Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35832 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35832 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Rogliano il DATA_NASCITA; avverso la sentenza del 24 gennaio 2025 della Corte d’appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso; letta la memoria depositata il 3 ottobre 2025, nell’interesse della parte civile costituita, dall’AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Oggetto dell’impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d’appello di Catanzaro, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto NOME COGNOME responsabile del reato di minaccia grave continuata, commessa ai danni di NOME COGNOME.
Il ricorso, proposto nell’interesse dell’imputato, si compone di quattro motivi d’impugnazione.
2.1. Il primo e il terzo, entrambi formulati sotto i profili della violazione legge e del connesso vizio di motivazione, attengono alla sussistenza del reato contestato e alla valutazione di attendibilità del narrato della persona offesa e deducono che la Corte territoriale avrebbe ritenuto la responsabilità del ricorrente senza dar conto: a) delle concrete condotte poste in essere dall’imputato; b) dell’idoneità intimidatoria della minaccia asseritamente profferita; c) del dedotto forte risentimento personale nutrito dalla COGNOME nei confronti dell’imputato: d) della fisica distanza che separava l’imputato dalla persona offesa al momento dell’invio dei messaggi; e) della permanenza della COGNOME all’interno della casa coniugale anche dopo i fatti in contestazione e della sua incapacità di collocare nel tempo e nello spazio gli episodi subiti; f) degli effettivi destinatari delle minacce
2.2. Il secondo, formulato sotto i medesimi profili, attiene al giudizio di attendibilità della persona offesa e deduce che la Corte territoriale avrebbe radicalmente travisato le dichiarazioni rese da NOME COGNOME e dal fratello NOME, omettendo di considerare l’esplicita ritrattazione evidenziata nella querela (essa stessa prova della falsità delle dichiarazioni originariamente rese), la vaghezza spazio-temporale del narrato e il profondo risentimento nutrito dalla persona offesa nei confronti dell’imputato.
2.3. Il quarto motivo attiene alle statuizioni risarcitorie e deduce l’omessa allegazione del danno subito dalla parte civile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi tre motivi sono indeducibili.
Va premesso che rientrano nella nozione di «violazione di legge», oltre agli errores in iudicando o in procedendo, anche quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, tali da rendere l’impianto argomentativo offerto inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice, ossia, in altri termin la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente (Sez. U., n. 5876 del 28 gennaio 2004, COGNOME, Rv. 226712).
A prescindere dall’ipotesi di “mancanza assoluta di motivazion (riconducibile ai casi di mancanza grafica o di sentenza illeggibile), l’ipo frequente è quella della motivazione apparente, nella quale «manca del tutt trama argomentativa, sia in ordine agli elementi di fatto, sia in ordine al concatenazione logica», sicché «c’è un’asserzione, ma manca l’argomentazione». Ed è questo il caso della mera pedissequa riproduzione della formulazione de
norma di riferimento (senza alcuna personalizzazione dello stampato da parte del giudice), della mera esposizione di materiale probatorio acquisito (apoditticamente definito come “autoevidente”, senza alcuna argomentazione valutativa di esso) o, come nell’ipotesi prospettata dalla difesa, della motivazione del giudice di appello che, a fronte di una specifica contestazione contenuta nei motivi, si limiti ad affermare che le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado sono condivisibili, senza nemmeno indicare i passaggi motivazionali della medesima sentenza che possano confutare le censure proposte, omettendo il vaglio critico delle risultanze e l’illustrazione della ritenuta riconducibilità del così ricostruito alla fattispecie criminosa contestata; tutti casi in cu ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata è soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente, in quanto non permette, a fronte delle censure prospettate, di comprendere l’iter logico seguito che ha condotto il giudice (dell’impugnazione) a superare le censure prospettate.
Ma tanto, in concreto, non è. La Corte territoriale ha chiaramente evidenziato: le condotte poste in essere dall’imputato (le plurime minacce profferite), i destinatari delle stesse (la stessa persona offesa e i suoi familiari, rei, a giudiz dell’imputato, di avere indicato alla moglie la sua relazione extraconiugale), la loro serietà (evocative della morte) e il conseguente timore – per sé e per i figli percepito dalla persona offesa. Ha, poi, dato conto della coerenza e logicità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, della correttezza delle espressioni utilizzate (mai esorbitanti rispetto alla narrazione), dell’assenza di un pur evocato intento calunniatorio (non avendo taciuto la COGNOME i conflitti con l’imputato, la ragione dei medesimi e la sua decisione di separarsi), delle coerenti dichiarazioni del fratello, della ragionevole imprecisione del ricordo del giorno della minaccia perpetrata dall’imputato in auto (essendo passati cica 5 anni dal fatto) e dell’irrilevanza della rettifica dell’originaria querela predisposta (accadimento che, invece, conferma la genuinità del narrato).
Sicché, la deduzione difensiva, GLYPH lungi dal sostanziare una carenza motivazionale, si risolve in un’inammissibile censura della valutazione del compendio probatorio prospettata dal giudice di merito, estranea al perimetro cognitivo e valutativo di questa Corte, chiamata non già a condividere la giustificazione offerta all’ipotizzata ricostruzione dei fatti, ma alla sola verific logicità e coerenza delle argomentazioni offerte (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Moro, Rv. 215745; Sez. 5, n. 11049 del 13/11/2017, Ghelli).
Il quarto è, invece, infondato. Per costante giurisprudenza di questa Corte, essendo l’azione civile intimamente connessa con la fattispecie concreta
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P-
descritta nell’imputazione, l’indicazione delle ragioni che giustificano la domanda risarcitoria (richiesta a pena di inammissibilità dell’art. 78 cod. proc. pen.) funzionale esclusivamente all’individuazione della pretesa fatta valere in giudizio. Sicchè, allorquando il nesso tra il reato contestato e la pretesa risarcitoria azionata risulti con immediatezza (come nei reati di danno, come quello contestato all’imputato), ai fini della corretta indicazione della causa petendi, funzionale all’individuazione della pretesa fatta valere in giudizio, è sufficiente il me richiamo al capo di imputazione descrittivo del fatto (Sez. 5, n. 22034 del 07/03/2013, Boscolo, Rv. 256500) e non deve essere giustificata con enunciazioni ulteriori rispetto a quella del legame eziologico che la collega al fatto-reato contestato (Sez. 2, n. 13815 del 27/10/1999, Attinà, Rv. 214669).
Parallelamente, il “petitum” è di per sè insito nella costituzione stessa (che nel caso concreto è conforme all’astratta previsione delle restituzioni e del risarcimento del danno) e la quantificazione del danno può avvenire, anche successivamente, in sede civile (Sez. 2, n. 43405 del 23/10/2003, NOME, Rv. 227654).
Ebbene, in concreto, la persona offesa si è costituita parte civile indicando compiutamente tanto la causa petendi (attraverso l’esplicito richiamo al capo d’imputazione), quanto il relativo petitum (rappresentato, banalmente, dalla richiesta risarcitoria).
E tanto, alla luce di quanto considerato, è sufficiente a dar conto delle ragioni dell’azione proposta e delle relative richieste e della conseguente infondatezza dell’assunto difensivo.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
Nulla può essere liquidato a titolo di spese in favore della parte civile in ragione della tardività della relativa memoria, depositata solo il 3 ottobre 2025, oltre il termine di quindici giorni previsto dall’art. 611 cod. proc. pen. (Sez. 4, 10022 del 06/02/2025, Altese, Rv. 287766).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle s processuali. Nulla per le spese di parte civile
Così deciso il 3 ottobre 2025
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