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Attendibilità persona offesa: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per rapina aggravata. La sentenza sottolinea che la valutazione sull’attendibilità della persona offesa, anche in presenza di iniziali incertezze e successivo decesso, spetta ai giudici di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se la motivazione è logica. La Corte ha inoltre confermato la legittimità del rigetto di una perizia su un alibi fotografico ritenuto falso, ribadendo la discrezionalità del giudice su tale mezzo di prova.

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Pubblicato il 30 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Attendibilità persona offesa: la Cassazione decide sulla prova e il falso alibi

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 25829 del 2024, offre importanti chiarimenti su temi cruciali del processo penale, come la valutazione dell’attendibilità della persona offesa e la gestione delle prove difensive, in particolare quando si tratta di un alibi supportato da fotografie. La Corte ha ribadito principi consolidati, delineando i confini tra il giudizio di merito e quello di legittimità.

I Fatti del Processo

Il caso riguarda un uomo condannato in primo grado e in appello per rapina aggravata in concorso. La condanna si basava in modo significativo sulle dichiarazioni della vittima, una donna anziana che, purtroppo, era deceduta prima della fase dibattimentale. La difesa dell’imputato aveva sollevato dubbi sulla credibilità della vittima, la quale inizialmente aveva dichiarato che i rapinatori agivano a volto coperto, per poi identificarli in una successiva denuncia.

Inoltre, l’imputato aveva presentato un alibi, documentato da fotografie che lo ritraevano in un luogo diverso al momento del reato. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva respinto questa linea difensiva, giudicando le fotografie come “artefatte” e create ad arte. Aveva anche negato la richiesta della difesa di una perizia tecnica per verificare l’autenticità delle immagini direttamente dalla memoria del dispositivo utilizzato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. La decisione si fonda su una netta distinzione tra le questioni di fatto, di competenza dei giudici di primo e secondo grado, e le questioni di diritto, le uniche che possono essere esaminate in Cassazione.

L’attendibilità della persona offesa e i limiti del ricorso

I giudici hanno stabilito che le censure relative all’attendibilità della persona offesa sono inammissibili in sede di legittimità quando i giudici di merito hanno fornito una motivazione logica e non contraddittoria. La Corte d’Appello aveva spiegato in modo plausibile le ragioni della iniziale reticenza della vittima, rendendo il suo racconto complessivamente credibile. La valutazione della credibilità di un testimone è un giudizio di fatto che, se adeguatamente motivato, non può essere rimesso in discussione in Cassazione. È stato inoltre confermato che l’utilizzo delle dichiarazioni rese dalla vittima durante le indagini preliminari, ai sensi dell’art. 512 c.p.p. a causa del suo decesso, è pienamente legittimo, soprattutto quando tali dichiarazioni sono corroborate da altri elementi di prova, come la testimonianza della nipote e i dati di localizzazione del cellulare.

La questione dell’alibi e della perizia negata

Anche riguardo al rigetto dell’alibi e della connessa richiesta di perizia, la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione della Corte territoriale. I giudici di merito avevano motivato in modo non manifestamente illogico le ragioni per cui ritenevano l’alibi fotografico falso e “precostituito”.

La Corte ha colto l’occasione per ribadire che la perizia non è un diritto della parte, ma un mezzo di prova “neutro”, la cui ammissione è rimessa alla discrezionalità del giudice. Il suo diniego non costituisce motivo di ricorso per cassazione, a meno che non si tratti di una prova “decisiva”, circostanza non ravvisata nel caso di specie.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha sottolineato che il ricorso presentato dalla difesa mirava, in realtà, a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti e delle prove, un’operazione preclusa nel giudizio di legittimità. Le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’adeguatezza o la puntualità della motivazione dei giudici di merito sono inammissibili, a meno che non emerga una manifesta illogicità o una contraddittorietà insanabile dal testo del provvedimento.

Nel caso specifico, la motivazione della Corte d’Appello è stata giudicata “esaustiva”, “lineare e non manifestamente illogica” sia sulla credibilità della vittima, sia sulla falsità dell’alibi. Anche il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è stato ritenuto correttamente motivato, in base alle modalità del fatto e all’assenza di elementi positivi a favore dell’imputato, tra cui proprio il tentativo di precostituirsi un falso alibi.

Conclusioni

La sentenza consolida alcuni principi fondamentali del processo penale. In primo luogo, il giudizio sull’attendibilità dei testimoni e delle persone offese è di esclusiva competenza dei giudici di merito; alla Cassazione spetta solo un controllo sulla logicità della motivazione. In secondo luogo, la richiesta di una perizia non è un diritto incondizionato della difesa, ma una facoltà discrezionale del giudice. Infine, la presentazione di prove difensive palesemente false, come un alibi artefatto, non solo non aiuta l’imputato, ma può essere valutata negativamente ai fini della concessione delle attenuanti generiche e, più in generale, della valutazione complessiva della sua condotta processuale.

Quando le dichiarazioni di una vittima, anche se inizialmente incerte, possono essere considerate attendibili?
Le dichiarazioni possono essere considerate attendibili quando il giudice di merito fornisce una spiegazione logica e plausibile per le eventuali incongruenze o cambiamenti nella versione dei fatti, valutando il racconto nel suo complesso e alla luce di altri elementi di prova. La valutazione finale è un giudizio di fatto non sindacabile in Cassazione se la motivazione è coerente.

È possibile utilizzare in un processo le dichiarazioni rese da una persona offesa che è poi deceduta?
Sì, ai sensi dell’art. 512 del codice di procedura penale, è possibile acquisire e utilizzare le dichiarazioni rese dalla persona offesa durante le indagini preliminari qualora sia divenuta impossibile la sua testimonianza in dibattimento per cause sopravvenute, come il decesso. Ciò non viola il diritto al contraddittorio, specialmente se tali dichiarazioni sono supportate da altri riscontri probatori.

Il giudice è sempre obbligato a disporre una perizia tecnica richiesta dalla difesa per provare un alibi?
No, il giudice non è obbligato. La perizia è un mezzo di prova “neutro” la cui ammissione è rimessa alla sua discrezionalità. Il rigetto di una richiesta di perizia non è motivo di ricorso se non riguarda una prova che, sulla base di una valutazione prognostica, possa essere considerata “decisiva” per l’esito del processo, e se la decisione del giudice è adeguatamente motivata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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