Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2073 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2073 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto dalla PARTE CIVILE COGNOME NOME, nata a NOTO (SR) il DATA_NASCITA
nel procedimento nei confronti di: CORTE GIUSEPPE, nato a NOTO (SR) DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/11/2021 della CORTE APPELLO di CATANIA udita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME;
lette le conclusioni della Procuratrice generale, COGNOME, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
TRATTAZIONE SCRITTA
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 19/11/2021 la COGNOME di appello di Catania – in riforma della sentenza del Tribunale di Siracusa in data 27/4/2018, che aveva condannato NOME COGNOME per i reati cui agli artt. 614, 56-575 cod. pen. in danno di NOME COGNOME – ha invece assolto l’imputato per non avere commesso il fatto.
La vicenda è rubricata come avvenuta a Noto, il 31 gennaio 2015.
1.1. Nella sentenza assolutoria si sono ripercorse le prove su cui si era fondata la condanna di primo grado, essenzialmente le dichiarazioni della COGNOME, persona offesa, e della NOME di costei, NOME COGNOME, e se ne è rimarcata la inattendibilità.
La donna aveva dapprima affermato di essere stata aggredita in casa da uno sconosciuto, che indossava una tuta dell’Enel e che si era fatto aprire per controllare una bolletta dell’energia elettrica, ed invece l’aveva colpita con schiaffi e pugni al capo, quindi con ripetuti colpi inferti con un orologio da parete così compiendo atti idonei tendenti univocamente a cagionare il decesso della COGNOME, la quale era rimasta tramortita nell’abitazione riportando varie lesioni personali, tali da porre in pericolo la sua vita.
Dopo le dimissioni dall’ospedale, mentre soggiornava a casa della NOME, aveva radicalmente cambiato versione, accusando NOME COGNOME, persona con la quale aveva intrattenuto una storia sentimentale e da lei non coinvolto in prima battuta in quanto non intendeva rendere pubblica tale relazione.
Si è ritenuta inattendibile anche la NOME della COGNOME, NOME COGNOME, la quale aveva dichiarato di avere parlato al telefono con la madre il sabato mattina 31 gennaio, mentre la domenica 1° febbraio aveva provato a chiamarla senza ottenere risposta, e all’improvviso il telefono era divenuto irraggiungibile. Si era accorta dell’accaduto soltanto dopo qualche giorno, quando si era recata a casa della madre e l’aveva trovata con l’occhio tumefatto e piena di sangue.
Tale versione della COGNOME è stata ritenuta smentita dall’analisi dei tabulati telefonici, da cui risultava che la domenica mattina, alle 10.05, NOME e la NOME ebbero una conversazione telefonica di 36 secondi (come peraltro la COGNOME aveva riferito nelle sommarie informazioni rese nelle indagini).
L’ultimo contatto della COGNOME con NOME COGNOME, invece, risaliva alle ore 00.08 di quella domenica 1° febbraio e constava di una conversazione di 408 secondi.
1.2. La COGNOME territoriale ha inoltre rilevato che non vi erano tracce dell’uomo nell’abitazione della RAGIONE_SOCIALE, né si erano rinvenute tracce di sangue della donna sugli abiti e sulle scarpe dell’imputato, o sui tappetini della sua vettura. Anche l’analisi delle celle di aggancio del telefono cellulare nella notte
tra il 31 gennaio e il 10 febbraio 2015 non aveva consentito di accertare che NOME COGNOME si trovasse in prossimità dell’abitazione della RAGIONE_SOCIALE.
1.3. La COGNOME territoriale ha ritenuto che, in realtà, l’aggressione fosse avvenuta tra le ore 10.05 e le ore 19.34 (momento in cui il cellulare della COGNOME si era scaricato senza che la donna fosse riuscita a rimetterlo in carica) della domenica 10 febbraio e che, pertanto, sia la persona offesa che la NOME avessero mentito.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione, ai soli effetti civili, NOME COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, deducendo la violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e connesso vizio di motivazione, per avere ritenuto inattendibili le dichiarazioni della parte civile e della NOME, senza farne oggetto di specifico approfondimento in sede di rinnovazione istruttoria, riservata soltanto al riesame del teste Commissario NOME COGNOME, in ordine ai contatti telefonici della persona offesa nei due giorni rilevanti. Peraltro, non si è considerato che detto testimone aveva spiegato che dai tabulati può emergere l’esistenza di conversazioni telefoniche in realtà non avvenute, trattandosi della registrazione di una serie di squilli telefonici: pertanto, anche il dato della presenza nel tabulato di una “conversazione” della durata di 36 secondi, avvenuta alle 10.05 della domenica tra NOME e la NOME, potrebbe riportarsi ad analoga evenienza. E ciò viene indicato come travisamento della prova da parte dei giudici di secondo grado.
2.1. Il ricorrente critica la valutazione di inattendibilità di NOME COGNOME della NOME compiuta dalla COGNOME di appello, senza effettiva motivazione delle ragioni scardinanti del giudizio opposto reso nel primo processo, in mancanza di elementi sopravvenuti: per tale ragione dovevano essere indicati argomenti dirimenti tali da evidenziare l’errore compiuto dal primo giudice.
2.2. Si denuncia dunque la violazione dell’art. 6 della citata Convenzione, come interpretato dalla COGNOME Europea dei diritti dell’uomo, in quanto il giudice di appello che esprime un giudizio di attendibilità delle prove dichiarative diverso da quello ritenuto in primo grado, avrebbe dovuto necessariamente rinnovare l’istruzione ed escutere nuovamente tutti i dichiaranti, in particolare la persona offesa.
2.3. Con memoria del 28/9/2023, trasmessa digitalmente, la difesa della parte civile ricorrente ha ribadito le argomentazioni dell’impugnazione, chiedendone l’accoglimento.
Anche il difensore dell’imputato ha presentato una memoria, trasmessa digitalmente con atto del 28/9/2023, chiedendo la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso della parte civile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Non si apprezza alcuno dei denunciati vizi di legittimità, in quanto stricto iure non vi era obbligo di risentire le fonti dichiarative, adempimento richiesto in termini cogenti soltanto nel caso in cui debba riformarsi un esito assolutorio in una pronuncia di condanna. Infatti, alla stregua dell’esegesi di legittimità, «Il giudice di appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva» (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Pg in proc. Troise, Rv. 272430 – 01). Né, al cospetto di tale impostazione, potrebbero nutrirsi dubbi di compatibilità convenzionale per la dedotta violazione dell’art. 6 della CEDU, in considerazione dell’evidente diversità delle situazioni giuridiche proposte come irragionevolmente destinatarie di differenti discipline. Invero, la ragione di tale differente assetto risiede nel dato che il rovesciamento di un’assoluzione in condanna esige il raggiungimento di una certezza probatoria che escluda ogni ragionevole dubbio prospettatosi al primo giudice, così da richiedere la ripetizione delle prove dichiarative ritenute decisive e necessariamente da riassumersi dinanzi al giudice di secondo grado per esigenze di immediata percezione ed eventuale arricchimento del contenuto probatorio, mentre l’evenienza contraria ben può basarsi su riflessioni derivanti da un mutato apprezzamento del medesimo materiale probatorio, ragioni che il giudice di appello deve esprimere e congruamente giustificare, ma che in linea di principio non richiedono ex se una rinnovazione istruttoria. COGNOME di Cassazione – copia non ufficiale
1.2. Nel caso di specie, la COGNOME territoriale, con argomentazioni congrue e persuasive, ha operato una ricostruzione dei fatti, con particolare riferimento alle scansioni temporali, diversa da quella effettuata in primo grado, in base ad una serie di elementi obiettivi – assenza di tracce del COGNOME nell’appartamento della COGNOME, assenza di tracce di sangue sugli abiti o sulle scarpe dell’imputato, analisi dei tabulati telefonici – contrastanti con la versione resa dalla parte offesa e dalla NOME di costei. Sul punto si osserva, dunque, che nella diversa ottica dei giudici di appello, le testimonianze della COGNOME e della NOME non rivestono quella centralità che era stata loro attribuita dal primo collegio, essendo stata invece ritenuta dirimente la deposizione del Comm. AVV_NOTAIO, infatti rinnovata in appello, da cui si è tratta la chiave di lettura per interpretare l indagini tecniche dalle quali è emersa l’estraneità del COGNOME alla vicenda.
Peraltro, il dedotto travisamento della prova riveniente dai tabulati telefonici è stato illustrato in termini congetturali e privi di puntuali allegazio limitandosi la difesa a suggerire che la comunicazione di 36 secondi, avvenuta alle ore 10.05 della domenica tra NOME e la NOME, potesse riportarsi all’eventualità di squilli perduranti ma non indicativi di effettiva comunicazione, cosa che il teste COGNOME aveva descritto come astrattamente possibile, ma non con specifico riferimento al caso in esame. Al contrario, la reale esistenza di una comunicazione telefonica tra le due donne, la mattina di domenica 10 febbraio 2015, era stata attestata proprio da NOME COGNOME, NOME della COGNOME, quando era stata sentita nelle indagini, ed è riscontrata dal relativo tabulato.
1.3. Ne consegue che le ragioni di inattendibilità delle due donne sono state logicamente desunte dall’analisi ragionata delle evidenze tecniche, in combinazione con le oscillazioni mnemoniche manifestate dalla COGNOME nella versione resa dapprima in sede di denuncia, con la rettifica giunta dopo venti giorni che indicava l’autore dell’aggressione in NOME COGNOME, e con il supporto della deposizione processuale della NOME, contraddetta dal tabulato telefonico.
In conclusione, il ricorso risulta infondato e deve essere rigettato, con le conseguenze di legge in ordine all’imputazione delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il giorno 5 ottobre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente