Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25829 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25829 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, nato in Germania il DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte d’appello di Roma dell’11.10.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza con cui, in data 3.5.2022, il Tribunale della capitale aveva riconosciuto NOME COGNOME (unitamente ed in concorso con NOME COGNOME) responsabile del delitto di rapina aggravata e lo aveva condannato alla pena di anni 5 e mesi 6 di reclusione oltre al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, applicando inoltre le pene accessorie conseguenti alla entità di quella principale;
ricorre per cassazione NOME AVV_NOTAIO COGNOME per il tramite del difensore di fiducia che deduce:
2.1 vizio di motivazione in relazione agli artt. 192 e 512 cod. proc. pen. in ordine all’attendibilità della persona offesa: richiama la motivazione con cui la Corte d’appello ha giudicato credibile la persona offesa (le cui dichiarazioni erano state acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. par il suo sopravvenuto decesso) che solo a distanza di giorni e dopo tre denunce aveva riferito che i rapinatori erano a volto scoperto; osserva che il giudizio di attendibilità è stato formulato sulla scorta RAGIONE_SOCIALE stesse “giustificazioni” fornite dalla donna e non già in forza di elementi estrinseci che non possono a suo avviso essere identificati nelle dichiarazioni della teste COGNOME che, anzi, l’avevano sconfessata costringendola a mutare la versione inizialmente fornita; sottolinea che la presenza di alternative ricostruttive avrebbe dovuto portare a motivare con il ricorso ad argomentazioni in grado di superare la natura meramente indiziaria degli elementi invece valorizzati in termini di prova dai giudici di merito;
2.2 vizio di motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. in ordine alla disponibilità del cellulare del ricorrente: richiama la motivazione con cui la Corte territoriale ha respinto il rilievo difensivo concernente la disponibilità de telefono cellulare del ricorrente al momento della rapina, rilevando come in tal modo si finisca per porre a carico della difesa l’onere di addurre circostanze a discarico che, nel caso di specie, rappresentano una probatio diabolica; aggiunge che la conclusione cui è pervenuta la Corte ha condotto ad un travisamento della prova laddove si è ritenuto falso l’alibi documentato con le foto che i giudici di merito hanno giudicato artefatte;
2.3 vizio di motivazione in relazione agli artt. 495 e 192 cod. proc. pen. per motivazione apparente sulla manomissione RAGIONE_SOCIALE fotografie: rileva che da un lato la Corte d’appello ha ritenuto che le foto prodotte dalla difesa fossero manomesse e, dall’altro, respingendo la richiesta di perizia, che tale operazione non fosse ricostruibile sulla scorta della memoria dell’apparato;
2.4 vizio di motivazione in relazione all’art. 495 cod. proc. pen. per motivazione apparente sul rigetto della richiesta di eseguire accertamenti sul
dispositivo: segnala il carattere apodittico RAGIONE_SOCIALE considerazioni svolte dalla Corte d’appello per escludere la necessità di un accertamento peritale anche con riguardo alla affermazione secondo cui si tratterebbe di una prova precostituita ad arte;
2.5 violazione di legge per mancata acquisizione di una prova decisiva con riguardo alla perizia;
2.6 vizio di motivazione sul “falso alibi” dell’imputato: rileva che non sussiste alcun elemento per ritenere la falsità dell’alibi e la sua dolosa precostituzione;
2.7 vizio di motivazione sul diniego RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche: rileva che anche il rigetto della richiesta di riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche è stata fondata sulla falsità dell’alibi arbitrariamente in tal senso ritenuto dai giudici di merito;
la Procura Generale ha trasmesso le conclusioni scritte insistendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.
Con i primi tre motivi, infatti, la difesa deduce vizio di motivazione e violazione di legge con riguardo al disposto di cui all’art. 192 cod. proc. pen.; con il quarto, quinto e sesto motivo, deduce violazione di legge processuale quanto al diniego della richiesta di espletamento di perizia sulla memoria del telefono al fine di verificare la “genuinità” RAGIONE_SOCIALE foto prodotte nel corso del processo a fondamento dell ‘”alibi”.
È allora opportuno ribadire che il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere mirato a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione RAGIONE_SOCIALE regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a
sostegno del ricorso) in misura tale 9 da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Pmt in proc Longo, Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, COGNOME, Rv. 233708; Sez. 2, n. 36119 del 04/07/2017, COGNOME, Rv. 270801).
Non sono perciò deducibili, in sede di legittimità, censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua manifesta illogicità, la sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali per pervenire ad una diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della vale probatoria del singolo elemento (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747).
In particolare, le doglianze articolate in termini di violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. riguardanti l’attendibilità dei testimoni dell’accusa, non essendo l’inosservanza di detta norma prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ma soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della medesima norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (cfr., Cass. Pen.,, 1, 20.10.2016 n. 42.207, COGNOME; conf., Cass. Pen., 3, 17.10.2012 n. 44.901, F.; conf., da ultimo, Cass. SS.UU., 16.7.2020 n. 29.541, COGNOME).
2. Partendo, allora, dalla questione relativa alla attendibilità della persona offesa, rileva il collegio che la motivazione resa sul punto dalla Corte d’appello è certamente esaustiva: i giudici di secondo grado hanno infatti spiegato le ragioni che avevano indotto la anziana donna a riferire, in prima battuta, che i due malviventi avevano agito a volto coperto sicché la valutazione della pretesa tardività della rivelazione della loro identità si risolve in un apprezzamento “di merito” fondato su una motivazione assolutamente lineare e non manifestamente illogica.
Ed è pur sempre opportuno ribadire che la valutazione circa l’attendibilità della persona offesa si connota quale giudizio di tipo fattuale, ossia di merito, in
quanto attiene al modo di essere della persona escussa; tale giudizio può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria, atteso che l’attendibilità di un teste è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell’insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il Giudice sia incorso in manifeste contraddizioni.
Non è inoltre inutile segnalare che il decesso della persona offesa, già esaminata nel corso RAGIONE_SOCIALE indagini preliminari quale persona informata dei fatti, integra un’ipotesi di impossibilità di natura oggettiva che consente l’acquisizione e l’utilizzabilità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. senza che ci comporti, quando la sentenza di condanna si fondi in modo esclusivo o significativo su tali dichiarazioni, una violazione dell’art. 6 CEDU, in quanto la sopravvenuta morte del dichiarante non può essere collegata all’intento di sottrarsi al contraddittorio dibattimentale (cfr., tra le alt Sez. F, n. 43285 del 08/08/2019, COGNOME, Rv. 277471 02; Sez. 6, n. 6846 del 12/01/2016, COGNOME, Rv. 265900 – 01).
Ciò non di meno, nel caso in esame, i giudici di merito hanno corroborato la versione della Breschini con diversi, autonomi e puntuali riscontri quali, in primo luogo, le dichiarazioni della di lei nipote NOME NOME quale, prima ancora che la persona offesa si risolvesse a rivelare agli investigatori di esser -e stata in grado di identificare i rapinatori, aveva dal canto suo fatto presente di averli visti agire volto scoperto.
La Corte ha inoltre valorizzato il dato, pacifico, secondo cui due avevano sostato al bar della vittima nel pomeriggio della rapina, come anche riferito dal figlio della persona offesa, aggiungendo che tale circostanza era corroborata dai dati acquisiti sulla localizzazione del telefono in uso al COGNOME, che collocava il ricorrente sul posto anche in coincidenza dell’orario in cui sarebbe avvenuta la rapina.
Né, come hanno correttamente rilevato i giudici di merito, l’imputato ha mai potuto giustificare questo dato con la utilizzazione o disponibilità del telefono da parte di terzi: a tal proposito, allora, è opportuno ribadire che nell’ordinamento processuale penale, a fronte dell’onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di presunzioni o massime di esperienza, spetta all’imputato allegare il contrario sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, poiché è l’imputato che, in considerazione del principio della c.d. “vicinanza della prova”, può acquisire o quanto meno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva (cfr., Sez. 2 – , Sentenza n. 6734 del
30/01/2020, Bruzzese Virginia, Rv. 278373 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 20171 del 07/02/2013, Weng ed altro, Rv. 255916 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 7484 del 21/01/2014, PG e PC in proc. Baroni, Rv. 259245 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 32937 del 19/05/2014, Stanciu Rv. 261657 – 01; Sez. 4, Sentenza n. 12099 del 12/12/2018, Fiumefreddo, Rv. 275284 – 01).
La Corte d’appello ha dunque motivato, in termini non manifestamente illogici, anche sulla inattendibilità della allegazione documentale rappresentata dalle foto che avrebbero ritratto il COGNOME, in orario sovrapponibile a quello della rapina, lontano da quei luoghi ed invece nel centro di Roma e di cui si sarebbe ricordato soltanto a distanza di anni respingendo la richiesta di perizia che, per corroborare la “genuinità” della allegazione, avrebbe dovuto essere eseguita sull’apparato con cui le foto erano state effettuate e non già sulle schede di memoria ove erano state soltanto archiviate.
D’altra parte è pacifico che la mancata effettuazione di un accertamento peritale (nella specie sulla capacità a testimoniare di un minore vittima di violenza sessuale) non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità RAGIONE_SOCIALE parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l’articolo citato, attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (cfr., Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A., Rv. 270936 – 01).
2.2 II settimo motivo è manifestamente infondato.
La Corte d’appello ha argomentato sul mancato riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche facendo riferimento, per un verso, alle modalità del fatto e, per altro verso, alla assenza di elementi positivamente valutabili in favore dell’imputato.
In tal modo i giudici di merito hanno motivato in maniera non censurabile in questa sede non essendo d’altra parte inutile ribadire che “le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale “concessione” del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena” (cfr., Sez. 2, n. 14307 del 14.3.2017, COGNOME; Sez. 2, n. 30228 del 5.6.2014, COGNOME); in definitiva, quindi, “la concessione RAGIONE_SOCIALE attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a
giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato; ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio” (cfr., Sez. 3, n. 9836 del 17.11.2015).
Ed è altrettanto pacifico che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione RAGIONE_SOCIALE attenuanti generiche, non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente che egli faccia riferimento a quelli da l ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo in tal modo clisattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (cfr., Sez. n. 43952 del 13.4.2017, COGNOME; Se 2, n. 3896 del 20.1.2016, COGNOME; Sez. 3, n. 28535 del 19.3.2014, Lule; Sez. 2, n. 3609 del 19.1.2011, COGNOME).
3 Il ricorso è, pertanto, inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 ciascuno in favore della RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso in Roma, il 6.6.2024