Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23828 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23828 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: IMPERIALI COGNOME
Data Udienza: 18/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a BARI il 20/03/1975
avverso la sentenza del 18/01/2024 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita del ricorso.
udito il difensore, l’avvocato COGNOME del foro di FOGGIA in difesa di: COGNOME NOME COGNOME che si è riportato si riporta ai motivi del ricorso ed alla memoria depositata chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari che il 18/1/2024 ha confermato la condanna della ricorrente pronunciata dal tribunale cittadino, all’esito di giudizio abbreviato, per il tentata estorsione, con riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e del benefici della sospensione condizionale della pena, oltre alla condanna generica al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede in favore della parte civile.
Nella prospettazione accusatoria la COGNOME, mediante minaccia consistita nell’affermare che avrebbe incendiato l’appartamento di Beraj Breda con la sua famiglia all’interno, avrebbe compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere la persona offesa a consegnarle del denaro quale canone di affitto dell’immobile locato da suo fratello NOME COGNOME nonché ad abbandonare l’appartamento, così da procurarsi un ingiusto profitto.
Il ricorso è affidato ad otto motivi di impugnazione, ciascuno di questi espos ripercorrendo l’atto di appello ed allegando copia degli atti processuali ritenuti rilevanti:
2.1. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto all ritenuta attendibilità della persona offesa NOME COGNOME che aveva presentato denuncia-querela il 30/1/2017 assumendo di essere stata aggredita il 30 ottobre precedente dalla Cannale, che tirandole i capelli l’avrebbe fatta cadere per terra, provocandole lesioni guaribili in sette Deduce, invece, la ricorrente l’incoerenza interna del narrato della persona offesa e l’assenza riscontri esterni, evidenziando altresì l’assoluzione, sin dal primo grado, per il delitto di asseritamente arrecate alla COGNOME con la formula perché il fatto non sussiste, sul rilievo che risultava provato il nesso tra cervicalgia della persona offesa e l’azione attribuita alla rico
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione per aver la sentenza ritenuto non sincer la narrazione difensiva in assenza di certificazioni mediche ed attendibile la persona offesa a luce di certificato penale attestante la sua incensuratezza prodotto dal Procuratore Generale i violazione della disciplina del giudizio abbreviato.
2.3. COGNOME Con il terzo ed il quarto motivo ha dedotto la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla ritenuta inattendibilità del n difensivo, pur risultando dalle dichiarazioni del proprietario dell’immobile, il fratel ricorrente, che questa era delegata alla riscossione dei canoni di affitto, ed altresì per la ri inattendibilità delle dichiarazioni rese dal teste a discarico COGNOME in ordine alle aggressio questo riferite come poste in essere dalla COGNOME ai danni della ricorrente.
2.4. GLYPH Con il quinto, il sesto ed il settimo motivo sono stati dedotti il vizio di motiva della sentenza impugnata e la violazione di legge per la mancata riqualificazione del fatto com esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Il quinto motivo, in particolare, deduce il travis
delle risultanze processuali effettuato sia pure con doppia conforme, fondata però sulla diversi di ragionamento posto a base delle due sentenze, atteso che non si è riconosciuto che non tutti i canoni sono stati pagati e che la persona offesa ancora occupava l’immobile senza versare alcunché oltre la scadenza del contratto. Con gli altri due motivi di impugnazione si contesta mancata configurazione del reato di cui all’art. 393 cod. pen., pur avendo la sentenza di secondo grado riconosciuto la legittimazione della Cannale a chiedere i canoni di affitto, e pur permanend l’astratta azionabilità del diritto al pagamento dei canoni non versati e, con essa, anche convinzione, da parte della ricorrente, della legittimità della propria pretesa.
2.5. GLYPH Con l’ultimo motivo di ricorso, infine, ha dedotto la violazione di legge per ave la sentenza “liquidato le statuizioni civili” che dovevano invece ritenersi implicitamente rinun per l’assenza della parte civile che non aveva presentato conclusioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, in quanto l’affermazione della penale responsabilità della ricorre in ordine al delitto contestatole si fonda, in massima parte, sulla testimonianza della pers offesa, costituitasi parte civile, senza un’adeguata valutazione né della coerenza interna d racconto di questa, né dell’assenza di riscontri, mentre l’attendibilità delle dichiarazioni teste a discarico è stata esclusa proprio in considerazione dell’assenza di riscontri.
Va premesso che dalle sentenze di merito emerge dal luglio del 2016 la persona offesa NOME COGNOME ed il marito conducevano in locazione un appartamento di proprietà di NOME COGNOME fratello dell’imputata ricorrente, delegata dal primo alla riscossione sia dei canon locazione che delle rate condominiali.
La sentenza di primo grado affermava che “non è controverso che i conduttori fossero morosi nel pagamento del canone di locazione”, mentre la Corte territoriale ha valorizzato le sommarie informazioni testimoniali con le quali NOME COGNOME riconosceva di aver pattuito con i coniug morosi che non avrebbero pagato i canoni fino a che il proprietario non avesse provveduto ad alcune riparazioni, alle quali egli non aveva provveduto perché non poteva accedere al piano sovrastante, circostanza dalla quale è stato desunta l’insussistenza di una morosità della part conduttrice all’epoca dei fatti, nell’ottobre del 2016.
Entrambe le sentenze di merito, però, non dubitano “del clima di pesante tensione esistente tra le due famiglie”, originato dalle predette problematiche relative al pagamento dei canoni.
Ne scaturiva la proposizione, in data 30/1/2017 di una denuncia-querela da parte della persona offesa nei confronti della COGNOME, con la quale la prima riferiva di aver avuto un fo diverbio nella mattina di tre mesi prima, il 30/10/2016, “scaturito dal fatto che quest’ul pretende che paghi a lei l’affitto di casa anziché al fratello, proprietario dell’appartamento il quale ho stipulato il relativo contratto”. Dalla sentenza impugnata emerge anche che, n
rendere s.i.t. tre giorni dopo, in data 1/2/2017, la COGNOME ribadiva che circa tre mesi pri Cannale si era presentata presso la sua abitazione per riscuotere il canone di affitto, ed anco una volta riferiva di non aver assecondato la richiesta “poiché non era la proprieta dell’immobile” – e non già, pertanto, secondo tale ricostruzione perché non fosse debitrice d canoni di locazione – tanto che al rifiuto del pagamento sarebbe conseguita la minaccia d incendiare l’appartamento (“ti accendo dentro casa con la tua famiglia”).
3. Le dichiarazioni della persona offesa, peraltro costituitasi parte civile, sono riconosciute pienamente attendibili da entrambi i giudici di merito, nonostante “il clim pesante tensione esistente tra le due famiglie”, perché ritenute lineari, logicamente coerent scevre da enfatizzazioni che potessero rivelare sentimenti di acredine. Per contro, si è ritenu che la narrazione della persona offesa non fosse “smentita da apprezzabili emergenze di segno contrario”, tali non ritenendosi le dichiarazioni del teste NOME COGNOME fidanzato ricorrente, perché prive di riscontri.
Il collegio evidenzia, però, che i criteri adottati dai giudici di merito non appaiono con al dettato di cui all’art. 192 cod. proc. pen. ed all’insegnamento di questa Suprema Corte, anch a sezioni unite, in ordine ai criteri di valutazione delle dichiarazioni della persona offesa.
E’ ormai principio consolidato, infatti, quello secondo cui le regole dettate dall’art comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le qua possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibi soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni qualsiasi testimone (così Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, che, in motivazione, ha altres precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può es opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi).
Nel caso di specie, la verifica della credibilità soggettiva della persona offe dell’attendibilità intrinseca del suo racconto è stata effettuata senza in alcun modo valorizz né il riconosciuto clima di forte tensione tra le due famiglie, né la singolarità dell’attribuzi COGNOME di una minaccia di dare fuoco ad un appartamento di proprietà non già della persona offesa, bensì della stessa famiglia della minacciante.
Nella sentenza impugnata, inoltre, non si rinviene alcun cenno al fatto – riferito invece d sentenza di primo grado – che in data imprecisata nello stabile di cui si tratta era effettivam divampato un incendio con fiamme che avevano raggiunto il secondo piano, tanto che i componenti di altra famiglia erano stati tratti in salvo da unità operative della Questura di che ne avevano dato conto in un’informativa di reato menzionata dalla sentenza di primo grado.
Il silenzio della sentenza impugnata in ordine a questo evento – che, par di comprendere, non sarebbe stato menzionato nemmeno nella denuncia della persona offesa – non appare, di per sé, rispettoso di quell’esigenza di verifica di attendibilità più penetrante e rigorosa ris
quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, richiesta dalle Sezioni Un di questa Corte nella valutazione della testimonianza della persona offesa. Se è vero, infatti, questa è sottratta alle regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen., e non rich necessariamente la presenza di riscontri che ne confermano l’attendibilità, deve rilevarsi anch che questi sono ritenuti comunque “opportuni” quando, come nel caso di specie, la persona offesa sia costituita parte civile.
Soprattutto, nel difetto di riscontri che confermino l’attendibilità delle dichiarazion COGNOME, appaiono del tutto illogiche e confliggenti con i principi di cui all’art. 192 cod. pro le ragioni per le quali la Corte territoriale ha ritenuto di svalutare l’elemento di segno co emergente, invece, dalle dichiarazioni del teste COGNOME che ha riferito di comportament offensivi ed intimidatori da parte dei componenti della famiglia COGNOME, e perfino di atti di vi fisica ai danni della COGNOME, trattandosi di dichiarazioni dalle quali la sentenza impugnata ritenuto di dover prescindere perché prive di riscontri documentali, in alcun modo indicati dall’ 192 cod. proc. pen. come necessari per la valutazione dell’attendibilità di un teste a discaric
4. Nel percorso argomentativo della sentenza impugnata non mancano illogicità e contraddizioni anche con riferimento alla qualificazione giuridica della condotta attribuita ricorrente, atteso che la Corte territoriale, dopo aver ricostruito il fatto con le illogic ricordate, nel qualificare lo stesso come tentata estorsione e non già come esercizio arbitrar delle proprie ragioni, ha valorizzato in primo luogo la circostanza che il rapporto di locaz intercorreva solo tra la COGNOME e NOME COGNOME senza considerare, però, che quest’ultimo ha riferito di aver delegato la sorella alla riscossione dei canoni e degli oneri condominia giurisprudenza di questa Corte ha tradizionalmente affermato che, per configurare il reato d esercizio arbitrario delle proprie ragioni in luogo di quello di estorsione, nel caso in cui la co tipica sia posta in essere da un terzo a tutela di un diritto altrui, occorre che il terz commesso il fatto al solo fine di esercitare il preteso diritto per conto del suo effettivo t dal quale abbia ricevuto incarico di attivarsi, e non perché spinto anche da un fine di pro proprio, ravvisabile ad esempio nella promessa o nel conseguimento di un compenso per sé, anche se di natura non patrimoniale (Sez. 2, n. 11282 del 2/10/1985, Conforti, Rv. 171209).
La sentenza impugnata, nel qualificare i fatti ai sensi degli artt. 56 e 629 cod. p valorizzando la circostanza che la ricorrente non era titolare del rapporto di locazione, inve non risulta aver considerato che i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni hanno n di reato proprio non esclusivo (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 01) che dalla stessa motivazione della sentenza non emerge che la COGNOME abbia perseguito anche un interesse proprio, oltre quello del fratello, mentre solo qualora il terzo agente – sep inizialmente inserito in un rapporto inquadrabile ex art. 110 cod. pen. nella previsione dell 393 stesso codice – inizi ad agire in piena autonomia per il perseguimento dei propri interess deve ritenersi che tale condotta integri gli estremi del concorso nel reato di estorsione ex 110 e 629 cod. pen. (Sez. 2, n. 8836 del 05/02/1991, COGNOME, Rv. 188123; Sez. 2, n. 4681 del
21/03/1997, COGNOME, Rv. 207595; Sez. 5, n. 29015 del 12/07/2002, COGNOME, Rv. 222292; Sez. 5, n. 22003 del 07/03/2013, COGNOME, Rv. 255651).
Inoltre, la sentenza impugnata, nel negare la riqualificazione del fatto come eserciz arbitrario delle proprie ragioni, ha valorizzato le dichiarazioni del titolare del rapp
locazione, NOME COGNOME con riferimento alle pattuizioni con la persona offesa in ordine pagamento dei canoni solo successivamente all’esecuzione di riparazioni poi mai effettuate dal
proprietario, senza confrontarsi con la circostanza, anch’essa riferita dallo stesso proprieta secondo cui la sorella era delegata anche alla riscossione delle quote condominiali, né con l
dichiarazioni della stessa COGNOME in sede di denuncia, laddove riferiva di non aver assecondato l richieste della ricorrente non già per l’insussistenza del debito, bensì perché questa “non era
proprietaria dell’immobile”.
Soprattutto, nel valutare la fondatezza o meno della pretesa della Cannale nei confronti della persona offesa, la Corte territoriale non risulta aver in alcun modo valutato l’event
convinzione, da parte della ricorrente, della legittimità della propria pretesa, mentre il re esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quell
estorsione si differenziano tra loro proprio in relazione all’elemento psicologico, da accert secondo le ordinarie regole probatorie. (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 02).
Alla luce di quanto esposto si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari per un nuovo giudizio che ricostruisc fatti contestati alla luce dei principi dinanzi ricordati in tema di valutazione dell’attendibi dichiarazioni della persona offesa e dei testimoni terzi, così sanando le incongruenze dinanz esposte, e si uniformi ai principi esposti anche in ordine alla qualificazione giuridica di even condotte illecite.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bari.
Così deciso in Roma il 18 marzo 2025
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