarebbe una violazione del principio di immediatezza della prova, in forza del quale il giudice dovrebbe entrare in contatto con il teste, in modo da potere formulare osservazioni riguardo al suo comportamento e alla sua attendibilità.
2.2. Si lamentano, in secondo luogo, la violazione degli artt. 358, 493, comrna 2, 234 e 236 cod. proc. pen., nonché vizi della motivazione in relazione all’omessa acquisizione di prove documentali circa la personalità e attendibilità della persona offesa. La difesa aveva già lamentato la violazione del dovere dell’accusa di svolgere accertamenti anche su fatti e circostanze a favore dell’indagato. Si era censurata, inoltre, la mancata acquisizione, da parte del Tribunale, della relazione del consulente tecnico del pubblico ministero relativamente alle indagini, con esito negativo, sui dieci dispositivi informatici sequestrati all’indagato, nonché della
mancata acquisizione della relazione dei servizi sociali del Comune e dell’allegata relazione della neuropsichiatra, la quale aveva in carico la persona offesa al momento della prima rivelazione dei fatti.
Quanto ai dispositivi informatici, il fatto che non vi fossero immagini pornografiche, è ritenuto di grande importanza della difesa, perché smentisce la deposizione della persona offesa secondo cui l’imputato aveva l’abitudine di chiederle di scattare foto alle parti intime, oltre che di mostrarle filmati a contenut pornografico, aventi per protagonista lo stesso imputato. Tali elementi non sarebbero stati presi in considerazione dalla sentenza di appello.
Quanto alla relazione dei servizi sociali sulla persona offesa, la stessa sarebbe stata importante, in quanto tratteggiava una complessa personalità, anche arrogante e prevaricatrice e predisposta a violare le regole della comunità in cui era stata inserita, mentendo frequentemente agli educatori, in un contesto familiare di provenienza, caratterizzato da problemi di dipendenza dall’alcol, violenza, relazioni extraconiugali del padre, frequenti liti, interventi dei carabinie La relazione della neuropsichiatra – prosegue la difesa – avrebbe avuto invece rilevanza quanto alla totale assenza di riferimenti alle presunte molestie, che erano state riferite àlla sola educatrice.
Su questi aspetti, la Corte d’appello si sarebbe limitata ad affermare che il dovere del pubblico ministero di svolgere attività a favore dell’indagato è privo di sanzione processuale, senza alcuna motivazione circa il rifiuto del Tribunale di acquisire gli atti sopra indicati.
2.3. Con una terza doglianza, si lamenta la carenza di motivazione in ordine al rigetto del quinto motivo di appello, con il quale si eccepiva la violazione dell’art 507 cod. proc. pen., la mancata assunzione delle prove rappresentate dall’audizione dell’assistente sociale di riferimento per la minore e della neuropsichiatra. In particolare, la difesa sostiene di avere censurato la motivazione addotta dal Tribunale secondo cui l’attendibilità della minore era stata ampiamente approfondita nel corso dell’istruttoria; quando, invece, l’unica valutazione peritale aveva avuto per oggetto la capacità di orientarsi nel tempo e nello spazio e di comprendere la differenza tra verità e finzione mancava, però, un accertamento sulla idoneità e Maturità della minore a testimoniare e sul fatto se la stessa avesse ‘ confidato alla neuropsichiatra i presunti abusi e, in caso negativo, sul perché.
2.4. In quarto luogo, si lamenta la violazione dell’art. 603 cod. proc. pen. e il vizio motivazionale quanto al rigetto delle richieste istruttorie formulate in grado di appello, aventi ad oggetto: la relazione dei servizi sociali e l’allegata relazion della neuropsichiatra; la consulenza tecnica del pubblico ministero sui dispositivi elettronici in dotazione all’imputato; la testimonianza dell’assistente sociale, dell neuropsichiatria, del tecnico che aveva svolto l’accertamento sui dispositivi; le
relazioni sugli interventi dei carabinieri nel nucleo familiare tra il 2014 e il 201
l’audizione delle consulenti tecniche RAGIONE_SOCIALE · Tali richieste erano state rigettate anche se fatte proprie dallo stesso Procuratore generale, con una motivazione che – secondo la prospettazione difensiva – non teneva conto delle fondamentali esigenze di completezza dell’accertamento istruttoria, anche quanto all’inclinazione della persona offesa a mentire alle autorità per tornaconto personale, come sarebbe emerso dall’intervento dei carabinieri del 16 agosto 2014, in una circostanza nella quale la ragazza aveva accusato il padre di averla percossa, Mentre su di lei non erano stati riscontrati segni di arrossamento o di aggressione e la madre aveva riferito che la figlia aveva un atteggiamento provocatorio nei confronti del padre ed aveva anche negato le percosse in questione.
2.5. Una quinta doglianza è riferita all’illegittimo rigetto delle istanz istruttorie avanzate con i motivi aggiunti e alla violazione degli artt. 327-bis e 233 cod. proc. pen., per la ritenuta tardività di tali richieste. Non si sarebbe considerato che le indagini difensive possono essere effettuate in ogni stato e grado del procedimento e che le memorie delle parti processuali sono caratterizzate dalla più ampia libertà di contenuto. In questa ottica sarebbe stata illegittimamente estromessa la memoria difensiva delle consulenti di parte, allegata ai motivi aggiunti di appello, così violando il diritto alla prova. Tale memoria metteva in luce numerosi elementi che avrebbero potuto contaminare la costituzione della prova attraverso frequenti ed espliciti interventi ad alta suggestione, selezionati e classificati per tipologia e rapportati alle risposte offerte dalla persona offesa nonché gli elementi di induzione, suggestione, pressione, acquiescenza e cedimento presenti nell’esame. Non si sarebbe considerata l’affermazione delle consulenti di parte secondo cui una dichiarazione suggestionata è una dichiarazione contaminata, la cui memoria iniziale non può essere recuperata.
2.6. In sesto luogo, si lamentano vizi della motivazione in relazione alla violazione dei principi della “Carta di Noto”, con riferimento a domande suggestive e nocive, nonché alla violazione degli articoli 6 Cedu e 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e dell’art. 111 Cost., in tema di modalità di escuss della fonte orale e di valutazione della sua eventuale contaminazione. Si lamenta che la Corte territoriale, da un lato affermi che la Carta di Noto è stata rispettata e dall’altro precisi che un eventuale sia violazione non sarebbe causa di invalidità della testimonianza.
La difesa riporta, poi (pagg. 30 e ss. del ricorso) passaggi dell’audizione protetta della minore, dai quali emergerebbe il carattere suggestivo delle domande, che avrebbero definitivamente compromesso la genuinità anche delle future deposizioni, quanto alla violenza sessuale asseritamente perpetrata, alla
sua gravità e al fatto se ne avesse parlato con qualcuno; nonché in relazione alle modalità concrete di tale violenza e all’impegno delle autorità circa il perseguimento del colpevole e all’esatta individuazione del colpevole, seppure in relazione ad un fatto risalente a anni prima.
Si richiamano, poi, le disposizioni della Carta di Noto ritenute rilevanti, circ:a le specifiche competenze dei soggetti coinvolti nella raccolta della testimonianza; l’utilizzazione di protocolli di intervista e metodiche basate sulle indicazioni del letteratura scientifica accreditata; la valutazione delle audizioni effettuate distanza di tempo, in presenza di potenziali fattori di inquinamento del ricordo; la presenza di esperti ausiliari con funzione di facilitazione comunicativa; la documentazione delle modalità di interazione dell’esperto con il minore; l’effetto di compiacenza del testimone minorenne nei confronti di chi gli pone le domande.
In particolari, i protocolli scientifici richiamati della difesa, fareb riferimento a: una prima fase di ricordo libero, senza domande specifiche da parte dell’intervistatore; una fase di domande generali, basata sulle informazioni fornite dal minore nel nel racconto libero; una ulteriore fase di domande specifiche, ma non suggestive; una fase finale di controllo della suggestionabilità del minore, estremamente rilevante per gli eventi narrati a distanza di molti anni al fine della valutazione dell’eventuale contaminazione del ricordo. In questo quadro, non si sarebbe considerato il fatto che la persona offesa aveva rifiutato di parlare dei fatti e si era decisa a farlo solo dopo venti minuti di pressioni da parte degli interroganti.
La difesa afferma, altresì, che la versione dei fatti fornita dalla persona offesa potesse avere l’obiettivo di tentare di risolvere una situazione sfavorevole presentatasi nella comunità di accoglienza in cui si trovava.
2.7. Con un settimo motivo di doglianza, si denunciano vizi della motivazione in relazione alla valutazione dell’attendibilità della persona offesa, oltre travisamento della prova.
Non si sarebbe considerata la discrasia tra la prima rivelazione fatta all’educatrice nel corso dell’intervento educativo, dove si riferisce di un unico fatt di molestie avventure dieci anni addietro, e quanto riferito in sede di audizione protetta a seguito di domande suggestive e inquinanti, ovvero più episodi a cadenza settimanale, protrattisi fino . a quattro anni prima’. La migliore amica della persona offesa, alla quale questa si era riferita in sede di audizione protetta, non era stata sentita, mentre era stata “sostituita” dalla neuropsichiatra, la cu audizione era stata negata nel processo. Anche le ragioni che avevano spinto la minore a non rivelare l’identità del violentatore sarebbero contraddittorie, in quanto riconducibili: in un primo momento alla paura di avere problemi con lui e che i genitori si arrabbiassero con lui, mentre, in sede di esame, al timore della reazione del padre nei suoi confronti. Anche l’autopresentazione al Tribunale come
persona timida e sottomessa sarebbe in contrasto con le relazioni dei carabinieri, con la lettera di dimissione della comunità di accoglienza, con le dichiarazioni dell’educatrice, con le dichiarazioni dell’imputato, con il contegno processuale della persona offesa. Mancherebbe una considerazione, da parte della Corte di appello, del fatto che la neuropsichiatra nella sua relazione non avesse fatto alcun cenno alle presunte molestie sessuali.
La sentenza non avrebbe considerato le spiegazioni alternative fornite dalla difesa circa l’antipatia della persona offesa per l’imputato: il fatto che questo trattasse come una bambina e la prendesse in giro; il fatto che questo, una volta sposata e diventato padre, avesse smesso di frequentare la famiglia; il rifiuto di fornire alla persona offesa il numero dell’amante del padre; il carico di lavoro che la sua frequentazione della famiglia comportava per la madre e la cattiva influenza dell’imputato sul padre, che aveva problemi di alcolismo.
2.8. Con un’ottava censura, si lamenta la motiva l’omessa motivazione in ordine al sesto motivo di appello, relativo agli elementi a discarico, a partire , ial mancato ritrovamento nei dispositivi dell’imputato di filmati a sfondo pornografico.
Si ripete quanto già più volte ha affermato nelle precedenti motivi di ricorso, circa ragioni di inimicizia che la persona offesa aveva nei confronti dell’imputato, che vengono nuovamente elencate, a cui si aggiunge l’ulteriore richiamo a una pretesa personalità psicotica della vittima, che sarebbe confermata dai documenti già più volte menzionati.
2.9. Un nono motivo di censura è riferito alla carenza della motivazione in ordine alla riqualificazione dei fatti nell’ipotesi tentata.
Si sostiene che le uniche due condotte non suggerite dagli interroganti descritte liberamente dalla persona offesa erano ravvisabili negli episodi della cantina e in quello dell’ascensore, in relazione ai quali il suo racconto converge nella modalità esibizionista della condotta dell’imputato, che non arrivava ad incidere nella sfera sessuale della ragazza. La difesa ribadisce che le altre condotte descritte genericamente nel capo di imputazione ricalcano domande suggestive e inquinanti poste nel corso dell’audizione protetta; né la sentenza spiegherebbe perché il suo racconto spontaneo si riferisca ad episodi paradossalmente meno ‘gravi, senza menzione di quelli più rilevanti. La parte ricorrente sostiene, inoltre l’inverosimiglianza del fatto che, in una casa così piccola e molto frequentata, nessuno avesse mai colto in flagranza l’imputato o avesse nutrito sospetti sui suoi atteggiamenti.
2.10. Con una decima censura, si lamentano la violazione del terzo comma dell’art. 609 cod. pen. e il difetto di motivazione quanto al mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata. Si sostiene che la Corte di appello, per escludere una minore gravità della compressione della libertà sessuale, avrebbe fatto riferimento alla
reiterazione delle condotte e alla natura talvolta invasiva delle stesse, nonché all’atteggiamento induttivo su persona di tenera età. Mancherebbe una motivazione quanto agli effetti concreti della condotta sulla sfera psicologica ed emotiva della minore o su sintomi di disagio concomitanti e successivi dell’epoca dei fatti.
2.11. L’undicesimo motivo di doglianza è riferito all’erronea applicazione dell’art. 61, n. 11), cod. pen., in punto di sussistenza della circostanza aggravante dell’abuso di relazioni domestiche. Si sostiene che l’aggravante in parola si riferisce agli appartenenti al nucleo familiare, ma non può essere ritenuta sussistente nel caso di saltuaria frequentazione dell’abitazione della persona offesa, come deducibile dalla ratio della previsione normativa, che nasce a completamento dell’ipotesi di cui al n. 9) dello stesso art. 61.
2.12. Si lamentano, infine, la violazione degli artt. 69, 132, 133 cod. pen. e vizi della motivazione in punto: di giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche con le aggravanti, di determinazione della pena base in misura superiore al minimo, di sproporzionato aumento per la continuazione.
Non sarebbero sufficienti i richiami della sentenza alla tenera età della vittima, all’insidiosità delle condotte induttive, alla ripetitività dei fatti per un lungo per Non si sarebbero considerati, inoltre, l’atteggiamento collaborativo dell’imputato, nonché la sua incensuratezza e la sua condizione di uomo sposato e con tre figli, regolarmente residente in Italia e dotato di regolare attività lavorativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Esso consiste nella sostanzialmente riproposizione di prospettazioni di diritto manifestamente infondate e di censure già formulate con l’atto di appello, attinenti alla valutazione del fatto, con cui si tende a sovrapporre un’arbitraria interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai giudici di merito, come tale preclusa al sindacato di legittimità. Secondo la linea interpretativa da tempo tracciata da questa Corte regolatrice, del resto, l’epilogo decisorio non può essere invalidato da prospettazioni alternative che .si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perc illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (ex plurimis, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 11/02/2021, Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015,- Rv. 265482).
In tema di valutazione della prova testimoniale, inoltre, l’attendibilità dell persona offesa dal reato – le cui dichiarazioni possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo raccont (ex plurimis, Sez. 4, n. 410 del 09/11/2021, dep. 11/01/2022, Rv. 282558; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, Rv. 275312; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Rv. 2651040) – è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo c:he la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità (ex multis, Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, Rv. 278609).
1.1. Il primo motivo di doglianza è manifestamente infondato.
Nel lamentare la violazione del principio di immutabilità del giudice di cui all’art. 525, comma 2, cod. proc. pen., la stessa difesa non contesta quanto ritenuto nella sentenza impugnata, circa il fatto ché, all’udienza in cui il . collegio era mutato (8 aprile 2022), non era stata richiesta la rinnovazione delle prove già assunte.
Correttamente, dunque, la Corte di merito fa applicazione del principio enunciato dalle sezioni unite di questa Corte, secondo cui, in caso di rinnovazione del dibattimento per mutamento del giudice, il consenso delle parti alla lettura degli atti già assunti dal giudice nell’originaria composizione non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perc:hé non richiesta, non ammessa o non più possibile (Sez. U, n. 41736 del 30/05/2019, Rv. 276754 – 03). Quanto poi, alla circostanza che il nuovo componente del collegio fosse ordinariamente adibito a funzioni civili, la stessa non comporta alcuna nullità o qualsivoglia vizio, essendosi la difesa limitata a generiche e indimostrate asserzioni circa una pretesa mancanza di competenza tecnica del magistrato.
1.2. I Motivi dal secondo al quinto – che possono essere trattati congiuntamente, in quanto riferiti al rigetto di richieste istruttorie da parte d Tribunale e della Corte di appello – sono inammissibili.
Deve osservarsi in via preliminare, come la difesa non prospetti compiutamente la rilevanza delle prove di cui aveva chiesto l’assunzione, perché – come si vedrà – trascura di sottoporre a critica passaggi motivazionali della sentenza impugnata che confermano in modo decisivo la veridicità della
ricostruzione accusatoria. La prospettazione difensiva è, in altre parole, incompleta e, dunque, non sufficientemente specifica.
1.2.1. Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, appare corretta sul piano logico-argomentativo la scelta della Corte di merito di trattare congiuntamente il secondo e il quinto motivo di appello, i quali contenevano censure analoghe a quelle poi sostanzialmente riprodotte nel ricorso per cassazione, in forma ripetitiva.
In modo logico e coerente, la Corte d’appello ha condiviso il rigetto delle richieste istruttorie già pronunciato dal Tribunale, confermando come il tema dell’attendibilità della persona offesa fosse stato oggetto di ampio approfondimento in sede istruttoria ed evidenziando – quanto al dovere del pubblico ministero di svolgere attività di indagine a favore dell’imputato – che lo stesso non è assistito da sanzione e che, in ogni caso, la relativa doglianza difensiva è formulata in modo meramente esplorativo perché la stessa difesa non afferma di avere avanzato richieste al pubblico ministero in tal senso e sostanzialmente non spiega quali siano le indagini che avrebbero dovuto essere svolte e con quale rilevanza ai fini della definizione del quadro istruttorio.
Si è parimenti osservato, da parte del Tribunale e della Corte d’appello, con conforme valutazione, che i profili attinenti alla personalità della minore e alla sua attendibilità, nonché ai suoi rapporti con le dinamiche familiari e all’interno dell comunità di accoglienza in cui si trova trovava, sono stati ampiamente analizzati nell’istruttoria dibattimentale. Dunque, le richieste istruttorie della difesa sono parte inconferenti, come quella relativa ai verbali degli interventi effettuati d carabinieri presso il nucleo familiare, in parte tardive, come la “consulenza tecnica” difensiva, in parte superate dal fatto che la persona offesa è stata esaminata in dibattimento quando aveva già raggiunto la maggiore età.
1.2.2. Più in particolare, si può qui ulteriormente specificare, rispetto a quanto già osservato dalla Corte territoriale, che la mancata acquisizione, da parte del Tribunale, della relazione del consulente tecnico del pubblico ministero relativamente alle indagini, con esito negativo, sui dieci dispositivi informatic sequestrati all’indagato non assume alcuna rilevanza logica, perché, anche a voler ritenere effettivamente mancanti su tali dispositivi i filmati a sfondo pornografico che sarebbero stati mostrati alla persona offesa o girati con la stessa, tale circostanza non dimostra nulla circa il fatto che, negli anni in cui i fatti si er svolti, tali filmati esistessero e fossero stati realizzati.
Quanto alla relazione dei servizi sociali sulla persona offesa, la stessa – nella prospettazione difensiva – tratteggiava una complessa personalità, anche arrogante e prevaricatrice e predisposta a violare le regole della comunità in cui era stata inserita, mentendo frequentemente agli educatori; ma ciò nulla
dimostrerebbe, in ogni caso, circa la capacità a testimoniare, che è pacifica nel caso di specie ed è l’unico elemento che, nel nostro sistema processuale, può essere oggetto di accertamento tecnico peritale, non essendo ammessa contrariamente a quanto la difesa pare chiedere, nella sostanza, con il terzo motivo di doglianza – la perizia sull’attendibilità del testimone, la cui valutazione è compito esclusivo del giudice (ex plurímis, Sez. 3, n. 189 del 12/11/2020, dep. 2021, Rv. 280824; Sez. 3, n. 15207 del 26/11/2019, dep. 2020, Rv. 278780).
Quanto, poi, alla circostanza che l’emersione degli abusi fosse stata graduale e che gli stessi non fossero stati inizialmente confidati alla neuropsichiatra, trattasi di un dato tanto pacifico quanto adeguatamente spiegato dai giudici di primo e secondo grado, con conforme valutazione. La stessa difesa, richiama del resto, sebbene a fini di censura, la motivazione addotta dal Tribunale, secondo cui l’attendibilità della minore era stata ampiamente approfondita nel corso dell’istruttoria, pur erroneamente ritenendo che tale valutazione avrebbe dovuto spingersi al di là dell’accertamento della capacità di orientarsi nel tempo e nello spazio e di comprendere la differenza tra verità, fino a coprire il profilo dell’attendibilità.
Le relazioni sugli interventi dei carabinieri nel nucleo familiare tra il 2014 e 2016, a cui si è già accennato, riguardano evidentemente fatti estranei rispetto ai reati commessi ai danni della minore, essendo riferite al dato, ampiamente pacifico, dell’altissima conflittualità e problematicità del nucleo familiare appartenenza; mentre rimane del tutto ipotetica la prospettazione difensiva secondo cui la persona offesa avrebbe mentito ai carabinieri per tornaconto personale, accusando falsamente il padre di averla percossa, in un contesto nel quale tale accertamento appare frutto di una mera ricostruzione congetturale della relazione fra le dichiarazioni della minore e quelle della madre.
In relazione alla memoria difensiva redatta dalle “consulenti di parte” della difesa, è sufficiente rilevare come la stessa non abbia una natura tecnica in senso stretto, essendo riferita – secondo quanto traspare dagli stralci riportati nel ricorso – a mere ipotesi teoriche in tema di contaminazione del quadro istruttorio attraverso interventi suggestivi dell’intervistatore, oltreché a principi scientif tanto pacifici quanto palesemente irrilevanti nel caso di specie, circa la valenza dell’induzione, della suggestione, della pressione, dell’acquiescenza all’interlocutore, nonché degli effetti negativi sull’attendibilità provocati contagio dichiarativo.
1.3. La sesta censura del ricorrente – riferita alla violazione dei principi dell “Carta di Noto” e, più in generale, alle modalità di escussione della persona offesa, attraverso domande suggestive e nocive – è anch’essa inammissibile.
Del tutto corretta risulta l’affermazione della Corte d’appello, la quale, evidenzia sia che un eventuale violazione della Carta di Noto non sarebbe comunque causa di invalidità della testimonianza, sia che la stessa è stata comunque rispettata.
1.3.1. Sotto il primo profilo, è sufficiente qui richiamare la giurisprudenza d questa Corte, secondo cui, in tema di esame testimoniale, non determina nullità o inutilizzabilità della prova l’inosservanza dei criteri dettati dalla cosiddetta Carta Noto nella conduzione dell’esame dei minori, persone offese di reati di natura sessuale, che hanno carattere non tassativo, in quanto si limitano a fornire suggerimenti volti a garantire l’attendibilità delle dichiarazioni del minore e l protezione psicologica dello stesso (Sez. 3, n. 15737 del 15/11/2018, dep. 10/04/2019, Rv. 275863).
1.3.2. Sotto il secondo profilo, può notarsi come la tecnica di redazione del ricorso sia basata sulla selezione e decontestualizzazione di passaggi dell’audizione protetta della minore, dai quali emergerebbe il carattere suggestivo delle domande.
E ciò, a fronte della conforme motivazione dei giudici di primo e secondo grado, i *quali hanno correttamente spiegato che la minore è stata sentita c:on l’ausilio di un tecnico psicologo, mentre l’audizione è stata videoregistrata, e come la presenza di alcune sollecitazioni alle risposte sia stata determinata dalla forte resistenza palesata dalla giovane ad aprirsi, ma non si sa mai tradotta in suggestioni di carattere contenutistico. A ciò deve aggiungersi che la vittima è stata sentita dal Tribunale in sede testimoniale, allorché ventenne, confermando tutto il nucleo essenziale delle sue dichiarazioni accusatorie. Si è, dunque, esclusa categoricamente la compromissione della genuinità della deposizione; mentre rimangono del tutto ipotetiche le congetture difensive circa eventuali ragioni di inimicizia che la vittima avrebbe avuto nei confronti dell’imputato.
1.4. Inammissibile è anche il settimo motivo di doglianza, con cui si denunciano vizi della motivazione in relazione alla valutazione dell’attendibilità della persona offesa, oltre al travisamento della prova.
Le sentenze di primo e secondo grado, con conforme e logica valutazione, confutano direttamente la prospettazione difensiva della quale anche questa censura rappresenta la pedissequa riproduzione – laddove evidenziano che: a) la persona offesa non si è costituita parte civile, non mostrando interesse economico per la vicenda; b) il suo narrato è privo di contraddizioni o incoerenze sugli aspetti essenziali, nella descrizione degli abusi subiti e delle modalità degli stessi, concretizzatesi prima attraverso l’offerta di dolci e, nel periodo successivo, tramite la minaccia di riferire quanto accaduto al padre di lei; c) la genesi delle propalazioni è coerente, perché le stesse sono state rappresentate prima da timide e
A
incomplete confidenze alle operatrici della comunità, con un atteggiamento privo di accenti di astio; d) le incoerenze del narrato accusatorio sono minimali e non riguardano mai aspetti essenziali, come nel caso dell’episodio dell’ascensore (pag. 14 della sentenza impugnata); e) il tempo trascorso tra le condotte abusanti e le prime propalazioni, di circa quattro anni, si spiega di fronte all’ovvia difficoltà del minore di percepire il reale significato delle condotte, in un contesto caratterizzato da una cultura di stampo molto tradizionale e da una personalità autoritaria e violenta della figura paterna.
A fronte di tale ricostruzione, le censure difensive – riferite a singol discrepanze, ad una non meglio precisata confidenza che sarebbe stata fatta dalla persona offesa alla sua migliore amica, alle ragioni dell’iniziale ritrosia a rivelar l’identità del violentatore – appaiono prive di consistenza, nella misura in cui tendono ad accreditare una versione alternativa dei fatti, meramente ipotetica, basata su non meglio precisati intenti calunniatori e persecutori della persona offesa, che emergerebbero da una sua tendenza al mendacio altrettanto ipotetica e indinnostrata. Al di là di tali considerazioni, risultano meramente ipotetiche anche le asserzioni difensive circa il fatto che l’imputato trattasse la persona offesa come una bambina e la prendesse in giro e che fosse stato da ‘lei percepito come una figura negativa, perché la sua presenza aumentava il carico del lavoro della madre e aveva una cattiva influenza sul padre.
Né la difesa sostanzialmente contesta – con una lacuna di prospettazione che sarebbe da sola sufficiente a giustificare l’inammissibilità per genericità della sua censura – le affermazioni della sentenza impugnata circa i riscontri estrinseci alle dichiarazioni accusatorie (pagg. 16-18 della sentenza). Sul punto, la Corte d’appello, ha coerentemente valorizzato i seguenti aspetti: a) nella prima confidenza, secondo quanto riferito da chi l’aveva ricevuta, la vittima aveva manifestato grande sofferenza, e ciò spiega logicamente la genesi graduale della sua propalazione; b) la difficoltà iniziale nell’indicazione dell’identità dell’imputa ·m( AOconferma l’assenza di intenti craancitnatzin; c) la madre della persona offesa riscontra la sua deposizione quanto alla descrizione del contesto e alla familiarità della figura dell’imputato, il quale cercava continui contatti con la minore; d) l madre della persona offesa aveva assistito a reazioni di repulsione di questa nei confronti dell’imputato, che all’epoca non era riuscita a spiegarsi; e) vi è conferma delle circostanze nelle quali sarebbe avvenuto l’episodio dell’ascensore, legato al ricovero di una parente all’ospedale; f) il padre della vittima ha confermato la circostanza che la figlia cercava il più possibile di allontanarsi dall’imputato; g) comportamento a tratti oppositivo della ragazza si spiega alla luce dell’estrema sofferenza conseguita alla commissione dei reati e ai suoi danni; h) il comportamento a tratti remissivo nei confronti del soggetto abusante non è in
contrasto con il carattere oppositivo dimostrato dalla persona offesa una volta inserita in comunità, perché il quadro generale della sua personalità è pienamente compatibile con una graduale e faticosa presa di consapevolezza circa i reati subiti.
1.5. Inammissibile è l’ottava censura, con cui si lamenta l’omessa motivazione in ordine al sesto motivo di appello, relativo agli elementi a discarico, a partire da mancato ritrovamento nei dispositivi dell’imputato di filmati a sfondo pornografico.
Sull’irrilevanza logica del mancato ritrovamento di tali filmati, è sufficiente richiamare quanto già ricordato sub 1.2.2.; mentre del tutto ipotetiche e indinnostrate sono le ragioni di inimicizia della persona offesa, così come priva di fondamento scientifico è la ricostruzione in termini di psicosi della personalità di questa, a fronte di un documento, che l’ha difesa considera alla stregua di una “consulenza tecnica”, la cui irrilevanza è già stata sopra evidenziata (sub 1.2.2).
Ma vi è di più. Come anticipato, la difesa non si confronta con il dato, dirimente su un piano logico, rappresentato dal carattere controproducente della ricostruzione difensiva, palesato dalle evidenti contraddizioni emerse dall’istruttoria dibattimentale. Sul punto, la sentenza di secondo grado correttamente condivide le affermazioni del Tribunale circa la non credibilità dei génitori dell’imputato, laddove tentavano di sostenere che questo non era mai rimasto solo con la persona offesa; tesi che, oltre a essere palesemente inverosimile, perché contraria alla comune esperienza, è stata smentita direttamente dalle dichiarazioni dello stesso imputato.
1.6. Il nono motivo – riferito alla carenza della motivazione in ordine alla riqualificazione dei fatti nell’ipotesi tentata – è inammissibile, perché diretto ad ottenere una rivalutazione del fatto, contro la coerente e conforme statuizione di segno contrario delle sentenze di primo e secondo grado.
La difesa trascura di considerare che le condotte descritte dalla persona offesa integrano la violenza sessuale consumata e non il tentativo, ma si limita a ricostruire, in termini del tutto arbitrari, i soli episodi della cantina e dell’ascens Anche in relazione a tali episodi, peraltro, il comportamento dell’imputato, lungi dal limitarsi a un mero esibizionismo, ha attinto direttamente la sfera sessuale della persona offesa.
Puramente ipotetica è, poi, l’asserzione difensiva secondo cui Sarebbe stato inverosimile, per le dimensioni della casa e il numero di persone normalmente presenti, che nessuno avesse colto l’imputato in flagranza o avesse nutrito sospetti sui suoi atteggiamenti.
1.7. La decima censura è parimenti inammissibile. L’ipotesi attenuata di cui al terzo comma dell’art. 609 cod. pen., genericamente invocata dalla difesa, è stata correttamente esclusa sulla base della grave compressione della libertà sessuale, dovuta alla reiterazione delle condotte e alla natura talvolta invasiva delle stesse,
nonché all’atteggiamento induttivo su persona di tenera età e all’approfittamento del rapporto di familiarità. Ciò è sufficiente a far ritenere non configurabil l’attenuante, senza necessità di richiamare anche gli effetti negativi concreti della condotta sulla sfera psicologica ed emotiva della minore, pure sussistenti secondo la conforme valutazione dei giudici di primo e secondo grado.
1.8. L’undicesimo motivo di doglianza – relativo all’erronea applicazione dell’art. 61, n. 11), cod. pen. – è manifestamente infondato, perché, contrariamente a quanto ritenuto della difesa, la circostanza aggravante dell’abuso di relazioni domestiche non si riferisce ai soli appartenenti al nucleo familiare.
In particolare, il ricorrente non prende in considerazione la costante giurisprudenza di questa Corte – pur richiamata nella sentenza impugnata secondo cui la circostanza aggravante dell’abuso di relazioni domestiche ha natura oggettiva ed è finalizzata a punire più gravemente i delitti commessi nell’ambito di un rapporto di coabitazione o nel contesto di una relazione derivante anche solo dall’abituale frequentazione dell’abitazione della vittima (Sez. 1, n. 41586 del 06/07/2017, Rv. 271225; Sez. 3, n. 27044 del 12/05/2010, Rv. 248066). Si tratta di una finalità del tutto coerente con l’esigenza di colpire, in relazioni ai rea sessuali,’ le situazioni di approfittamento, tipiche delle frequentazioni abituali che fanno sorgere – come nel caso di specie – un rapporto fiduciario fra la vittima e l’autore del reato, del quale quest’ultimo si avvantaggia.
1.9. L’ultimo motivo di doglianza – relativo al giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche con le aggravanti, alla determinazione della pena base in misura superiore al minimo, allo sproporzionato aumento per la continuazione – è inammissibile, perché afferente al trattamento sanzionatorio, che è sorretto da adeguata motivazione.
La difesa chiede una sostanziale rivalutazione di fatto – essenzialmente basata su mere asserzioni relative a una positiva personalità del ricorrente – a fronte di un riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche che è stato correttamente effettuato in termini di equivalenza con le contestate aggravanti, perché giustificato solamente dall’incensuratezza e dalla giovane età dell’imputato nella prima fase dei fatti. La pena base, leggermente superiore al minimo edittale, è stata logicamente determinata tenendo conto dell’età della vittima e dell’insidiosità delle condotte induttive; mentre la continuazione è stata generosamente considerata nella misura di un solo anno di reclusione, pure a fronte del lungo periodo nel quale le condotte si sono ripetute.
Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativannente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 26/09/2024.