Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25198 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25198 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Reggio Calabria il 01/01/1972
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Trieste 1’11/07/2024, visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso;
letta la memoria dell’avv. NOME COGNOME nell’interesse dell’imputato, che ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata.
letta la memoria, corredata da nota spese, dell’avv. NOME COGNOME nell’interesse di Genertel S.p.a.;
RITENUTO IN FATTO
1.In seguito ad annullamento con rinvio disposto dalla Seconda Sezione di questa Corte in data 19 gennaio 2024, la Corte di appello di Trieste ha confermato la condanna alla pena di un anno di reclusione pronunciata dal Tribunale di Trieste il 5 maggio 2021 nei confronti di NOME COGNOME per il concorso nel reato di cui all’art. 642 cod. pen., perpetrato da NOME COGNOME mediante la presentazione di una falsa denuncia di sinistro stradale, da cui sarebbero originate lesioni personali, con conseguente richiesta risarcitoria alla compagnia assicuratrice.
Il ricorrente è stato altresì condannato al risarcimento dei danni in favore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, liquidati in via equitativa in euro 5000,00, oltre accessori.
2. Il ricorso consta di nove motivi.
2.1. Il primo denuncia inosservanza o erronea applicazione di legge, anche in relazione all’art. 3 del codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze e dall’attività giudiziaria degli avvocati nonché vizi di motivazione.
La sentenza impugnata, nel dare conto dello svolgimento del processo, ha omesso ogni riferimento alla questione relativa al rigetto della richiesta di rinvio per legittimo impedimento avanzata dal difensore di fiducia dell’imputato per l’udienza dell’Il luglio 2024, essendo stata deliberata dall’Unione Camere Penali l’astensione dalle udienze del 10, 11 e 12 luglio 2024.
2.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione di legge, anche in relazione all’art. 3 cit., nonché vizi di motivazione.
La Corte di appello ha disatteso l’istanza di rinvio di cui al punto che precede, sul rilievo che l’udienza è stata celebrata in forma cartolare, sebbene il difensore: i) avesse tempestivamente inoltrato alla Cancelleria, in data 2 luglio 2024, a mezzo PEC, comunicazione scritta di adesione alla programmata astensione; ii) non avesse, conseguentemente, inviato le proprie conclusioni scritte nei termini di cui all’art. 598-bis cod. proc. pen.
Ciò costituirebbe violazione dei principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 171 del 1996, che ha riconosciuto la “consistenza costituzionale del diritto di astensione” nonché del principio, affermato da questa Corte regolatrice con sentenza n. 15232 del 14/04/2015, secondo cui il giudice è tenuto a disporre il rinvio della trattazione in presenza di una dichiarazione di astensione legittimamente proclamata dagli organismi di categoria e comunicata nelle forme
di legge entro il termine per il deposito delle conclusioni (Sez. 6, n. 18448 del 10/05/2022).
2.3. Il terzo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione di legge, anche in relazione all’art. 3 cit., nonché mancanza, ovvero contraddittorietà o illogicità della motivazione.
La Corte di appello, non ravvisando alcun impedimento a comparire all’udienza detta – in cui il procedimento è stato definito con sentenza – ha compromesso l’esercizio delle facoltà difensive, non avendo la difesa potuto documentare l’offerta reale, né chiedere un termine per la sua formalizzazione.
Non è stato possibile ottemperare al principio di diritto affermato dalla pronuncia rescindente di questa Corte di cassazione, che aveva disposto l’annullamento con rinvio della pregressa sentenza di appello sul presupposto della erroneità della declaratoria della causa estintiva del reato resa ai sensi dell’art. 162-ter cod. pen., in quanto non preceduta dalla offerta reale nelle forme di cui all’art. 1208 cod. civ., da ritenersi necessaria a seguito della non accettazione, da parte della persona offesa, della somma offerta a titolo riparativo
Erroneamente si è stimato che la Corte di cassazione avesse escluso in radice l’applicabilità della detta causa estintiva.
2.4. GLYPH Il quarto motivo lamenta inosservanza o erronea applicazione di legge nonché vizi di motivazione quanto all’affermazione di responsabilità per il reato di frode assicurativa.
La sentenza impugnata non ha indicato le ragioni di fatto e di diritto per le quali i documenti prodotti dalla difesa all’udienza del 5 maggio 2021 non dimostrerebbero la genuinità delle dichiarazioni rese dall’imputato all’accertatore assicurativo.
Sono stati ignorati gli elementi addotti dalla difesa (tempo trascorso e precarie condizioni psichiche del dichiarante, come in atti documentate), a giustificazione delle contraddizioni in cui l’imputato è incorso nel riferire la dinamica e le circostanze del sinistro.
Per converso, le certificazioni mediche prodotte dalla Genoese, risultate apocrife, non dimostrano la falsità del sinistro in sé, ma solo dei suoi esiti e, soprattutto, non dimostrano il concorso del ricorrente nella condotta falsificatoria.
2.5. Il quinto motivo lamenta inosservanza o erronea applicazione di legge nonché vizi di motivazione con riferimento all’elemento psicologico del reato. La sentenza impugnata non ha motivato in modo congruo in ordine alla pretesa falsificazione della documentazione clinica della coimputata ed alla ricorrenza del dolo specifico, in particolare in ordine alla finalità, da parte del ricorrente, conseguire un indennizzo assicurativo.
2.6. Il sesto motivo deduce violazione di legge e vizi di motivazione, per avere la Corte di appello denegato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, senza valorizzare il comportamento processuale del ricorrente, avuto riguardo, in particolare, alla avanzata offerta riparatoria, ancorché non in regola sotto il profilo formale.
Il fatto che il ricorrente non abbia ammesso le proprie responsabilità, elemento invece rimarcato dalla Corte di appello, non può essere ritenuto ostativo, posto che l’imputato, nel sistema processuale, ha sempre il diritto di professarsi innocente.
Quanto alle modalità dell’offerta, richiamate dalla Corte, si è omesso di considerare che all’imputato non è stata data la possibilità di reiterarla mediante il deposito alla Cassa Depositi e Prestiti; e in ogni caso, deve considerarsi che tale deposito resta una modalità alternativa rispetto alla offerta “banco iudicis”, che resta sempre possibile.
Peraltro, la condotta ascritta al ricorrente non è stata valutata grave, dal momento che la pena è stata contenuta nel minimo edittale ed è stata disapplicata la recidiva.
2.7. Il settimo motivo denuncia violazione di legge e vizi di motivazione, per non avere la Corte di appello esplicitato le ragioni logico-giuridiche per le quali il danno patrimoniale arrecato non può essere ritenuto di speciale tenuità, ed è stato escluso il riconoscimento della attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, cod. pen.
Contrariamente a quanto stimato dalla Corte territoriale, la parte civile RAGIONE_SOCIALE non ha erogato alcuna somma a titolo risarcitorio e non ha documentato di avere subito un effettivo danno patrimoniale per gli accertamenti espletati, che sono stati eseguiti da un fiduciario della Compagnia assicuratrice.
2.8. L’ottavo motivo lamenta violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla eccessività del trattamento sanzionatorio.
Vi è una intrinseca contraddittorietà nell’avere valutato la pena conforme ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., mentre gli elementi apprezzati deporrebbero per una pena superiore. Il suo valore finale avrebbe dovuto, invece, essere congruamente ridotto mediante l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
2.9. Il nono motivo denuncia violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla quantificazione in via equitativa del risarcimento del danno a favore della parte civile.
La Corte ha ritenuto congrua la somma di euro 5.000,00 in ragione degli esborsi sostenuti per l’assunzione di informazioni per il tramite di una agenzia
investigativa ed in ragione del pregiudizio arrecato al prestigio della Compagnia, sulla base di mere presunzioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni che di seguito si espongono.
I primi tre motivi – afferenti alle conseguenze del mancato accoglimento della richiesta di rinvio della trattazione, avanzata per l’adesione del difensore alla astensione indetta dagli organi rappresentativi della categoria forense – possono essere trattati congiuntamente, per la loro stretta connessione.
Essi sono manifestamente infondati.
Procedendo in ordine logico, la Corte di appello ha correttamente ritenuto irrilevante la formulata dichiarazione di adesione all’astensione dalle udienze proclamata per i giorni 10, 11 e 12 luglio 2024, ai fini della configurabilità di un legittimo impedimento a comparire del difensore dell’imputato, in quanto il procedimento è stato trattato in forma cartolare, senza la partecipazione delle parti.
È principio consolidato che, nel giudizio di appello, ove si proceda con rito cartolare non partecipato per l’assenza di tempestiva richiesta di trattazione orale, non trova applicazione la previsione dell’art. 420-ter cod. proc. pen. in tema di legittimo impedimento a comparire del difensore dell’imputato, non essendo prevista la sua comparizione personale in udienza. (Sez. 6, n. 38270 del 09/07/2024, COGNOME, Rv. 286969 – 01; v. Sez. 3, n. 32864 del 15/07/2022, C., Rv. 283415 – 01).
Di conseguenza, deve escludersi che la Corte fosse tenuta a disporre il rinvio della trattazione.
Sotto altro profilo, non vi è stata violazione dell’art. 3 del Codice di “Autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati”, adottato il 4 aprile 2007 e ritenuto idoneo dalla Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi essenziali con delibera del 13 dicembre 2007, posto che, nel riferirsi ad ogni atto difensivo cui il difensore ha diritto d assistere, benché non ne sia obbligatoria la presenza, la disposizione non può riferirsi alle udienze camerali non partecipate, in quanto per tali udienze, come detto, tale diritto non sussiste.
Non sono state indebitamente lese le prerogative difensive e non è stato negato l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, quale è quello di sciopero, atteso che, contrariamente a quanto argomentato dalla difesa:
l’effetto della astensione indetta per le date del 10, 11 e 12 luglio 2024 non può essere fatto retroagire al 2 luglio 2024, data di inoltro della dichiarazione di astensione da parte del difensore;
il ricorrente non è stato privato della possibilità di presentare scritti difensiv (conclusioni e memorie di replica) in quanto, secondo la disciplina regolativa della trattazione cartolare, anche il termine che è venuto a scadere per ultimo, che è quello di cinque giorni prima dell’udienza, fissato per il deposito delle memorie di replica, nella specie è spirato prima che l’astensione avesse inizio (si veda Sez. 6, n. 18483 del 29/03/2022, COGNOME, Rv. 283262 – 01, la quale ha stabilito che, nel giudizio cartolare d’appello celebrato nel vigore della disciplina emergenziale pandemica, il termine di cinque giorni dall’udienza per il deposito delle conclusioni, previsto dall’art. 23-bis, comma 4, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, ha natura perentoria perché il suo rispetto è imprescindibilmente funzionale a consentire il corretto svilupparsi del contraddittorio tra le parti, nonché il necessario spazio di valutazione per il giudice, sicché, in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di appello di affermata irrilevanza, quale legittimo impedimento, dell’adesione del difensore all’astensione dalle udienze proclamata per una data successiva alla scadenza del predetto termine per il deposito delle conclusioni).
Inoltre, diversamente da quanto dedotto dalla difesa, non dà luogo ad alcuna nullità la mancata riproduzione in sentenza della richiesta di rinvio della trattazione, che la Corte di appello aveva già risolto con pronuncia reiettiva, posto che il riepilogo dello svolgimento del processo non è un requisito necessario della sentenza, secondo l’archetipo delineato dall’art. 546 cod. proc. pen.
Dal rigetto della richiesta di rinvio non è derivato alcun travisamento del principio di diritto enunciato in sede rescindente.
La Seconda Sezione di questa Corte, con sentenza n. 13456 del 2024, nel rilevare che l’offerta reale effettuata dall’imputato non poteva ritenersi perfezionata con effetto liberatorio per il debitore, in mancanza di rituale deposito della somma presso Cassa Depositi e Prestiti o presso un istituto bancario, ha annullato la sentenza dichiarativa della estinzione del reato e ha trasmesso gli atti alla Corte di appello per l’ulteriore corso.
Non risponde, dunque, a verità che l’annullamento sia stato disposto «al solo fine di» consentire allo stesso imputato di rinnovarla nelle forme di cui all’art. 1208 cod. civ.
Una tale statuizione, invero, avrebbe rimesso all’iniziativa dell’imputato – che non vi aveva, naturalmente, alcun interesse – l’ulteriore progressione del procedimento verso il suo epilogo finale, così da dare luogo ad una situazione di stasi a tempo indeterminato.
Di contro, era onere dell’imputato attivarsi al fine di formalizzare l’offerta e di documentare l’avvenuto deposito di essa unitamente alla presentazione delle note conclusionali ovvero di manifestare la volontà di provvedervi prima che avesse inizio il periodo di astensione.
Alla luce di quanto precede restano irrilevanti le deduzioni difensive sulla legittimità di una offerta “banco iudicis”, che nella specie non vi è stata per fatto imputabile esclusivamente alla parte privata.
In ogni caso, la questione sarebbe preclusa in forza del vincolo creato dal principio di diritto enunciato in sede rescindente, ai sensi dell’art. 627 cod. proc. pen. Ed invero, la sentenza rescindente ha ben evidenziato che, avendo la persona offesa rifiutato il risarcimento offerto dall’imputato, era necessaria l’osservanza della forma prescritta dalle disposizioni della legge civile, «dettate proprio per creare, nell’ipotesi di rifiuto del creditore, un equipollente alla dazione diretta, da indicarsi nelle forme dell’offerta reale, la quale si perfeziona con effetto liberatorio per il debitore, e salva la valutazione di congruità rimessa al giudice – al momento del deposito della somma presso la Cassa depositi e prestiti o presso un istituto bancario. In mancanza di tale deposito, l’offerta dell’COGNOME non poteva ritenersi ritualmente effettuata e, di conseguenza, la Corte di appello non poteva dichiarare l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 162ter cod. pen.».
Il quarto motivo di ricorso è reiterativo di questioni già risolte dalla Corte di appello e, comunque, proposto per motivi non consentiti.
Va precisato che la sentenza impugnata costituisce una c.d. doppia conforme rispetto alla sentenza di primo grado, sicché, ai fini del controllo di legittimità su vizio di motivazione, le due pronunce di merito si integrano e costituiscono un unitario tessuto argomentativo.
Deve allora ribadirsi il principio consolidato per cui, in tema di integrazione delle motivazioni tra le sentenze conformi di primo e di secondo grado, il giudice dell’appello può motivare per relationem se l’impugnazione si limita a riproporre questioni di fatto o di diritto già esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, mentre, solo qualora siano formulate censure specifiche o introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore, è affetta da vizio di motivazione la sentenza di appello che si limiti a respingere le deduzioni proposte con formule di stile o in
base ad assunti meramente assertivi o distonici rispetto alle risultanze istruttorie (Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278611 – 01).
Quanto alla ricostruzione dei fatti, la difesa reitera doglianze che afferiscono alla valutazione del compendio probatorio, di cui ripropone una alternativa lettura, sollecitando un diverso apprezzamento delle fonti dichiarative e documentali.
Per contro, in ragione dei principi cristallizzati a far tempo da Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944, il sindacato demandato alla Corte di cassazione deve essere limitato a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali, sicché esula dai poteri di questa Corte di accedere ad un diverso giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova.
Per contro, con argomentazioni congrue, ancorché sintetiche, che rimandano alla più ampia disamina della sentenza di primo grado, è spiegato in sentenza che le dichiarazioni rese dall’imputato all’accertatore collidono con l’accertata falsificazione delle certificazioni mediche prodotte dalla Genoese, in quanto disconosciute dai sanitari che figurano come sottoscrittori e che la palese contraddittorietà delle versioni dei correi, quanto alle circostanze spaziotemporali del sinistro ed alla sua dinamica, è elemento altamente significativo della inesistenza storica del fatto.
Le deduzioni difensive relative alle precarie condizioni psichiche del ricorrente, asseritamente giustificative della “confusione” del suo narrato, sono anch’esse versate in fatto, in quanto sollecitano un diverso e non consentito apprezzamento delle dichiarazioni rese dal ricorrente.
Il quinto motivo è a sua volta aspecifico, riproponendo questioni già ineccepibilmente risolte nelle sentenze di merito.
La motivazione è del tutto adeguata in punto di concorso nel reato di frode assicurativa di cui all’art. 642 cod. pen.
In applicazione dei principi in tema di responsabilità concorsuale, non è, invero, richiesta la partecipazione dell’agente ad ogni singolo segmento della condotta tipica – e, dunque, anche alla materiale falsificazione dei certificati medici che hanno supportato la richiesta di pagamento – mentre la finalità di perseguire un indennizzo assicurativo indebito è all’evidenza insita nella condotta simulatoria di un sinistro in realtà mai verificatosi (nella specie consistita, da parte del ricorrente, nell’assunzione di responsabilità della sua causazione).
Non superano la soglia di ammissibilità, in quanto anch’esse aspecifiche, le doglianze di cui ai motivi sesto e settimo, inerenti al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, cod. pen. che la difesa ha richiesto con giudizio di prevalenza (sebbene non siano state contestate aggravanti ad eccezione della recidiva, già disapplicata dal primo giudice).
Per converso, la motivazione sulla immeritevolezza di elementi di attenuazione della pena è adeguata:
quanto alle circostanze attenuanti generiche, per il reiterato mendacio del ricorrente, che non ha dato segno di resipiscenza, avendo offerto una somma invero neppure posta a disposizione della persona offesa – per valutazioni opportunistiche, ossia al fine di vedere definita la propria vicenda processuale. Se è vero che nel processo penale l’imputato non ha alcun obbligo di dire la verità, è anche vero che la mancanza di revisione critica del proprio operato, evidenziata dalla ostinata negazione della propria responsabilità, non è elemento illogicamente posto a fondamento del diniego delle circostanze attenuanti generiche;
quanto all’attenuante della tenuità del danno, in relazione al dispendio di energie e risorse che hanno certamente comportato l’istruzione della pratica e le attività resesi necessarie per far emergere il carattere fraudolento della richiesta, come analiticamente ricostruite nella sentenza di primo grado.
Le censure, al riguardo, hanno natura meramente confutativa e non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata.
Resta assorbito l’ottavo motivo, relativo alla entità del trattamento sanzionatorio, posto che, essendo stata la pena base determinata nel minimo edittale, la sua rimodulazione – così da renderla proporzionata al disvalore oggettivo dei fatti, secondo le deduzioni difensive – presupporrebbe il riconoscimento delle circostanze attenuanti, della cui imnneritevolezza si è già detto al punto che precede.
Le censure inerenti alle statuizioni civili, che si risolvono in un denunciato vizio di motivazione, sono anch’esse prive di specificità.
A proposito della liquidazione in via equitativa, che poggia su una valutazione di natura prettamente discrezionale, in sede civile si è già chiarito che “tale tipo di liquidazione, anche nella sua forma cd. “pura”, consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicché, pur nell’esercizio di un potere di carattere discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad
ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del
danno effettivo e dell’integralità del risarcimento”(Sez. 4 n. 13733 del
23/03/2022).
Nel caso di specie, il danno è stato liquidato in via equitativa nella misura di euro
5.000,00 con una motivazione stringata, ma adesiva rispetto a quella a quella di primo grado, che aveva indicato con chiarezza e senza illogicità i parametri
considerati rilevanti ai fini della quantificazione (esborsi relativi alla assunzione di informazioni per il tramite di un’agenzia investigativa, cui la Compagnia ha
dovuto rivolgersi; incidenza della condotta in addebito sul prestigio della
Compagnia).
8. Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché al versamento a favore della cassa delle ammende della
somma che si valuta equo quantificare nella misura indicata in dispositivo, non vertendosi in ipotesi di assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
Da ultimo, va disposta la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE s.p.a. che liquida in complessivi euro 3.686,00 oltre accessori di legge.
Così deciso, in Roma, il 27 marzo 2025 Il Consig ‘ire este ore GLYPH
Il Presidente