Assoluzione ex art. 129 c.p.p.: quando la prescrizione non lascia spazio al proscioglimento
L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sui limiti dell’assoluzione ex art. 129 c.p.p. in presenza di una causa di estinzione del reato come la prescrizione. La Corte di Cassazione ribadisce un principio cardine: il proscioglimento nel merito prevale solo quando l’innocenza dell’imputato è talmente evidente da non richiedere alcuna attività di valutazione o approfondimento istruttorio. Quando, invece, la non colpevolezza emerge solo a seguito di indagini complesse, la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione ha la precedenza.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da una sentenza della Corte d’Appello di Milano, la quale aveva dichiarato il non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di un’imputata accusata di tre diversi capi d’imputazione. L’imputata, non soddisfatta dalla mera estinzione del reato per il decorso del tempo, ha presentato ricorso in Cassazione. La sua tesi difensiva si basava su un unico motivo: sosteneva di aver diritto a una piena assoluzione nel merito, in quanto la falsificazione a lei contestata era talmente palese e ‘grossolana’ da essere immediatamente riconoscibile, escludendo così la rilevanza penale del fatto.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La decisione si fonda su un consolidato orientamento delle Sezioni Unite, che stabilisce una gerarchia chiara tra le cause di estinzione del reato e l’assoluzione nel merito.
Il Principio dell’Evidenza per l’assoluzione ex art. 129 c.p.p.
Il cuore della questione risiede nell’interpretazione dell’articolo 129, comma 2, del codice di procedura penale. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il giudice può pronunciare una sentenza di assoluzione, anziché limitarsi a dichiarare l’estinzione del reato, solo in presenza di circostanze che escludono in modo incontrovertibile l’esistenza del fatto, la sua commissione da parte dell’imputato o la sua rilevanza penale.
Questa evidenza deve essere percepibile ictu oculi, ovvero ‘a colpo d’occhio’, direttamente dagli atti processuali. La valutazione del giudice, in questi casi, deve avvicinarsi più a una ‘constatazione’ che a un ‘apprezzamento’, escludendo qualsiasi necessità di ulteriori accertamenti o approfondimenti dibattimentali.
L’Applicazione al Caso di Specie
Nel caso analizzato, la Corte ha osservato che la tesi della ‘grossolanità’ del falso era stata già congruamente respinta in appello. La Corte territoriale aveva infatti evidenziato come la contraffazione non fosse affatto di immediata evidenza. Al contrario, per accertarla si erano rese necessarie ‘accurate indagini e successivi sequestri’. Questo elemento fattuale è decisivo: la necessità di un’attività investigativa complessa per svelare il falso dimostra che l’innocenza non era palese e immediatamente riscontrabile dagli atti. Di conseguenza, mancava il presupposto fondamentale per applicare la formula assolutoria in luogo della prescrizione.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte si ancorano saldamente ai principi espressi dalle Sezioni Unite. La pronuncia di assoluzione, in presenza di una causa estintiva, è un’eccezione che richiede un’evidenza probatoria assoluta e non contestabile. Se per valutare la fondatezza della tesi difensiva (in questo caso, la grossolanità del falso) è necessario un esame approfondito delle prove, come le dichiarazioni degli operanti o l’analisi dei reperti sequestrati, allora viene meno il carattere di ‘constatazione’ immediata richiesto dalla norma. Il giudice non può intraprendere un percorso valutativo complesso se già sussiste una causa di estinzione del reato. L’inammissibilità del ricorso è stata quindi una conseguenza diretta del fatto che il motivo proposto era reiterativo di una censura già correttamente respinta e, soprattutto, richiedeva una valutazione di merito incompatibile con i presupposti dell’art. 129 c.p.p.
Le Conclusioni
L’ordinanza conferma che la via per ottenere un’assoluzione piena, quando il reato è già prescritto, è estremamente stretta. L’imputato deve poter dimostrare che la sua innocenza emerge dagli atti processuali in modo così lampante da non lasciare adito a dubbi o a necessità di ulteriori verifiche. Per gli operatori del diritto, ciò significa che un ricorso fondato su tale presupposto deve basarsi su elementi di prova chiari e indiscutibili, senza i quali la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione rappresenterà l’esito processuale inevitabile.
Quando un giudice può assolvere un imputato anche se il reato è prescritto?
Un giudice può pronunciare una sentenza di assoluzione, nonostante la presenza di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, solo quando le prove dell’innocenza sono talmente chiare ed evidenti da emergere ‘ictu oculi’ (a colpo d’occhio) dagli atti, senza la necessità di alcun approfondimento o valutazione complessa.
Perché il ricorso dell’imputata è stato dichiarato inammissibile in questo caso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la tesi difensiva, basata sulla presunta ‘grossolanità’ del falso, non era supportata da un’evidenza immediata. Al contrario, la falsità era stata accertata solo a seguito di accurate indagini e sequestri, dimostrando che la situazione richiedeva un apprezzamento di merito e non una mera constatazione, condizione che esclude l’applicazione dell’art. 129, comma 2, c.p.p.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dalla Corte nella sua decisione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 47118 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 47118 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SALERNO il 07/08/1981
avverso la sentenza del 30/05/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
Rilevato che con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME per intervenuta prescrizione rispetto ai tre capi ascritti nella rubrica dell’impu
Considerato che, mediante l’unico motivo proposto, la ricorrente lamenta che avrebbe dovuto, piuttosto, essere assolta, stante la grossolanità del falso;
Premesso in linea generale che, in forza dell’insegnamento delle Sezioni Unite in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legitti pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, secondo 2, cod. pr pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza de la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penal emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzame e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274 – 01 e, di recente, Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, COGNOME);
Rilevato che, inoltre, il motivo proposto è reiterativo e che, a fr dell’analoga censura spiegata in appello, la Corte territoriale ha congruam osservato che, come risulta dalle dichiarazioni degli operanti (non essendosi sv un esame in sede dibattimentale degli stessi per la scelta del rito abbrevi parte degli stessi imputati), la contraffazione non era di immediata eviden dunque grossolana, atteso che erano state necessarie accurate indagin successivi sequestri per accertarla;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende.
Così deciso il 27/11/2024