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Attendibilità persona offesa: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per usura aggravata. La decisione si fonda sul principio della piena attendibilità della persona offesa, le cui dichiarazioni, se attentamente valutate, possono da sole costituire prova sufficiente per una condanna penale. La Corte ha inoltre respinto l’eccezione di prescrizione, chiarendo che le aggravanti contestate estendono significativamente i termini.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Attendibilità persona offesa: la parola della vittima può bastare per la condanna?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, affronta un tema cruciale nel processo penale: l’attendibilità della persona offesa. La Suprema Corte ha confermato la condanna per usura aggravata di un imputato, ribadendo un principio fondamentale: le dichiarazioni della vittima possono, da sole, costituire il fondamento di una sentenza di colpevolezza, a patto che la loro credibilità sia stata vagliata con particolare rigore. Questo caso offre spunti di riflessione essenziali sulla valutazione della prova dichiarativa nel nostro ordinamento.

I fatti del processo

Il caso trae origine da una vicenda di usura. Un imprenditore in difficoltà economica si era rivolto a un soggetto per ottenere un prestito. Quest’ultimo lo aveva messo in contatto con l’imputato, che aveva fornito il denaro a tassi usurari (10% mensile). L’imprenditore, costituitosi parte civile nel processo, aveva denunciato i fatti, portando alla condanna dell’imputato sia in primo grado che in appello. L’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, contestando principalmente due aspetti: la valutazione dell’attendibilità della persona offesa, ritenuta incerta e contraddittoria, e l’errata applicazione della legge in materia di prescrizione del reato.

La decisione della Corte di Cassazione sull’attendibilità della persona offesa

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione dei giudici di merito. La sentenza si basa su due pilastri argomentativi principali: la corretta valutazione della testimonianza della vittima e l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione.

La valutazione della credibilità della vittima

Il punto centrale della difesa era minare la credibilità del racconto della vittima. Tuttavia, la Cassazione ha ricordato che, secondo un principio consolidato (richiamando le Sezioni Unite), le dichiarazioni della persona offesa possono essere poste da sole a fondamento della responsabilità penale. Ciò richiede, però, una verifica particolarmente penetrante e rigorosa della sua attendibilità, sia soggettiva (la credibilità del dichiarante) sia oggettiva (la coerenza interna del racconto). Nel caso di specie, i giudici di merito avevano svolto tale verifica in modo congruo e logico, escludendo intenti calunniosi e valorizzando la minuziosa ricostruzione della vicenda, supportata anche dalle testimonianze di altri soggetti che confermavano il ruolo attivo dell’imputato nel reperire ‘clienti’ per prestiti illeciti.

Il calcolo della prescrizione nel reato di usura aggravata

Un altro motivo di ricorso riguardava la prescrizione. La difesa sosteneva che il tempo massimo fosse scaduto. La Corte ha respinto questa tesi, chiarendo che il reato contestato era usura aggravata ai sensi dell’art. 644, quinto comma, cod. pen. La presenza di tali aggravanti a effetto speciale comporta un significativo aumento del tempo necessario a prescrivere, portandolo in questo caso a 18 anni e 9 mesi, un termine ben lontano dall’essere decorso.

le motivazioni

La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile perché basato su motivi non consentiti in sede di legittimità, come la richiesta di una nuova valutazione dei fatti, e perché privo della specificità richiesta dalla legge. Le censure della difesa, secondo gli Ermellini, non superavano la soglia di ammissibilità, limitandosi a riproporre questioni già adeguatamente risolte nei gradi di merito. L’iter motivazionale della Corte d’Appello è stato giudicato logico, coerente e conforme alle risultanze processuali, fornendo una spiegazione plausibile anche alle piccole discrepanze emerse dalle deposizioni. Infine, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende, rigettando la richiesta di liquidazione delle spese per la parte civile, la cui partecipazione in questa fase si era limitata all’invio di conclusioni sintetiche.

le conclusioni

Questa sentenza riafferma con forza il valore probatorio della testimonianza della vittima di un reato. Sebbene non sia una prova come le altre, e richieda un vaglio più severo, essa può essere l’unico elemento su cui si fonda una condanna, specialmente in reati come l’usura, dove spesso mancano prove documentali. La decisione chiarisce inoltre l’impatto delle circostanze aggravanti sul calcolo della prescrizione, un elemento tecnico ma di fondamentale importanza pratica per la tenuta dei processi. Per gli operatori del diritto, è un monito a costruire ricorsi per cassazione che non si limitino a contestare il merito delle valutazioni, ma che identifichino vizi di legittimità specifici e ben argomentati.

Una persona può essere condannata penalmente sulla base delle sole dichiarazioni della vittima?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale, a condizione che la loro attendibilità sia stata verificata in modo particolarmente rigoroso e approfondito dal giudice.

Perché l’eccezione di prescrizione per il reato di usura è stata respinta?
L’eccezione è stata respinta perché al reato erano state contestate e ritenute sussistenti le circostanze aggravanti ad effetto speciale previste dall’art. 644, quinto comma, cod. pen. Queste aggravanti aumentano notevolmente il tempo necessario per la prescrizione, portandolo nel caso specifico a 18 anni e 9 mesi, termine non ancora decorso.

Cosa significa che un ricorso in Cassazione è ‘inammissibile’?
Significa che il ricorso non può essere esaminato nel merito dalla Corte. In questo caso, è stato ritenuto inammissibile perché presentato per motivi non consentiti dalla legge (come una richiesta di rivalutazione dei fatti, non permessa in sede di legittimità) e perché privo della specificità necessaria richiesta dagli articoli 581 e 591 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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