Attendibilità persona offesa: quando la sua parola basta per la condanna?
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, torna a pronunciarsi su un tema centrale del processo penale: l’attendibilità persona offesa. La decisione chiarisce con fermezza i criteri con cui la testimonianza della vittima può essere considerata prova sufficiente per affermare la responsabilità penale dell’imputato, anche in assenza di altri riscontri. Questo principio, consolidato nella giurisprudenza, assume un’importanza cruciale in molti procedimenti, specialmente per reati come molestie e minacce, dove spesso la parola della vittima è l’unica prova disponibile.
I Fatti del Processo
Il caso esaminato trae origine da un ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. In secondo grado, i giudici avevano riformato una precedente condanna per i reati di molestia e minaccia, dichiarando l’imputato non punibile per la particolare tenuità del fatto. Nonostante l’esito favorevole, l’imputato ha deciso di ricorrere in Cassazione, contestando la valutazione delle prove e, in particolare, la credibilità della persona offesa, costituitasi parte civile nel processo. Secondo la difesa, le dichiarazioni della vittima non erano sufficientemente attendibili per fondare un giudizio di colpevolezza.
La Decisione della Cassazione sulla attendibilità persona offesa
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. I giudici hanno sottolineato che le censure mosse dal ricorrente non evidenziavano vizi logici o giuridici nella motivazione della sentenza d’appello, ma miravano a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti. Tale operazione, definita una “rilettura” degli elementi di fatto, è preclusa alla Corte di Cassazione, il cui compito non è riesaminare il merito della vicenda, ma verificare la corretta applicazione della legge da parte dei giudici dei gradi precedenti.
Le motivazioni
Il cuore della decisione risiede nel richiamo a un principio consolidato, espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 41461/2012). Le regole probatorie previste dall’art. 192, comma 3, del codice di procedura penale, che richiedono riscontri esterni per le dichiarazioni dei coimputati, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa. Di conseguenza, la testimonianza della vittima può essere legittimamente posta da sola a fondamento della responsabilità penale dell’imputato.
Tuttavia, ciò non significa che la parola della vittima sia accettata acriticamente. La Corte chiarisce che il giudice ha il dovere di sottoporre tale testimonianza a un vaglio particolarmente rigoroso e penetrante. Questo controllo deve riguardare due aspetti fondamentali:
1. La credibilità soggettiva del dichiarante: si valuta la persona, la sua storia, i suoi rapporti con l’imputato e l’eventuale presenza di motivi di rancore o interesse personale.
2. L’attendibilità intrinseca del racconto: si analizza la coerenza, la logicità, la precisione e la costanza della narrazione dei fatti.
Nel caso specifico, la Corte di merito aveva già svolto questa attenta valutazione, motivando adeguatamente le ragioni per cui riteneva attendibile la persona offesa, e respingendo le obiezioni già sollevate in appello. Il ricorso in Cassazione si è quindi risolto in una sterile ripetizione di argomenti già esaminati e disattesi.
Le conclusioni
L’ordinanza ribadisce un caposaldo del nostro sistema processuale: la testimonianza della vittima ha un valore probatorio pieno, a condizione che superi un esame di credibilità particolarmente severo. Questa decisione conferma che tentare di utilizzare la Corte di Cassazione come un terzo grado di giudizio sul merito, chiedendo una nuova valutazione delle prove, è una strategia destinata all’insuccesso. Per i professionisti e i cittadini, ciò significa che l’esito di un processo dipende in larga misura dalla solidità e dalla coerenza delle prove presentate nei primi due gradi di giudizio e dalla capacità del giudice di merito di motivare in modo logico e convincente la propria decisione.
La testimonianza della persona offesa può essere l’unica prova per una condanna?
Sì, secondo l’ordinanza, le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato.
Quali controlli deve fare il giudice sulla testimonianza della persona offesa?
Il giudice deve compiere una verifica approfondita, che deve essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella di qualsiasi altro testimone. Questo controllo riguarda sia la credibilità soggettiva della persona che l’attendibilità intrinseca del suo racconto.
La Corte di Cassazione può riesaminare i fatti di un processo?
No, l’ordinanza specifica che esula dai poteri della Corte di Cassazione procedere a una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, in quanto tale valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6000 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6000 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 15/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a LAPPANO il 15/05/1944
avverso la sentenza del 08/05/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
I
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro che, in riforma della pronunzia di condanna del Tribunale di Cosenza, ha dichiarato l’imputato non punibile per particolare tenuità del fatto per i reati di molestia o disturbo alle persone e minaccia (artt.660 e 612 comma secondo cod. pen.).
Considerato che il primo e il secondo motivo – con cui il ricorrente denunzia vizio di motivazione in relazione al compendio probatorio fondante la responsabilità penale e il contributo dichiarativo offerto dalla parte civile – sono manifestamente infondati perché tendono ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944).
Le censure si risolvono nella pedissequa reiterazione di doglianze già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla Corte di merito. La sentenza, invero, esplicita le ragioni per le quali il quadro probatorio e, nella specie, la dedotta e presunta non attendibilità della persona offesa, non siano idonee ad escludere nel merito la penale responsabilità del ricorrente (p.2).
Considerato inoltre che il secondo motivo di ricorso relativo alla attendibilità della persona offesa non si confronta con la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, anche se costituita parte civile, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del/della dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15 gennaio 2025
NOME COGNOME
Il eonslgliereestensore
Il Presidente
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