Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23144 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23144 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il 22/10/1970
NOME COGNOME nato a NAPOLI il 21/09/1963
avverso l’ordinanza del 09/10/2024 del TRIB. LIBERTA di NAPOLI, udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità
dei ricorsi;
lette le conclusioni scritte del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha insistito nei motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Napoli, in sede cautelare ed in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico ministero avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Avellino il 24 aprile 2024, ha applicato ai ricorrenti la misura degli arresti domiciliari i relazione ai reati di estorsione aggravata dall’uso del metodo mafioso e sostituzione di persona.
Ricorrono per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME a mezzo dei loro rispettivi difensori e con distinti atti.
3. COGNOME NOME
3.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza.
Il Tribunale avrebbe fondato la sua decisione valorizzando le dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME unica fonte di prova a carico, senza rilevare la contraddittorietà del racconto e l’assenza di riscontri esterni, nonché le smentite provenienti da soggetti terzi, i quali avevano escluso la compromissione del ricorrente nelle vicende narrate.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso ci si duole della ritenuta sussistenza del reato di estorsione di cui al capo a), rilevando una contraddizione del provvedimento impugnato nell’aver escluso la sussistenza della estorsione nei confronti dei fratelli della vittima, nonostante fossero stati costoro che, al contrario della persona offesa, avevano elargito somme di denaro in via diretta agli autori del reato (secondo il racconto della vittima).
3.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce mancanza di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per i reati di truffa sostituzione di persona, non essendo stati evidenziati elementi comprovanti il concorso morale del ricorrente.
3.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce vizio della motivazione quanto alla aggravante dell’uso del metodo mafioso in relazione al reato di estorsione di cui al capo a), non avendo la vittima mai attribuito al ricorrente o ad altri coindagati la circostanza di aver fatto riferimento ad ambienti di tipo camorristico.
3.5. Con il quinto motivo ci si duole della ritenuta sussistenza di esigenze cautelari, che il Tribunale avrebbe basato solo su formule di stile.
4. COGNOME NOME.
4.1. Con il primo motivo di ricorso si deducono argomenti sovrapponibili a quelli del primo ricorrente a proposito della inattendibilità della persona offesa, aggiungendosi che si tratterebbe di soggetto con disturbi psichici che era stato smentito dalle dichiarazioni rese dai fratelli NOME, NOME e NOME.
Non sarebbe stata valutata l’assenza di riscontri estrinseci, resi necessari dalle contraddizioni in cui sarebbe incorsa la vittima e dalla sua personalità.
4.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’uso del metodo mafioso in relazione al reato di estorsione di cui al capo a), non avendo la vittima fatto sicuro riferimento a legami con la camorra vantati dal ricorrente.
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4.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce vizio della motivazione quanto alle esigenze cautelari, avendo il Tribunale adottato mere formule di stile, senza tenere conto che il ricorrente risulta detenuto dal 25 gennaio 2023 in espiazione di una pena definitiva di nove anni di reclusione e la condotta contestata era risalente al 2019.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché proposti con motivi generici e, comunque, manifestamente infondati.
1.Quanto al primo motivo, comune ad entrambi i ricorsi ed inerente ai gravi indizi di colpevolezza, se ne deve rilevare la genericità a fronte della corposa motivazione dell’ordinanza impugnata a proposito dell’attendibilità della persona offesa, siccome supportata da una serie di riscontri estrinseci che i ricorsi non richiamano.
In primo luogo, quanto alla personalità della vittima, il Tribunale ha sottolineato l’assenza di ogni supporto alla tesi difensiva che costei fosse soggetto con problemi mentali, assunto rimasto non documentato anche nel ricorso.
In secondo luogo ed in punto di diritto, deve ricordarsi il principio, ancora di recente ribadito, secondo cui, in tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo “id quod plerumque accidit”, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità (Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609).
Le dichiarazioni della persona offesa, ritenute attendibili dai giudici di merito, quand’anche non assistite da riscontri esterni – in questo caso, peraltro, presenti – possono anche da sole sostenere il giudizio di condanna, secondo pacifici principi da lungo tempo affermati ed oramai consolidati nella giurisprudenza di legittimità, a partire da Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, secondo la quale, le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del su racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone.
A maggior ragione, dunque, tali principi trovano applicazione in fase cautelare, laddove occorre verificare non la penale responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio ma la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza.
Ciò posto, l’attendibilità della persona offesa NOME COGNOME – la quale aveva riferito di continue richieste estorsive provenute dai ricorrenti e da COGNOME f atello di COGNOME NOME, volte ad ottenere somme di danaro dai fratelli della vittima, finanche costretti a vendere degli immobili con procure artefatte relative alla persona offesa, così da indurre in errore notai ed acquirenti avevano trovato un primo riscontro documentale nella falsificazione ed utilizzo della carta di identità della persona offesa per stipulare i contratti di vendita di alcuni immobili con procure fasulle.
Il Tribunale ha individuato i ricorrenti quali “registi” della vicenda”, che avevano concorso, insieme a loro congiunti, alle richieste estorsive nei confronti dei fratelli NOME ed alla perpetrazione delle truffe, attraverso sostituzioni della persona di NOME NOME; ciò, a prescindere dalla loro presenza al momento della stipula degli atti di compravendita.
I fratelli della vittima erano soggiogati dagli aguzzini al punto da non riferire nulla delle minacce subite e, per questo, secondo la valutazione non illogica del Tribunale, non attendibili nel negare quanto invece affermato dalla persona offesa.
Le dichiarazioni di quest’ultima erano state corroborate da una serie di riscontri, rivenienti, oltre che da quanto già indicato, anche dalle conferme al racconto provenute:
da COGNOME NOMECOGNOME moglie del fratello NOME COGNOME
da NOME, ex moglie della persona offesa (che ricordava personalmente una minaccia di morte alla vittima);
da COGNOME NOME, locataria di un appartamento;
dai tabulati telefonici che avevano attestato i contatti tra l’utenza in uso al ricorrente Marigliano e la persona offesa, come da costei riferito;
dagli accertamenti compiuti presso la conservatoria dei registri immobiliari;
dagli accertamenti bancari.
Di tanto nei ricorsi non si dà contezza, a dimostrazione della loro genericità.
Del pari, con riguardo all’aggravante dell’uso del metodo mafioso in relazione al reato di estorsione, i ricorsi sorvolano del tutto su quanto precisato a fg. 20 dell’ordinanza impugnata, a proposito del fatto che la vittima aveva riferito che le minacce estorsive commesse dai ricorrenti e dalla coindagata NOME COGNOME erano accompagnate da riferimenti al fatto che i due indagati si vantavano di appartenere a clan camorristici di San Giovanni e Barra, circostanza che aveva intimorito la vittima, risoltasi a trasferirsi in Abruzzo.
Risulta giuridicamente irrilevante la verità di quanto vantato dai ricorrenti.
3. Anche il motivo, comune ad entrambi i ricorsi, relativo alla sussistenza di esigenze cautelari, è generico.
Il Tribunale ha ampiamente approfondito il tema, rilevando che le modalità dei fatti e la loro reiterazione nel tempo, nonché i gravi precedenti penali dei
ricorrenti, fossero dimostrativi della loro pervicacia criminale e pericolosità
sociale, tanto da meritare una misura detentiva, individuata negli arresti domiciliari a fronte anche della presunzione di sussistenza delle esigenze
cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. con riguardo alla fattispecie estorsiva aggravata dal metodo mafioso.
La motivazione è priva di vizi logico-giuridici deducibili in questa sede e resiste ad ogni obiezione difensiva, anche in relazione alla posizione di Marigliano
NOMECOGNOME avuto riguardo alla notevole mole di precedenti penali a suo carico.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa
delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa degli stessi ricorrenti nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen..
Così deciso, il 16/05/2025.