Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 6224 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 6224 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASTIGLIONE DELLE STIVIERE il 13/10/1971
avverso l’ordinanza del 09/07/2024 del TRIBUNALE di MANTOVA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette le conclusioni del PG CINZIA PARASPORO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Per un migliore inquadramento della vicenda, occorre premettere:
che, con sentenza emessa in data 23 febbraio 2010, irrevocabile il 16 luglio 2010, il Tribunale di Mantova, Sezione distaccata di Castiglione delle Stiviere, aveva condannato NOME COGNOME alla pena di 8 mesi di reclusione e 1.200,00 euro di multa, interamente condonata per intervenuto indulto, in relazione al reato di appropriazione indebita, commesso il 13 marzo 2006, avente ad oggetto un autocarro “Scania” targato TARGA_VEICOLO e un semirimorchio “Bertoja” targato TARGA_VEICOLO, ricevuti dall’imputato in forza di due distinti contratti di locazione stipulati con la società RAGIONE_SOCIALE;
b) che, con sentenza emessa in data 4 maggio 2017, irrevocabile il 30 marzo 2023, il Tribunale di Mantova aveva condannato il COGNOME alla pena di 5 anni e 6 mesi di reclusione per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione di molteplici beni, fra i quali il già menzionato semirimorchio “Bertoja” targato AD29934, dichiarando assorbito il reato di appropriazione indebita, giudicato con la sentenza sub a).
Sul presupposto dell’identità della condotta distrattiva attinente al rimorchio “Bertoja” appena citato, il COGNOME chiedeva al Tribunale di Mantova, ai sensi dell’art. 669 cod. proc. pen., di porre in esecuzione la sentenza sub a), in quanto più favorevole a esso istante e, conseguentemente, di rideterminare la pena a lui inflitta con la sentenza sub b) nella misura di 4 anni e 10 mesi di reclusione, previo scomputo degli 8 mesi di reclusione imputabili alla condotta distrattiva de qua.
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Mantova, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza di applicazione dell’art. 669 cod. proc. pen. sulla base delle seguenti considerazioni.
Il Tribunale osservava, in primo luogo, che il fatto di appropriazione indebita giudicato con la sentenza del 23 febbraio 2010 non era del tutto coincidente con una delle condotte distrattive riconducibili al reato di bancarotta fraudolenta giudicato con la sentenza del 4 maggio 2017, in quanto il primo aveva avuto ad oggetto non solo il semirimorchio “Bertoja” targato AD29934, ma anche un autocarro “Scania” targato TARGA_VEICOLO, non compreso, viceversa, tra i veicoli distratti nell’ambito della fattispecie fallimentare.
In secondo luogo, il giudice dell’esecuzione, tenuto conto della irrevocabilità della sentenza del 4 maggio 2017, con la quale il reato di appropriazione indebita in precedenza giudicato era stato dichiarato assorbito nel reato di bancarotta fraudolenta, riteneva, ormai, preclusa la questione del ne bis in idem, riproposta negli stessi termini in cui era stata decisa in sede di cognizione,
sicché non avrebbe potuto essere revocabile, in sede di incidente di esecuzione, la statuizione di assorbimento di cui si è detto e, di conseguenza, non sarebbe stata accoglibile l’istanza di rideterminazione della pena inflitta al COGNOME con la sentenza sub b).
D’altro canto, proseguiva il Tribunale, la pena complessivamente irrogata all’imputato con la pronuncia di condanna per bancarotta non poteva considerarsi in alcun modo condonabile, essendo stato commesso il reato fallimentare in data 4 luglio 2006, successiva a quella individuata dall’art. 1, I. n. 241/2006 per la concessione dell’indulto (2 maggio 2006).
Osservava, ancora, il giudice a quo che, nella sentenza sub b) del 4 maggio 2017, il Tribunale di Mantova non aveva calcolato, per l’aggravante speciale di cui all’art. 219, primo comma, legge fall,, una frazione di aumento sulla pena base (di 4 anni di reclusione) in misura coincidente con quella di 8 mesi inflitta al VICENTINI con la sentenza sub a) del 23 febbraio 2010, avendo, viceversa, operato un aumento di 1 anno di reclusione e un ulteriore aumento di 6 mesi per la concorrente aggravante di cui all’art. 219, secondo comma, n. 1, legge fall.: non sarebbe stata, quindi, in alcun modo, accoglibile la richiesta di rideterminazione della pena inflitta con la sentenza sub b) mediante lo scomputo degli 8 mesi di reclusione applicati con la sentenza sub a).
Infine, evidenziava il giudice di merito che la condotta distrattiva del semirimorchio “Bertoja”, diversamente da quanto prospettato dall’istante, non aveva influito sull’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 219, secondo comma, n. 1, legge fall., che non era configurabile nel caso di plurimi fatti di distrazione. Infatti, nella sentenza sub b), tale aggravante era stata riconosciuta e applicata per la commissione di “più fatti di bancarotta (distrattiva e documentale)”, il che aveva condotto a una determinazione della pena “unitaria”, senza che fossero individuate le frazioni di pena riferibili a ciascuna delle molteplici azioni distrattive in contestazione.
Ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, per il tramite del suo difensore, articolando cinque motivi di ricorso.
4.1. Con il primo motivo, si deduce la violazione degli artt. 649 e 669 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 646 cod. pen. e 216 legge fall.
Ad avviso della difesa, con riferimento al semirimorchio “Bertoja” targato TARGA_VEICOLO, stante l’identità materiale ex art. 649 cod. proc. pen. dei fatti giudicati con le sentenze del 23 febbraio 2010 e del 4 maggio 2017, anche procedendo a un “assorbimento”, la pena inflitta nei confronti del COGNOME avrebbe dovuto ritenersi illegale, poiché, per lo stesso fatto, era stato dapprima concesso l’indulto, per poi disporsi “apparentemente” l’eliminazione della pena, che, tuttavia, di fatto,
era stata posta in esecuzione e, comunque, applicata in senso sfavorevole nei confronti del condannato.
4.2. Con il secondo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 669 cod. proc. pen. in relazione alla sentenza n. 200 del 2016 della Corte costituzionale.
Il Tribunale avrebbe male applicato il principio del ne bis in idem, per come definito dall’art. 4, Prot. 7 CEDU e ormai recepito nella giurisprudenza di legittimità, non soltanto in riferimento all’accertamento dell’idem factum, ma anche per aver posto in esecuzione una pena già considerata nella precedente sentenza e beneficiata da indulto, anziché scorporarla.
4.3. Con il terzo motivo, si deduce vizio di motivazione in relazione all’art. 219, secondo comma, n. 1), legge fall.
Ad avviso della difesa, sarebbe del tutto illogica l’affermazione secondo cui il Giudice della cognizione, nella determinazione della pena con la sentenza sub b), non avrebbe tenuto conto del plus sanzionatorio derivante dalla precedente condanna, dal momento che nella stessa sentenza si afferma che la pena risulta comprensiva del reato di appropriazione indebita, ritenuto assorbito nel reato di bancarotta fraudolenta.
4.4. Con il quarto motivo, si denuncia omessa motivazione con riferimento all’art. 669 cod. proc. pen.
Il Tribunale avrebbe omesso di indicare la sentenza da eseguire, nonostante la sussistenza di due diverse pronunce a carico dell’imputato, stante la mancata revoca della sentenza applicativa del beneficio dell’indulto.
4.5. Con il quinto ed ultimo motivo, si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 1, comma 3, I. n. 241 del 1990 e 648 cod. proc. pen.
Il Giudice della cognizione, con la sentenza sub b), avrebbe irrogato nei confronti del COGNOME una pena illegale perché, pur in mancanza di una revoca formale dell’indulto, non avrebbe scomputato dalla pena complessiva quella di 8 mesi di reclusione, inflitta per un reato dichiarato assorbito, ma in concreto già giudicato e condonato.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, seppure articolato in cinque motivi, è imperniato su un’unica, fondamentale, doglianza, secondo la quale il giudice dell’esecuzione, in violazione degli artt. 649 e 669 cod. proc. pen., non avrebbe posto rimedio a una situazione, maturata in sede di cognizione, di illegalità della pena, discendente dalle due
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sentenze indicate in premessa: quella emessa dal Tribunale di Mantova, Sezione distaccata di Castiglione delle Stiviere, in data 23 febbraio 2010 e quella emessa dal Tribunale di Mantova in data 4 maggio 2017, che dichiarò assorbito t nel reato di bancarotta fraudolenta la condotta distrattiva del semirimorchio “Bertoja” targato AD29934.
Il ricorrente si duole, in concreto, che la pena inflitta per la distrazione del menzionato veicolo sia stata, con la prima sentenza, condonata e, con la seconda, posta in esecuzione.
Nella sua prospettazione, insomma, la mancata riduzione, nella misura di 8 mesi di reclusione (corrispondente alla pena, poi, condonata, inflitta con la sentenza del 23 febbraio 2010), della pena complessivamente irrogata con la sentenza del 4 maggio 2017, avrebbe determinato l’illegalità della pena medesima, in violazione del principio del ne bis in idem e della norma di cui all’art. 669 cod. proc. pen.
Le doglianze formulate dal ricorrente sono, tuttavia, infondate.
Se si esamina l’ultima pagina della sentenza emessa dal Tribunale di Mantova in data 4 maggio 2017 nel giudizio per bancarotta fraudolenta, si rileva che il giudice di merito, nel determinare il trattamento sanzionatorio nella misura di 5 anni e 6 mesi di reclusione, partendo da una pena base di 4 anni (aumentata di 1 anno per l’aggravante di cui al primo comma dell’art. 219 legge fall. e di ulteriori 6 mesi per la concorrente aggravante di cui all’art. 219, second comma, n. 1), legge fall.), ha precisato, in apposito paragrafo esplicativo, che “Tale pena è comprensiva anche del reato di appropriazione indebita (artt. 646 e 61 n. 11 c.p.) commesso il 13.3.2006 in Guidizzolo e assorbito nel reato di bancarotta qui giudicato e oggetto della sentenza di condanna alla pena di mesi 8 di reclusione del Tribunale di Mantova, sezione di Castiglione dS. datata 23/2/2010 (irrev. il 16/7/10) e va pertanto eliminata la corrispondente pena inflitta”.
Tale proposizione trova coerente riscontro nel dispositivo, che si articola come segue: “…dichiara NOME NOME colpevole dei reati a lui ascritti e assorbito il reato di cui agli artt. 646 e 61 n. 11 c.p. commesso il 13.3.2006 in Guidizzolo e oggetto della sentenza di condanna del Tribunale di Mantova sezione di Castiglione dS datata 23/2/2010 (irrev. il 16/7/10) ed eliminata la corrispondente pena, lo condanna alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali…”.
Dalla piana lettura di motivazione e dispositivo, confermati integralmente sul punto dalla sentenza resa dalla Corte di appello di Brescia in data 27 ottobre 2021 (v. a pag. 15 il riferimento all’assorbimento nel reato di bancarotta fraudolenta della condotta giudicata nella sentenza del 23 febbraio 2010, con la precisazione inerente alla “eliminazione della relativa pena”), si evince,
dunque, che la pena inflitta per il reato di appropriazione indebita del semirimorchio “COGNOME“, più volte citato, in virtù dell’assorbimento di quel reato nel reato di bancarotta, è stata eliminata dal panorama sanzionatorio delineato dalla decisione del Tribunale di Mantova in data 4 maggio 2017, sicché a detto trattamento non ha in alcun modo concorso, neppure in parte qua.
Si appalesa, pertanto, infondata la prospettazione difensiva, atteso che, in conseguenza del descritto assorbimento, la pena già condonata con la sentenza del Tribunale di Mantova in data 23 febbraio 2010 non è stata posta in esecuzione con la successiva sentenza del 4 maggio 2017.
Eventuali supposte incongruenze motivazionali al riguardo, d’altro canto, avrebbero dovuto e potuto essere dedotte con gli ordinari mezzi di impugnazione, che, però, nella specie, non risultano essere stati attivati.
In conclusione, previa correzione della motivazione nei termini prima esposti, ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen., il ricorso va rigettato, con l conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente