Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29700 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29700 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 11/04/1992
avverso la sentenza emessa in data 16/01/2024 dalla Corte di Appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
vbs;gIllatt13 le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurat NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Udito l’avv. COGNOME difensore della parte civile che ha chiesto il rigett ricorso.
Udito l’avv. COGNOME COGNOME in difesa dell’imputato, anche in sostituz dell’avv. COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16/01/2024, la Corte di Appello di Napoli ha confermato l decisione del Tribunale di Avellino emessa in data 09/01/2019, con la qual l’imputato è stato condannato alla pena di anni sei di reclusione in relazio delitto di cui all’art. 609-bis, cod. pen. per aver costretto, con viol persona offesa a subire atti sessuali.
Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo dei propri difensori, presentando il ricorso articolato nelle seguenti doglianze.
Nel primo motivo si lamenta il vizio di violazione di legge e di motivazione relativamente al giudizio di attendibilità della persona offesa costituitasi parte civile.
La Corte d’appello avrebbe omesso di considerare le numerose incertezze che hanno inficiato la dichiarazione della persona offesa, giustificandole sulla base di considerazioni apodittiche.
La Corte avrebbe, inoltre, considerato “marginale” la circostanza che il padre della persona offesa avrebbe smentito alcune circostanze del racconto da lei fornito.
I giudici avrebbero, inoltre, illegittimamente dichiarato l’inutilizzabilità dell dichiarazioni della teste COGNOME NOME solo perché la teste si sarebbe mostrata infastidita dalla sua citazione in Tribunale, e avrebbero erroneamente dichiarato inutilizzabile la testimonianza di NOME solo perché amico dell’imputato e sub iudice in un processo per omicidio.
La Corte, inoltre, avrebbe ignorato l’esplicita richiesta formulata agli atti di acquisire, ai sensi dell’art. 603, cod. proc. pen., il CD contenente la conversazione intercorsa tra COGNOME NOME e COGNOME NOME della cui trascrizione peritale si era già fatto richiesta in primo grado. Ad avviso della difesa, la conversazione ivi registrata, avrebbe potuto determinare una diversa e più favorevole decisione per l’imputato.
Le omissioni descritte avrebbero inficiato la logica dell’iter motivazionale.
La motivazione della pronuncia presenterebbe anche ulteriori profili di illogicità nella parte in cui, da un lato, avrebbe attribuito un significato non corretto al contenuto della conversazione via messanger tra COGNOME e COGNOME, dall’altro, avrebbe ignorato che dal quadro clinico agli atti, costituito dai refert ospedalieri e dalle dichiarazioni rese dai medici che in occasione dell’abuso avevano visitato la persona offesa, non erano emerse lesioni compatibili con una violenza sessuale, limitandosi a ritenere, quale riscontro alle dichiarazioni della parte offesa, l’esistenza dei lividi su di essa, nonostante, a parere della difesa, tali ecchimosi fossero di dubbia datazione e non immediatamente ricollegabili alle violenze asseritamente subite.
La Corte avrebbe, infine omesso di tenere adeguatamente conto della personalità della persona offesa, che era avvezza a rapporti sessuali e che era pervenuta in pronto soccorso dopo aver ingerito una dose non terapeutica del farmaco “Xanax”.
Nel secondo motivo di ricorso lamenta il vizio di violazione di legge e di motivazione relativamente all’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Ad avviso della difesa, la Corte avrebbe trascurato i plurimi elementi positivi deponenti in tal senso quali l’incensuratezza dell’imputato, la sua dedizione all’attività lavorativa, l’atteggiamento collaborativo tenuto in sede processuale, la non reiterazione nei successivi dodici anni di condotte illecite, soprattutto di tipo sessuale.
Nel terzo motivo di ricorso si censura il mancato riconoscimento della circostanza di cui all’art. 609 bis, comma 3, cod. pen.
L’applicabilità della disposizione si imponeva, invece, poiché l’imputato avrebbe smesso di penetrare la persona offesa “alla luce dell’assenza di volontà” ripiegando su una pratica di sesso orale, e in considerazione della brevità della durata del rapporto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Occorre a tal fine premettere che la sentenza di appello deve essere considerata a tutti gli effetti una cosiddetta “doppia conforme” rispetto alla decisione di primo grado. Ne consegue che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente, costituendo un unico corpo decisionale, in quanto la sentenza di appello si richiama ripetutamente alla decisione del Tribunale e entrambe le decisioni adottano gli stessi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
Il primo motivo, in cui il ricorrente lamenta che la Corte non sia pervenuta ad un giudizio assolutorio in ragione della inattendibilità della persona offesa e della credibilità dei testi della difesa, è inammissibile per genericità, costituendo mera reiterazione di quella già sollevata davanti alla Corte di appello e da questa debitamente considerata e disattesa con argomentazioni immuni da censure di ordine logico.
I giudici di appello hanno condiviso, rievocandole puntualmente e dettagliatamente, le argomentazioni dei giudici di primo grado che hanno riconosciuto la responsabilità penale dell’imputato, sulla base della attendibilità la persona offesa, per l’intrinseca linearità del suo racconto e per dell’esistenza di numerosi riscontri alla sua narrazione, e in ragione della infondatezza delle numerose censure difensive, confutate puntualmente.
La Corte ha, inoltre, formulato un autonomo giudizio di credibilità della persona offesa evidenziando con argomentazioni non manifestamente illogiche e pertanto non sindacabili in questa sede, che la donna era scevra da intenti calunniatori e che le risultanze medico legali in atti, nella parte in cui riferivano dell’esistenza di un trauma nelle parti intime della giovane donna, sia pur insistente su uno stato infiammatorio, costituivano un riscontro alla versione dei fatti da lei resa nelle varie fasi processuali, così come le deposizioni dei testimoni che aveva raccontato di aver ricevuto dalla persona offesa confidenze circa l’accaduto e che avevano visto i lividi presenti sulle braccia e sulle gambe della persona offesa.
La Corte ha altresì ribadito l’irrilevanza di alcune contraddizioni o omissioni presenti nel racconto della persona offesa o in quello del di lei padre, poiché non idonee a scalfire il nucleo essenziale della ricostruzione dell’accaduto.
Da ultimo, condividendo la decisione di primo grado, i giudici d’appello hanno altresì reputato non credibili i testimoni presentati dalla difesa, non solo perché le loro dichiarazioni sono risultate smentite dal complessivo compendio probatorio di cui si è dato conto, ma anche per la loro intrinseca inattendibilità.
Sul punto, giova rammentare che, in sede di giudizio di primo grado (pag. 21), la teste COGNOME è stata ritenuta non attendibile, sulla base di un percorso argomentativo privo di vizi logici, fondato sull’inverosimiglianza del racconto da lei reso e sulla sua limitata disponibilità a partecipare attivamente alla vicenda processuale, in particolare assumendo posizioni sfavorevoli all’indagato. A tale valutazione si aggiunge, quale ulteriore chiave interpretativa, il contesto di generale ostilità venutosi a creare nei confronti della persona offesa successivamente alla denuncia.
Quanto al teste COGNOME la sua inattendibilità è stata desunta dalla natura singolare delle condotte poste in essere, ritenute dal giudice di primo grado (cfr. pag. 27) eccessivamente anomale per poter essere considerate spontanee e, dunque, credibili.
Infine, i giudici di merito hanno correttamente evidenziato che anche qualora la persona offesa avesse manifestato una propensione alla consumazione di rapporti sessuali, come sostenuto dalla difesa, tale circostanza attiene esclusivamente alla sfera etico-morale e non incide in alcun modo sulla sua attendibilità quale testimone.
La giurisprudenza di questa Corte di legittimità si è del resto da tempo e più volte espressa nel senso del carattere generico e quindi inammissibile della doglianza meramente ripetitiva di quella svolta dinanzi al giudice di appello (ex pluribus v. Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME e altri, Rv. 260608; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME
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e altri, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 2005, COGNOME, Rv. 231708; Sez. 4, n. 15497 del 22/02/2002, COGNOME, Rv. 221693).
1.1. La doglianza relativa alla omessa trascrizione del CD contenente la conversazione tra il COGNOME e la COGNOME è anch’essa priva di fondamento.
In proposito, infatti, va rammentato il principio secondo cui la mancata assunzione dei mezzi di prova già ammessi non produce alcuna nullità del procedimento laddove non sia stata manifestata alcuna riserva alla chiusura dell’istruzione dibattimentale da parte di chi tali mezzi aveva richiesti né opposizione delle altre parti processuali (Sez. 3, n. 434 del 03/11/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252122 – 01; Sez. 3, n. 9135 del 24/01/2008, COGNOME, Rv. 239054),
Infatti, il diritto alla prova, previsto dall’art. 190 cod. proc. pen., nel vigen sistema processuale, caratterizzato dalla dialettica e dall’impulso delle parti, implica anche il principio di disponibilità della prova medesima.
Nel caso di specie, il ricorrente, al momento della chiusura del dibattimento di primo grado, non ha sollevato alcuna obiezione né ha formulato riserve in merito alla mancata trascrizione del citato CD. Ne consegue che, in presenza di un comportamento concludente che denota una rinuncia implicita alla prova, non può ritenersi configurabile alcuna nullità.
Il secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente censura l’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato. La Corte d’appello, con motivazione non manifestamente illogica e dunque non censurabile in questa sede, ha legittimamente giustificato la propria decisione.
Ha infatti rilevato che l’imputato aveva immobilizzato la vittima, costringendola a subire atti sessuali consistenti in una penetrazione seguita da un rapporto orale; che aveva condotto la persona offesa in un luogo isolato, in tarda notte, con il pretesto di volerla riaccompagnare a casa, al solo fine di abusare di lei; che non aveva manifestato alcun segno di pentimento per il reato commesso; che la vittima, poco più che ventenne, aveva riportato un significativo trauma psichico a seguito dell’accaduto.
Tali elementi, valutati nel loro complesso, giustificano il diniego delle attenuanti generiche da parte dei giudici di merito.
Il terzo motivo di ricorso esso è manifestamente infondato poiché la Corte d’appello, valorizzando le modalità del fatto illustrate nel punto che precede, ha correttamente escluso che la condotta possa essere considerata di minore gravità.
4.Per queste ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente alle spese processuali e alla somma di euro tremila in
favore della cassa delle ammende.
P.Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, in data 18/06/2025
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