Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29433 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29433 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/05/2025
TERZA SEZIONE PENALE
ALDO ACETO
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente sui ricorsi proposti da:
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME
che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi.
hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
Con sentenza di cui in epigrafe, la Corte di appello di Bologna confermava la s e n t e n z a del Tri b u n a l e di Modena del 11.7.2022, con la quale XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX erano stati condannati in relazione ai reati di cui agli artt. 81 cpv.c. p. 609 bis comma 2 n. 1cod. pen. e 609 ter ultimo commacod. pen.
2.Avverso la predetta sentenza XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX, mediante il rispettivo difensore, hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo il primo quattro motivi di impugnazione e il secondo due.
3.Con il primo motivo XXXXXXXXXXXXXX rappresenta vizi di motivazione, sottolineando la sussistenza di errori percettivi su elementi di prova decisivi quali: 1) il racconto di una teste, affidataria del minore, che segnalò i presunti abusi, nella parte in cui riferisce di avere avuto dalle maestre del minore notizie di comportamenti sconci del medesimo, che sarebbe smentito dalle maestre medesime. E la rilevanza del tema sarebbe stata evidenziata dal perito in punto di attendibilità del minore. La Corte di appello avrebbe minimizzato la rilevanza della discrasia – incidente sul tema del momento della insorgenza di condotte a sfondo sessuale del minore -, fornendo spiegazioni illogiche e inverosimili. Piuttosto, la teste deve ritenersi avere raccontato circostanze diverse da quanto riferitole, per ragioni rimaste ignote. Un’altra divergenza tra racconti della affidataria e le maestre connoterebbe il racconto della prima, quanto alle ragioni per cui, per un certo periodo, il minore rimase a casa; 2) la illustrazione, da parte della Corte di appello, di comportamenti “sconci” avvenuti innanzitutto a casa, come confermata da documentazione di una
– Relatore –
Sent. n. sez. 861/2025 UP – 22/05/2025
dottoressa dei servizi sociali, la quale sarebbe sconfessata dal contenuto di tali atti. Si rappresenta, inoltre, che in base agli elementi disponibili emergerebbe che i comportamenti sessualizzati del minore sarebbero insorti dopo la rivelazione degli abusi. In tale quadro complessivo, i giudici non avrebbero spiegato le ragioni che avrebbero spinto la madre affidataria a rivolgere al minore domande di contenuto sessuale, che avrebbero poi condizionato il minore.
3.1. Una seconda critica riguarda la valutazione, in sentenza, delle modalità con cui Ł avvenuta la prima rivelazione dell’abuso, connotate dalla assenza di registrazione ad opera della testimone che raccolse il primo racconto del minore, e da domande suggestive. Si rappresenta che, poi, la descrizione dei fatti operata dal minore sarebbe stata successivamente riassunta dalla madre affidataria dinnanzi ad altre due persone sopravvenute e tale sintesi, che dovrebbe ragionevolmente ritenersi si sia tradotta nella mediazione del racconto del minore, operata dall’adulto, potrebbe avere influenzato il racconto ulteriormente reso dal bambino. Si osserva, inoltre, che i due predetti testi non sarebbero stati sentiti in fase di indagine e che l’affidataria sarebbe stata a conoscenza dei precedenti penali del padre imputato e sarebbe stata stressata dal comportamento del bambino, che gestiva con difficoltà. Si contesta, al riguardo, il rilievo della Corte per cui l’affidataria avrebbe cercato di comportarsi come soggetto dotato di peculiare competenza nei confronti di un minore, quale garanzia di maggiore autenticità delle sue dichiarazioni. In proposito, invece, la difesa osserva che la Corte avrebbe effettuato sul punto una sua valutazione soggettiva, senza svolgerla in un quadro complessivo, che tenga conto delle caratteristiche della madre affidataria e del minore, che tenderebbe ad assecondare i suoi interlocutori. Per cui sarebbe possibile che, rispetto alla affidataria, che gli si poneva con il distacco del terzo competente piuttosto che con l’empatia della madre nel rivolgergli le domande, il bambino abbia assecondato l’interlocutore fornendogli risposte compiacenti. Dunque, vi sarebbe il dubbio sulla rivelazione, da parte del minore, di fatti autentici.
La terza critica descrive un errore percettivo dei giudici sul contenuto della perizia, quale prova decisiva travisata. Si critica la tesi dei giudici per cui la difesa non avrebbe interpretato correttamente le conclusioni del perito in tema di attendibilità del minore. Si osserva, richiamando come allegati atti del perito, che, diversamente da quanto sostenuto dalla Corte di appello, mai il perito avrebbe sostenuto l’attendibilità del minore circa la narrazione degli abusi subiti e, piuttosto, avrebbe posto il tema della contaminazione eteroadulta del racconto del minore in sede di esame protetto, senza risolverlo. Si contesta, al riguardo, la valorizzazione, volta ad escludere che la contaminazione abbia riguardato l’intero racconto, di una frase del perito, per cui tale evenienza avrebbe richiesto una “malignità” dell’adulto, trattandosi di frase da valutare, secondo il ricorrente, nel complesso dei dati dichiarativi del perito disponibili, che deporrebbero, comunque, nel senso di manipolazioni esterne subite dal minore. E vi sarebbero diversi elementi che conforterebbero tale tesi, come il dato temporale, che il minore avrebbe mutuato dopo i ripetuti suoi racconti con persone diverse, il sentimento di rabbia, che sarebbe insorto dopo avere compreso la tipologia dei comportamenti del padre attraverso la madre affidataria, e il linguaggio “adultomorfo”.
La quarta critica attiene alla valutazione della tesi della consulente di parte circa la ipotesi di un falso ricordo quale evenienza alternativa all’abuso. A partire dai rilievo, erroneo, dei giudici, per cui il perito avrebbe ritenuto attendibile il minore. La tesi della consulente quindi, sarebbe non in contrasto con il perito, che avrebbe ammesso il rimaneggiamento della narrazione del minore, etero-indotto.
Con la quinta critica si affronta il tema dei riscontri estrinseci.
Si contesta che tale sia un referto di pronto soccorso descrittivo di gonfiore e arrossamento del pene del bambino, trattandosi piuttosto di una infezione molto comune nei bambini. NØ vi sarebbero certificazioni mediche inerenti l’ano del bambino.
L’ultima critica attiene alla motivazione riguardante il contenuto dell’esame protetto del minore. Si contesta il giudizio di attendibilità del racconto reso in quella sede dal minore, che sarebbe invece frutto di una valutazione in chiave accusatoria, con travisamento dei contenuti delle tesi di cui alla perizia e alla consulenza di parte. Non si sarebbe tenuto conto della personalità della madre affidataria, e della persona offesa, delle numerose ripetizioni del racconto a terzi, della assenza di videoregistrazioni o registrazioni in proposito, come anche delle conclusioni degli esperti.
4.Con il secondo motivo deduce il vizio di violazione di legge per la mancata applicazione della circostanza di cui all’ultimo comma dell’art. 609 bis c.p., che invece avrebbe dovuto essere applicata, per la presenza di un danno lieve nel minore, e di condotte effettuate senza violenza, così da risultare di minore gravità.
5.Con il terzo motivo deduce l’erroneo mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra i fatti sub iudice e quelli giudicati con altra sentenza passata in giudicato e indicata in ricorso, emergendo violazioni omogenee, rispondenti ad un comune disegno criminoso.
6.Con il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 62 bis c.p. e l’eccessività della pena. A fronte del corretto comportamento processuale e della provenienza dell’imputato da un ambiente sociale modesto.
7.XXXXXXXXXXX con il primo motivo rappresenta il vizio di contraddittorietà della prova sulla base di ragioni analoghe a quelle prospettate dal precedente imputato, quanto alle origini del disvelamento dei fatti, alla assenza di descrizioni di abusi da parte del minore prima del racconto offerto dalla sua madre affidataria, al giudizio di attendibilità del minore che sarebbe stato espresso secondo la Corte dal perito ma in realtà mai avvenuto, alla riferita, dal perito, suggestionabilità del minore, alla non significatività, quale riscontro, di un certificato di pronto soccorso.
8.Con il secondo motivo deduce il vizio di violazione di legge per la mancata applicazione delle circostanze di cui all’ultimo comma dell’art. 609 bis c.p., e delle attenuanti generiche, a fronte di riferimenti alla condotta del XXXXXX assai modesti, e di una mera riproduzione, a fini motivazionali negativi, dello stato di inferiorità del minore che già costituisce elemento costitutivo del reato. Si contesta l’esclusione delle generiche per assenza di resipiscenza, avendo il ricorrente esercitato le sue facoltà difensive.
CONSIDERATO IN DIRITTO
E’ opportuno preliminarmente osservare, per meglio analizzare entrambi i ricorsi, che ricorre un’ipotesi cd. di ‘doppia conforme’, in presenza della quale «le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata» (cfr. Sez.3, n.13926 del 01/12/2011 Rv.252615; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).
Deve altresì aggiungersi che «in tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi
sentenze di primo e di secondo grado, se l’appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per relationem; quando invece sono formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute, Ł affetta da vizio di motivazione la decisione di appello che si limita a respingere con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici dalle risultanze istruttorie le deduzioni proposte (cfr. Sez.6, n. 28411 del 13/11/2012 Rv. 256435 COGNOME e altri).
Di rilievo, in tema di valutazione delle censure proposte in presenza di una cd. ‘doppia conforme’, Ł anche il principio per cui «in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma Ł solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione» (cfr. Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013 Rv. 254988; Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017 Rv. 271227).
Tanto premesso e con riguardo al primo motivo proposto da XXXXXXXXXXXXXX, esso Ł inammissibile. Circa la sussistenza di errori percettivi su elementi di prova decisivi, quale il racconto della madre affidataria del minore, che segnalò i presunti abusi, nella parte in cui riferisce di avere avuto dalle maestre del minore notizie di comportamenti sconci del medesimo e che viene smentito dalle maestre medesime, si tratta di questione esaminata da entrambi i giudici e da entrambi ragionevolmente risolta: laddove il primovalorizza il rilievo del perito per cui, in ragione delle competenze tecniche in materia, a disposizione della madre affidataria, potrebbe ” esserci stata una associazione …errata…tra una condotta “difficile” del bambino (che emerge pacificamente dagli atti e che viene riferita anche dalle maestre) ed un ” aggregato di tipo sessuale” ; i secondi, altrettanto ragionevolmente ne spiegano l’eccessiva enfatizzazione difensiva sia alla luce di varie ragioni giustificative della discrasia, riportate in sentenza, e non certamente ” manifestamente illogiche “, tra cui anche un atteggiamento di autotutela delle insegnati per timore di essere accusate di avere trascurato le predette condotte sessualizzate, sia in ragione del fatto che, comunque, si tratta di condotte tenute anche nel contesto domestico ( di seguito esaminate), come innanzitutto sostenuto dalla madre affidataria, sul punto non specificamente contrastata, posto che non va trascurato che trattasi di un teste non necessariamente richiedente riscontri ai suoi racconti.
Al riguardo, va aggiunto che tale tema sulla discrasia del suddetto racconto della madre affidataria, non si accompagna comunque con una specifica illustrazione in ricorso della decisività del suo rilievo, laddove la difesa si limita a evocare in proposito genericamente il perito ( che Ł opportuno ricordarlo, non Ł soggetto cui può demandarsi il giudizio di attendibilità di testi, tantomeno della vittima di reati sessuali, secondo consolidata giurisprudenza) oppure non meglio specificate ragioni che avrebbero indotto la affidataria ad attivarsi, in assoluta autonomia da qualsivoglia circostanza esterna riguardante l’insorgenza del racconto del minore.
Tanto piø che, lo si anticipa, il tema, in qualche modo correlato, delle domande suggestive che sarebbero state rivolte dalla donna al minore e della creazione di un falso ricordo nel minore medesimo, pure appare ampiamente e ragionevolmente confutato dalle due conformi sentenze.
In tale quadro, appare marginale e non decisiva nØ illustrata in tal senso, anche la rappresentata ulteriore divergenza tra racconti della affidataria e delle maestre quanto al ricordo, della prima, circa le ragioni per cui, per un certo periodo, il minore rimase a casa.
Quanto poi alla critica rivolta al rilievo della Corte di appello, circa la sussistenza di comportamenti “sconci” tenuti dal minore innanzitutto a casa, che sarebbe confermata da documentazione di una dottoressa e dei servizi sociali ma che, secondo la difesa, sarebbe in realtà sconfessata dal contenuto di questi stessi atti e dichiarazioni, si deve operare una premessa in tema di travisamento della prova: in sede di ricorso per cassazione, ai fini della configurabilità del vizio di travisamento della prova dichiarativa Ł necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, Rv. 272406 – 01).
Ebbene, in ordine al dedotto travisamento sopra sintetizzato, Ł sufficiente osservare come la difesa, nel richiamare i contenuti che sconfesserebbero le conclusioni dei giudici, svolge a sua volta una personale lettura e valutazione dei dati citati e dei relativi contenuti dichiarativi, senza offrire alcun passaggio che, in linea con i parametri connotanti il vizio di travisamento in questione, possa indicare e dimostrare in maniera inequivoca ed obiettiva la assoluta infondatezza fattuale delle conclusioni, qui criticate, dei giudici.
L’ulteriore rappresentazione difensiva per cui, in base agli elementi disponibili, emergerebbe che i comportamenti sessualizzati del minore sarebbero insorti dopo la rivelazione degli abusi, per cui in tale quadro complessivo i giudici non avrebbero spiegato le ragioni che avrebbero spinto la madre affidataria a rivolgere al minore domande di contenuto sessuale che avrebbero poi condizionato il minore, si tratta di censura che evidentemente cade a fronte della sin qui rilevata corretta e non manifestamente viziata valorizzazione della esistenza, comunque, di condotte sessualizzate del minore che, in ogni caso, vi furono (alla luce delle spiegazioni, valide, dei giudici di merito) e indussero la donna prima citata a rivolgere le prime domande al bambino. E, lo si ribadisce, in assenza, in ogni caso, della dimostrata esistenza di ragioni che avrebbero indotto la predetta donna ad assumere iniziative disconnesse da ogni evenienza esterna e volte a strumentalizzare il bambino.
Quanto alla seconda critica riguardante la valutazione, in sentenza, delle modalità con cui si Łsviluppata ed Ł stata raccolta la prima rivelazione dell’abuso, in particolarecon assenza di registrazione ad opera della testimone che raccolse il primo racconto del bambinoe con domande suggestive, occorre distinguere questi due temi.
Quanto al primo, sulla mancanza di registrazione, Ł sufficiente rilevare che nessun obbligo si impone in tal senso a carico di qualsiasi persona che – operando al di fuori di specifici e tipizzati momenti giurisdizionali – si trovi a raccogliere racconti del tipo di quelli qui in esame. Tanto piø, e lo si ripete e lo si anticipa anche qui,che il tema delle domande suggestive rivolte dalla donna al minore e della creazione di un falso ricordo nel minore, pure appare ampiamente e ragionevolmente confutato dalle due conformi sentenze. Così che nessuna valida base trova alcuna illazione circa la strumentalizzazione del minore da parte della donna o di altri adulti.
E tornando poi alla questione delle domande suggestive, deve ancora una volta distinguersi tra domande rivolte in sede giudiziaria e domande rivolte al di fuori di tale sede. Solo per le prime una tale loro connotazione potrebbe incidere sui contenuti e sulla eventuale valutabilità di un tale esame testimoniale. Per le altre, la connotazione di suggestività delle domande può solo incidere sulla motivazione del giudice circa la valutazione delle risposte e di chi le renda.
Ebbene, quanto alle prime, ossia le domanda rese in sede giurisdizionale, va allora ricordato, in particolare, che per sostenere l’assenza di genuinità della prova dichiarativa non Ł sufficiente affermare e comprovare che una o piø domande dell’esame testimoniale abbiano suggerito la risposta, ma occorre estendere l’analisi all’affidabilità della prova nel suo complesso, pervenendo alla conclusione che l’uso di una metodologia non corretta abbia inciso sul risultato della testimonianza in maniera da rendere il materiale raccolto globalmente inidoneo ad essere valutato. Inoltre, in mancanza di una precisa sanzione processuale, la domanda suggestiva compromette la genuinità della dichiarazione a condizione che destrutturi l’esame nel suo complesso e non solo, come potrebbe essere, la risposta che Ł stata fornita alla domanda suggestiva, potendo il giudizio di piena attendibilità essere confermato, in ipotesi, sulla base delle altre risposte (cfr. in motivazione Sez. 3 n. 4672 del 22/10/2014 dep.2015, Rv. 262468 – 01) e, non da ultimo, a fronte di altri elementi di prova.
Nel caso di specie, la suggestività riguarderebbe domande rivolte dalla donna al minore in sede extragiudiziale e quindi il principio immediatamente sopra esposto, come anticipato, non rileva.
Rispetto allora alle predette domande, va esaminato il giudizio che sul tema viene formulato dal giudice, che appare assolutamente ragionevole e non “manifestamente” illogico come invece richiesto ex art. 606 cod. proc. pen.ai fini della rilevanza, in questa sede, di un vizio di motivazione. Già il primo giudice ha analiticamente esaminato la questione (cfr. pag. 8 e pagina 11) evidenziando la presenza di domande a suo tempo rivolte al bambino dalla donna in maniera solo incalzante, e specificando altresì come, con particolare riguardo ad una domanda ripetuta anche in presenza di due adulti che sopraggiunsero dopo il primo racconto del minore, essa trovava fondamento nella valida spiegazione fornita in proposito dalla donna, per cui ella voleva che il minore ” raccontasse anche agli altri due uditori ma lo aveva già rivelato a me spontaneamente “. L’analisi del giudice di primo grado si arricchisce anche dei congrui rilievi del perito, alla luce dei quali il tribunale conclude ragionevolmente nel senso che la madre affidataria con le sue domande provvide solo a orientare il minore verso l’argomento relativo agli abusi sessuali subiti (per il quale il perito aveva poi precisato che “dopodichŁ lui attinge al sentito dire, alla sua esperienza “). Dirimente e incontrastato Ł poi il rilievo ulteriore del giudice per cui, in sede di incidente probatorio, in assenza di domande suggestive, il minore ribadì sostanzialmente quanto raccontato alla madre affidataria. In linea con tale impostazione appare la seconda sentenza. Essa Ł coerente innanzitutto con quanto sopra riportato, nella parte in cui la Corte ha premura di analizzare lo svolgimento del dialogo tra il minore e la affidataria, come riferito dalla stessa, ed evidenzia, a conforto della assenza di suggestioni, come nel suo procedere la donna abbia anche operato uno sviamento dal tema dell’abuso ormai emerso, chiedendo al minore, d’improvviso,se il padre lo picchiasse, ed ottenendo una risposta negativa cui si aggiungeva la affermazione per cui “” gli faceva male dentro” . Da qui la corretta sottolineatura finale della Corte, per cui la donna si limitò a introdurre l’argomento dei comportamenti sessualmente orientati del bambino, senza orientare il dialogo verso il padre
naturale del medesimo, e senza suggerire allo stesso di essere stato vittima di abusi sessuali, laddove il diverso tema della violenza fisica, ad un certo punto introdotto dalla affidataria del minore, non veniva raccolto da quest’ultimo, che proseguiva riferendo, come prima riportato, della condotta del padre che aveva causato un male diverso da quello che deriva dalle percosse. Un ” male dentro “.
Puramente assertiva, ipotetica, e operante sul piano della mera illazione, in assenza di validi dati di riferimento, Ł l’ulteriore notazione critica per cui la descrizione dei fatti operata dal minore sarebbe stata successivamente riassunta dalla madre affidataria dinnanzi ad altre due persone sopravvenute e tale sintesi dovrebbe ritenersi sia stata la mediazione del racconto operata dall’adulto, così che “potrebbe” avere influenzato il racconto ulteriormente reso dal bambino.
Eguali considerazioni si devono formulare circa l’osservazione difensiva, non accompagnata dalla rappresentazione di oggettive ricadute in puntodi motivazione, per cui i due predetti testi non sarebbero stati sentiti in fase di indagine e la affidataria sarebbe stata a conoscenza dei precedenti penali del padre imputato, e sarebbe stata stressata dal comportamento del bambino, che gestiva con difficoltà.
Quanto alla contestazione del rilievo della Corte, per cui l’affidataria avrebbe cercato di comportarsi come soggetto dotato di peculiare competenza nei confronti di un minore, a fronte di una sua specifica formazione avuta sul tema dei minori, quale garanzia di maggiore autenticità delle sue dichiarazioni, si tratta di una mera considerazione soggettiva di parte, che pare del resto chiaramente infondata. Secondo tale critica, la Corte avrebbe effettuato sul punto una sua valutazione soggettiva senza svolgerla in un quadro complessivo, che tenga conto delle caratteristiche della madre affidataria e del minore, il quale tenderebbe ad assecondare i suoi interlocutori, per cui sarebbe possibile che rispetto alla affidataria, che gli si poneva con il distacco del terzo competente piuttosto che con l’empatia della madre, nel rivolgergli le domande, abbia assecondato l’interlocutrice fornendole risposte compiacenti.
Invero, Ł qui sufficiente osservare come il “distacco” della donna abbia integrato, effettivamente, come rilevato dai giudici di appello, la maggior garanzia rispetto alla assoluta libertà di narrazione del minore, diversamente da una manifestazione di sentimenti di un genitore ( che nella specie avrebbero potuto essere, ragionevolmente, anche di rabbia, dolore e disprezzo per gli autori di quegli abusi) che, al contrario, spesso viene valorizzata dalle difese come dato da valutare con attenzione in chiave critica, siccome prospettato, quantomeno astrattamente, come in grado di incidere sull’atteggiamento narrativo della vittima. In ogni caso, la varietà delle considerazioni sul punto, rispetto alle quali quella contestata non appare certo ictu oculi assolutamente illogica o contraddittoria, dimostra il carattere meramente valutativo della censura e quindi la relativa inammissibilità in questa sede.
Riguardo alla terza critica circa il ritenuto errore percettivo dei giudici sul contenuto della perizia, quale prova decisiva travisata, da una parte, va richiamato il principio di diritto sopra citato, circa i contenuti oggettivi e inopinabili che devono essere alla base del vizio del travisamento di dichiarazioni, dall’altra, deve osservarsi che i giudici sia di primo che di secondo grado hanno richiamato plurimi passaggi delle osservazioni del perito, che paiono idonei a supportare conclusioni, dei giudici stessi, dirette a sostenere l’attendibilità del minore. Ed infatti, a pagina 7 della prima sentenza, si cita il perito, laddove ha evidenziato sia che il bambino sarebbe stato ” sostanzialmente attendibile nella testimonianza resa” sia che la consulente di parte avrebbe formulato mere supposizioni circa l’avvenuto insorgere di un falso ricordo nel minore (pag. 8); i giudici hanno anche osservato che il perito ebbe ad
escludere la presenza di indicatori denotanti la possibilità di un falso ricordo ingenerato da un adulto, anche sul rilievo per cui, per una tale operazione, comunque, e tra l’altro, devono fornirsi ad un soggetto, dall’esterno, stimoli ” che siano per il soggetto sufficientemente aderenti all’esperienza precedente” ; così lasciando comprendere come una operazione del tipo di quella ipotizzata dalla difesa sia assolutamente complicata e richieda nell’esperienza del soggetto interessato dalla strumentalizzazione, circostanze fattuali preesistenti e collegate – per quanto qui di interesse – con temi sessuali, che, per vero, non si prospettano in alcun modo. Il primo giudice, ha anche correttamente rilevato – e il tema appare ripreso in appello, ove si osserva che alterazioni del ricordo possono avere avuto luogo solo per profili marginali del racconto -, come secondo il perito eventuali profili di falso potrebbero al piø riferirsi al dato temporale della condotta, nel senso che essa ” potrebbe coincidere con la realtà oppure essere la realtà meno estesa temporalmente ma il ricordo emotivo talmente forte…da averne esteso la portata temporale” . Anche su tale punto Ł in linea con il primo giudice la Corte di appello (cfr.da pagina 23), e perspicua e tutt’altro che criticabile, alla luce di quanto finora esposto anche riportando considerazioni e spiegazioni del perito, Ł la valorizzazione dell’ulteriore rilievo peritale per cui l’ipotesi di una costruzione esterna del ricordo del minore postulerebbe una ” malignità ” dell’adulto, che induca totalmente delle narrazioni: circostanza che i giudici congruamente rilevano come assente nel caso di specie, senza che la stessa difesa confuti tale ultimo rilievo e individui, indicandolo ed illustrandolo, attraverso il superamento di mere illazioni, un tale soggetto manipolatore.
E in proposito congrua e consequenziale appare anche la ulteriore notazione della corte, formulata anche dai primi giudici, della coerenza, costanza e precisione delle dichiarazioni, plurime, del minore, quale dato dimostrativo, anche esso, della sua attendibilità, assieme anche alla circostanza della assenza di ogni tentativo di aggravare la posizione degli imputati, laddove egli ha inizialmente escluso di volere dare colpa agli stessi (cfr. pag. 12 della prima sentenza), avendo tra l’altro escluso di avere egli compiuto atti sessuali attivi a favore degli stessi.
Sul punto, alfine, a fronte di congrue motivazioni proprie del Tribunale e della Corte, appare sufficiente e dirimente ribadire, altresì, che diversamente dal tema della capacità di testimoniare, quello della attendibilità Ł interamente devoluto al giudice e non al perito o al consulente.
In tale quadro, la tesi difensiva diretta a criticare la considerazione dei giudici per cui la difesa non avrebbe interpretato correttamente le conclusioni del perito in tema di attendibilità del minore, appare del tutto infondata.
E invero, occorre, altresì, evidenziare, come essa si sviluppi, inammissibilmente, o richiamando indistintamente, come allegati al ricorso, atti del perito, sostenendo che con essi mai il perito avrebbe sostenuto l’attendibilità del minore circa la narrazione degli abusi subiti e, piuttosto, avrebbe posto il tema della contaminazione etero-adulta del racconto del minore in sede di esame protetto, senza risolverlo; oppure, citando la valorizzazione da parte dei giudici (come sopra già richiamata) di una frase del perito, per cui tale evenienza avrebbe richiesto una “malignità” dell’adulto, e opponendo il rilievo difensivo, tutto soggettivo e generico, per cui si tratterebbe di frase da valutare nel complesso dei dati dichiarativi del perito, che deporrebbero nel senso di manipolazioni esterne subite dal minore. Con l’aggiunta per cui vi sarebbero diversi elementi che conforterebbero tale tesi come il dato temporale che il minore avrebbe mutuato dopo i ripetuti suoi racconti con persone diverse, il sentimento di rabbia, che sarebbe insorto dopo avere compreso la tipologia dei comportamenti del padre attraverso la madre affidataria, e il linguaggio “adulto-morfo”. Tutti
dati che per quanto sopra osservato non paiono affatto dimostrati o comunque rilevanti ovvero decisivi.
In altri termini, alla luce di quanto sinora rilevato si tratta di censura del tutto inammissibile non solo in ragione delle valide motivazioni dei giudici, ma anche ove se ne analizzi il suo stesso contenuto intrinseco: sia perchØ, al fine di evidenziare il vizio di travisamento non Ł sufficiente richiamare genericamente e indistintamente plurimi atti dichiarativi o comunque di contenuto dichiarativo, senza individuare lo specifico o gli specifici passaggi evidenzianti il travisamento. Sia perchØ, come sopra già sottolineato, il travisamento deve fondarsi su dati obiettivi e inequivocabili e non su una diversa personale lettura di dati disponibili. Come in sostanza alfine si prospetta da parte della difesa, e come dimostra già di per sØ il sopra citato rilievo difensivo per cui la contestata frase sulla necessità di un “maligno” adulto che crei un falso ricordo nel bambino dovrebbe essere esaminata in un quadro complessivo: considerazione, invero, che rivela come l’impostazione difensiva si fondi solo su una diversa e articolata lettura di molteplici dati, come tale soggettiva e valutativa e dunque estranea alla vicenda, assolutamente diversa, e propria invece del travisamento, della mera, quasi meccanica rilevazione obiettiva di undato trascurato o di un significato inequivocabile erroneamente colto. E’ per questo motivo che si Ł precisato che il vizio in parola Ł l’errore cosiddetto revocatorio, che cadendo sul significante e non sul significato della prova si traduce nell’utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011 Rv. 250168 – 01). In tale prospettiva il giudice di legittimità può rilevare il dedotto travisamento solo qualora la difformità emergente sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu oculi ed assuma anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non Ł sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e, quindi, anche contraddittorio; in motivazione, Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015 Rv. 262575 – 01).
Con riferimento alla quarta critica, attinente alla valutazione della tesi della consulente di parte circa la eventualità di un falso ricordo, quale ipotesi alternativa all’abuso, Ł sufficiente rimandare a quanto sul tema già osservato per concludere nel senso della sua inammissibilità.
Quanto alla quinta critica relativa al tema dei riscontri estrinseci e della contestazione che tale sia un referto di pronto soccorso descrittivo di gonfiore e arrossamento del pene del bambino, trattandosi piuttosto di una infezione molto comune nei bambini, Ł sufficiente rilevare, da una parte, che non emerge nØ Ł rappresentata la decisività (nel senso di una conseguente alterazione insuperabile dell’equilibrio motivazionale) del vizio che si assume correlato alla predetta valorizzazione del referto, a fronte, per vero, di una motivazione di per sØ già completa attraverso la congrua valorizzazione delle dichiarazioni della vittima, nel quadro della scandagliata attendibilità della medesima. Peraltro, non appare illogica “manifestamente” ( questo Ł il parametro che non deve essere perso di vista nel sollevare vizi motivazionali in questa sede, non essendo sufficiente qualsiasi vizio logico) la considerazione per cui, in un appurato quadro di abusi concentrati anche sull’organo sessuale della vittima, particolarmente delicato anche per l’età, condotte volte alla sua manipolazione anche orale ben possono provocare gli esiti valorizzati dai giudici.
Manifestamente infondata, per quanto sinora osservato, Ł anche l’ultima censura, cheattiene alla motivazione circa il contenuto dell’esame protetto del minore, con cui si contesta il giudizio di attendibilità del racconto reso in quella sede dal minore stesso, che sarebbe invece frutto di una valutazione in chiave accusatoria, con travisamento dei
contenuti delle tesi di cui alla perizia e alla consulenza di parte.
Quanto al secondo motivo relativo all’art. 609 bis ultimo comma c.p., anche esso Ł manifestamente infondato. L’attenuante Ł stata esclusa in ragione delle condotte ascritte, di ripetuta penetrazione anale anche non completa, e di strusciamento sul corpo del minore nel quadro del peculiare rapporto tra padre e figlio, con incidenza sullo stato psicologico della vittima anche per il futuro, laddove lo stesso minore ha riferito che già all’epoca dei fatti provava disgusto. Si tratta di motivazione in linea con l’indirizzo di legittimità secondo il quale in tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del fatto di minore gravità, prevista dall’art. 609-bis, comma terzo, cod. pen., deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievi i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, così da potere ritenere che la libertà sessuale sia stata compressa in maniera non grave, così come il danno arrecato alla vittima anche in termini psichici (Sez. 3, n. 19336 del 27/03/2015, Rv. 263516 – 01).
Il terzo motivo relativo alla mancata rilevazione della continuazione con i precedenti reati specifici a carico, Ł inammissibile, a fronte di una motivazione congrua e applicativa dei noti e consolidati criteri che devono presiedere all’eventuale riconoscimento del medesimo disegno criminoso tra reati, cui si oppongono solo generiche deduzioni valutative sul rapporto tra i reati.
Quanto al quarto motivo, le attenuanti generiche risultano escluse per l’assenza di ogni elemento positivo e a fronte anche dei precedenti penali specifici, come del resto si rinviene da entrambe le sentenze,e tanto Ł in linea con il principio per cui il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non Ł piø sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1,n. 39566 del 16/02/2017Rv. 270986 – 01). Peraltro, la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. e oggetto di un giudizio di fatto e puo essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimita, purche non contraddittoria e congruamente motivata, come nel caso in esame, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv 242419). Generica Ł poi la doglianza sull’eccessività della pena.
Quanto al primo motivo proposto dal XXXXXXin ordine, in sintesi, al giudizio di responsabilità, e che si articola su censure analoghe se non identiche a quelle proposte dal Bianco, Ł sufficiente rinviare a tutte le considerazioni espresse in sede di analisi del primo motivo proposto da quest’ultimo imputato, per sancire la manifesta infondatezza della critiche sollevate.
Il secondo motivo riguarda la mancata applicazione delle circostanze di cui all’ultimo comma dell’art. 609 bis c.p., e delle attenuanti generiche, a fronte di riferimenti alla condotta del XXXXXX assai modesta, e di una mera riproduzione, a fini motivazionali negativi, dello stato di inferiorità del minore che già costituisce elemento costitutivo del reato. Si contesta inoltre la esclusione delle generiche per assenza di resipiscenza avendo il ricorrente esercitato le sue facoltà difensive. Anche tale motivo Ł inammissibile. L’attenuante di cui all’ultimo comma prima citata Ł stata esclusa per le stesse ragioni poste a fondamento della esclusione della stessa attenuante nei confronti del coimputato, trattandosi di condotte
anche esse connotate da notevole invasività e produttive di rilevanti conseguenze sullo sviluppo del minore, nonchØ realizzate da uno stretto congiunto della vittima, lo zio, con violazione anche in tal caso dei doveri di custodia. Valgono quindi le stesse ragioni, di rilievo soggettivo per il minore e oggettivo, che hanno giustificato la inammissibilità della analoga censura proposta dal XXXXXX. Le attenuanti generiche poi, sono state escluse per assenza di elementi positivi come del resto si rinviene da entrambe le sentenze, e tanto Ł in linea, lo si ribadisce, con il principio per cui il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non Ł piø sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1,n. 39566 del 16/02/2017Rv. 270986 – 01). In tale contesto la assenza di resipiscenza Ł notazione che si aggiunge ad una motivazione di per sØ già adeguata.
7. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi Ł ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS. 196/03 E SS.MM.
Così Ł deciso, 22/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME COGNOME
ALDO ACETO