Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 16498 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
Penale Sent. Sez. 5 Num. 16498 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/03/2025
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 401/2025
NOME COGNOME
Relatore –
R.G.N. 38048/2024
NOME SESSA
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Durazzo (Albania) il 13/07/1970
avverso la sentenza del 27/05/2024 della Corte d’Assise d’appello di Torino Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte d’assise d’appello di Torino, in funzione di giudice del rinvio a seguito dell’annullamento della decisione assunta nel precedente giudizio d’appello, ha confermato la condanna di NOME COGNOME (COGNOME, alias NOME COGNOME per i delitti di cui agli artt. 575, 577 cod. pen., 10, 12 e 14 legge n. 497/2014 e 411 cod. pen. commessi in data 1 gennaio 1997. In parziale riforma della pronunzia di primo grado, la Corte territoriale ha escluso tutte le circostanze aggravanti contestate ai capi a) e b), ad eccezione, con riguardo a quest’ultimo reato, di quella della minorata difesa, rideterminando conseguentemente la pena dell’ergastolo inflitta all’imputato in quella di trenta anni di reclusione.
In particolare, per come ritenuto nelle diverse sentenze di merito succedutesi nel corso della vicenda processuale, si contesta all’imputato di aver, in concorso con altri imputati giudicati separatamente, cagionato la morte di NOME COGNOME colpendolo con armi da punta e taglio, e di NOME COGNOME ferendolo con un colpo di arma da fuoco e colpendolo con un’arma da taglio alla base del collo, detenendo e portando in pubblico illecitamente il revolver usato per il secondo omicidio, e poi occultando i due cadaveri, dandogli fuoco. Nell’annullare con rinvio la precedente sentenza d’appello, la Prima Sezione di questa
Corte ha ritenuto fondata ed assorbente l’eccezione formulata in ordine al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, svolta in assenza dell’imputato già contumace.
In tal senso, il giudice di legittimità, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici del merito ed alla luce dei principi espressi da questa Corte, ha ritenuto che il diniego opposto dalla sentenza di appello alla rinnovazione dell’istruttoria – fondato sul presupposto che l’imputato si sarebbe sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento – fosse errato, in quanto la decisione di rimettere il ricorrente in termini ai sensi dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen., disposta perché non è stata ritenuta superata la presunzione della sua involontaria ignoranza della pendenza del procedimento, gli attribuiva il diritto alla rinnovazione delle prove già assunte a suo carico, non potendo altrimenti essere ritenuto “equo” il nuovo processo svolto in sua presenza.
Allo stesso tempo, i giudici di legittimità, riconoscendo come il giudice di appello mantenga il potere-dovere di stabilire il corretto ambito della rinnovazione istruttoria chiesta dall’imputato, hanno ritenuto non censurabile la decisione della Corte di assise di appello di non consentire la rinnovazione di alcune delle prove dichiarative richieste con l’atto di appello, ritenendo, tuttavia, non giustificata la mancata attribuzione al ricorrente della possibilità di nuova audizione dell’originario coimputato NOME COGNOME il quale aveva reso dichiarazioni etero-accusatorie nei suoi confronti nel corso del dibattimento di primo grado. Dalla sentenza di primo grado emergeva, infatti, come la condanna del ricorrente fosse stata pronunziata anche sulla base della chiamata in correità effettuata dal citato COGNOME la cui attendibilità era stata vagliata anche attraverso un confronto disposto con l’altro imputato presente, NOMECOGNOME
Conseguentemente la Prima Sezione disponeva il rinvio alla Corte d’appello di Torino al fine di procedere, in primo luogo, alla rinnovazione della prova costituita dall’audizione del citato chiamante in correità, facendo salva ogni decisione, all’esito di essa, in merito alla rinnovazione delle prove relative alla verifica della sua attendibilità ai sensi dell’art. 192 comma 3 cod. proc. pen.
In ottemperanza al mandato della sentenza rescindente, il giudice del rinvio, dopo aver raccolto la testimonianza di COGNOME sentito con le garanzie previste dall’art. 197-bis cod. proc. pen. alla presenza dell’imputato, ha confermato, nonostante il suo atteggiamento reticente, la piena attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese nel corso del
procedimento e ribadite, seppure in maniera reticente, nel corso della sua nuova audizione disposta nel giudizio di rinvio, ritenendo non necessario raccogliere ulteriori elementi di riscontro rispetto a quelli già acquisiti agli atti del processo.
Avverso la sentenza propone ricorso l’imputato articolando un unico motivo.
2.1 Con tale motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità penale dell’imputato per essere questa dipesa dalle dichiarazioni rese dal testimone assistito COGNOME le quali non solo risulterebbero prive di attendibilità intrinseca, ma nemmeno troverebbero riscontri esterni individualizzanti nei confronti dell’imputato.
In particolare la difesa censura la valutazione espressa dai giudici di merito in riferimento alla idoneità delle risposte fornite dal testimone a fondare la prova della veridicità delle dichiarazioni rese nel precedente giudizio, osservando come questa non troverebbe riscontro nell’atteggiamento di reticenza serbato dal COGNOME nell’intero corso del nuovo esame testimoniale. In particolare, si evidenzia come quest’ultimo, contrariamente a quanto dedotto dai giudici di merito, non avrebbe confermato le precedenti dichiarazioni, ma si sarebbe limitato ad affermare di non ricordare nulla né degli eventi criminosi, né di quanto riferito nelle settimane e nei mesi successivi all’epoca dei fatti.
Pertanto, rileva la difesa, l’atteggiamento di evidente ritrosia mostrata dal testimone nella formulazione delle risposte avrebbe dovuto condurre la Corte territoriale a sottoporre le dichiarazioni da lui rese ad un vaglio di più penetrante di attendibilità, essendo inverosimile che quest’ultimo abbia dimenticato fatti criminosi così eclatanti avvenuti sotto la sua diretta percezione.
Si censura, altresì, la logicità della spiegazione fornita dai giudici di merito in ordine alle ragioni per le quali il comportamento reticente del testimone non avrebbe compromesso il giudizio sulla sua attendibilità, denunciando, nello specifico, come il richiamo ad un presunto stato di timore serbato dal COGNOME nei confronti dell’imputato non solo costituisca una mera congettura dei giudici del merito non comprovata da sufficienti evidenze, ma non escluderebbe in astratto l’alternativa possibilità che tale atteggiamento sia dipeso dal timore di rendere dichiarazioni accusatorie non veritiere.
Da ultimo, il ricorso censura la valutazione formulata dai giudici di merito in riferimento alla superfluità di raccogliere ulteriori elementi di riscontro rispetto a quelli già acquisiti agli atti del processo al fine di fondare il giudizio di penale responsabilità dell’imputato. In particolare, si evidenzia come l’insufficiente contributo conoscitivo apportato dal testimone al quadro probatorio già esistente avrebbe dovuto spingere la Corte ad integrare l’istruttoria dibattimentale e ad accogliere, quantomeno, la richiesta presentata dalla difesa di effettuare una perizia fonica sulle conversazioni intercettate, in modo da chiarire se la voce maschile di uno degli interlocutori corrisponda effettivamente a quella dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel suo complesso infondato e deve pertanto essere rigettato.
Non è condivisibile l’assunto difensivo in base al quale le dichiarazioni rese dal testimone COGNOME in sede di rinnovazione d’istruttoria dibattimentale sarebbero inidonee a fondare la prova della veridicità delle risposte fornite nel precedente giudizio.
2.1 In primo luogo, il Collegio condivide il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in materia di utilizzabilità delle prove acquisite nei confronti dell’imputato già contumace, il provvedimento che concede la restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale di primo grado non invalida le prove già assunte, ma determina il diritto dell’imputato di ottenere l’assunzione di prove nuove o la riassunzione di prove già acquisite, purché, per ciascuna prova richiesta, sia indicato il tema di indagine che si intende approfondire, di modo che il giudice possa valutarne la pertinenza e la rilevanza (Sez. 6, n. 42912 del 12/06/2018, COGNOME, Rv. 274202).
Da tale principio discende che le prove acquisite nel giudizio di primo grado in presenza del difensore, ancorché d’ufficio, dell’imputato contumace mantengono la loro piena validità, concorrendo, insieme agli ulteriori elementi acquisiti in seguito alla rinnovazione dell’istruttoria, a fondare il giudizio di responsabilità penale dell’imputato.
2.2 Alla luce di tali premesse, si evidenzia come la doglianza difensiva sia assolutamente generica sul punto, in quanto non contesta l’idoneità probatoria del complessivo patrimonio cognitivo valutato dalla Corte territoriale, né si confronta con l’esaustiva valutazione di attendibilità intrinseca ed estrinseca del dichiarante compiuta dai giudici di merito, limitandosi, invece, a censurare l’attitudine delle nuove dichiarazioni ad incrementare il compendio probatorio già posto a carico del ricorrente
Invero tale ultima circostanza non è in discussione, giacché anche la Corte di merito ha riconosciuto che le reticenti dichiarazioni rese dal COGNOME non abbiano effettivamente accresciuto la piattaforma cognitiva posta a fondamento del giudizio di responsabilità dell’imputato.
Tuttavia, si osserva come l’insufficienza delle nuove risposte non costituisca un elemento idoneo ad intaccare la genuinità della valutazione di credibilità del propalante offerta dalla sentenza di merito, la cui logicità e coerenza costituisce il solo oggetto dell’odierno giudizio di legittimità.
In particolare, la sentenza impugnata, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, fornisce un’adeguata e logica giustificazione in ordine alla ragione che ha indotto il COGNOME a mantenere un forte atteggiamento di reticenza nel corso del nuovo esame, quando per la prima volta si è trovato a deporre in presenza dell’accusato, individuandola nel timore di subire ritorsioni da parte dell’imputato per la portata delle sue dichiarazioni.
Nello specifico, la Corte territoriale ha, in primo luogo, respinto la tesi difensiva rivolta ad attribuire alla reticenza dimostrata dal teste il valore di una ritrattazione implicita, puntualizzando come l’accoglimento della doglianza sarebbe, ad ogni modo, precluso dal consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di valutazione delle prove, la ritrattazione, da parte di un testimone o di un collaboratore di giustizia, di dichiarazioni accusatorie in precedenza rese non costituisce elemento in grado di escluderne l’attendibilità, potendo il giudice legittimamente riconoscere valore probatorio a queste ultime, a condizione che eserciti su di esse un controllo più incisivo, esteso ai motivi della variazione del dichiarato, potendo anche ritenere che la ritrattazione si traduca in un ulteriore elemento di conferma delle originarie accuse (Sez. 6, n. 35680 del 30/05/2019, COGNOME, Rv. 276693).
2.3 In aggiunta, i giudici di merito hanno giustificato il radicale mutamento manifestato dal dichiarante nell’esame dibattimentale non sulla base di mere congetture, ma in forza di solidi argomenti logici.
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito come gli “elementi concreti”, sulla base dei quali può ritenersi che il dichiarante sia stato sottoposto ad intimidazione affinché non deponga ovvero deponga il falso, non devono necessariamente consistere in fatti che positivamente dimostrino – con un livello di certezza necessario per una pronuncia di condanna – l’esistenza di specifici atti di violenza o minaccia indirizzati verso il medesimo, potendo, invece, essere desunti da circostanze sintomatiche dell’intimidazione, emerse anche nello stesso dibattimento, secondo parametri correnti di ragionevolezza e persuasività, alla luce di una valutazione complessiva delle emergenze processuali (Sez. 2, n. 29393 del 22/04/2021, COGNOME, Rv. 281808).
Il principio è stato ribadito anche sottolineando come questi elementi concreti ben possono desumersi dalla completa ritrattazione in dibattimento, senza alcuna plausibile giustificazione, delle dichiarazioni rese o, più in generale, da atteggiamenti che nel loro complesso si giustificano come effetti di pressioni esterne e sono ravvisabili anche quando l’intimidazione sia stata rivolta dall’imputato o da terzi a persone vicine al teste e sia ragionevole ritenere che egli ne sia stato reso partecipe nell’immediatezza (Sez. 5, n. 13176 del 11/12/2018, dep. 2019, Rv. 275622).
Va ricordato, altresì, che lo standard probatorio richiesto per ritenere dimostrata l’esistenza di pressioni che possano aver influito sulla genuinità delle dichiarazioni rese da un dichiarante non deve coincidere con l’acquisizione di elementi di prova necessari per una pronuncia di condanna, essendo sufficiente che siano raccolti elementi sintomatici (e non solo vaghe ragioni o meri sospetti, disancorati da qualunque dato reale), secondo parametri correnti di ragionevolezza e di persuasività (Sez. 1, Sentenza n. 9646 del 19/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269272; Sez. 2, n. 22440 del
05/05/2016, COGNOME, Rv. 267039; Sez. 1, n. 25211 del 12/05/2015, COGNOME, Rv. 264016; Sez. 2, n. 50323 del 22/10/2013, COGNOME, Rv. 257978).
2.4 Gli argomenti adoperati a sostegno del legame tra la cautela adoperata dal COGNOME nel rispondere alle domande ed il timore di subire ritorsioni sono stati individuati dai giudici non solo nelle minacce subite dallo stesso in occasione del primo processo per indurlo al silenzio, ma anche nella scelta del teste di cambiare nome, nonché nella volontà di non rendere noto il suo attuale indirizzo di residenza al cospetto dell’imputato. Non solo. La Corte d’appello ha anche sapientemente valorizzato le modalità con cui il dichiarante ha negato di ricordare gli eventi di cui ha avuto conoscenza diretta, giudicate talmente maldestre da non poterle definire come una credibile smentita delle precedenti affermazioni, anche in virtù della considerazione che il COGNOME, in occasione della lettura dei verbali degli interrogatori, ha comunque risposto che, se le dichiarazioni rese in precedenza erano quelle oggetto di lettura, allora dovevano ritenersi veritiere.
Ancora, la tenuta logica della giustificazione ora riassunta non risulta, peraltro, smentita dall’ulteriore assunto secondo il quale i giudici non avrebbero raggiunto la piena prova circa la paternità delle minacce oggetto delle conversazioni intercettate alla persona dell’imputato, anche in considerazione del rigetto della richiesta presentata dalla difesa di disporre una perizia fonica, ritenuto dal ricorrente un elemento indispensabile per chiarire l’identità della voce maschile di uno degli interlocutori.
L’argomento difensivo non è condivisibile in quanto, anche se si dovesse accertare che la voce che ha proferito le minacce non appartenga all’imputato, ma a soggetti terzi, nulla toglierebbe alla dimostrazione che il COGNOME sia stato effettivamente intimidito ed indotto alla reticenza, posto che le suddette minacce erano volte proprio ad imporgli il silenzio sui fatti oggetto del processo a carico del COGNOME.
2.5 Infondato, altresì, è l’ulteriore argomento di ricorso rivolto a censurare la decisione dei giudici di merito di non raccogliere ulteriori elementi di riscontro rispetto a quelli già acquisiti agli atti del processo al fine di fondare il giudizio di penale responsabilità dell’imputato.
Come correttamente osservato dalla pronuncia censurata, l’assunzione di assumere elementi di riscontro diversi da quelli già raccolti nel primo grado di giudizio non costituiva un perentorio vincolo per il giudice del rinvio, avendo la sentenza rescindente semplicemente evidenziato la facoltà di procedere in tal senso, qualora il contributo conoscitivo apportato dal nuovo esame del Kasmi ne avesse rilevato la necessità, correttamente esclusa dai giudici del merito alla luce del tenore delle sue dichiarazioni. Peraltro, la censura sul punto è oltremodo generica, in quanto il ricorrente si limita ad evocare quale necessario elemento di riscontro alle dichiarazioni la già menzionata perizia fonica. Al riguardo, i giudici di merito non solo hanno chiarito come la natura collaterale ed indipendente della perizia non consenta di collocarla nel novero degli elementi esterni di riscontro, ma, altresì, hanno fornito un’adeguata giustificazione in
merito alla non necessità di acconsentire a tale richiesta, evidenziando, in particolare, come l’identificazione dell’imputato quale interlocutore della telefonata non costituisca un elemento dirimente al fine di valutare la pressione intimidatoria subita dal dichiarante.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27/03/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME