Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20485 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20485 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a CASTELEVETERE SUL CALORE Nel procedimento a carico di:
COGNOME nato il DATA_NASCITA in VENEZUELA
avverso la sentenza in data 04/07/2023 della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la nota dell’AVV_NOTAIO che, nell’interesse di COGNOME NOME, ha replicato alla requisitoria del Procuratore generale e ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
letta la nota dell’AVV_NOTAIO che, nell’interesse di COGNOME, ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Caporale NOME, per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna la sentenza in data 04/07/2023 della Corte di appello di Napol che, in riforma della sentenza in data 13/02/2017 del Tribunale di Avellino, ha assolto COGNOME NOME dal reato di truffa. Il Tribunale lo aveva, invece, condannato.
Deduce:
1. Violazione dell’art. 76 cod. proc. pen. e dell’art. 2043 cod. civ..
Secondo il ricorrente la Corte di appello ha omesso di pronunciarsi in
relazione al fatto illecito civile, non potendosi limitare a escludere il reato, ma dovendo altresì verificare che non vi fossero state conseguenze sul piano civilistico.
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla formula assolutoria.
Secondo il ricorrente la Corte di appello ha fatto erronea applicazione dell’art. 530 cod. proc. pen., in quanto non è stata acquisita la prova dell’assenza degli elementi obiettivi e subiettivi, atteso che è stato posto a fondamento dell’assoluzione un elemento probatorio di natura assertiva, costituito dal disagio economico dell’imputato, mai provato.
Ciò premesso, il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato e perché propone questioni non consentite in sede di legittimità.
3.1. La manifesta infondatezza attiene al primo motivo di ricorso, con cui si sostiene che la Corte di appello, pur assolvendo, avrebbe dovuto verificare la sussistenza del fatto illecito civile.
Tale assunto va in senso contrario all’insegnamento di questa Corte, a mente del quale la sentenza d’appello che, in riforma integrale della sentenza impugnata, assolva l’imputato per insussistenza del fatto comporta la caducazione automatica delle statuizioni civili della sentenza di primo grado, anche in mancanza di espressa statuizione sul punto (Sez. 3, Sentenza n. 23425 del 29/04/2022, Rv. 283393).
4, Risulta, poi, improponibile in sede di legittimità la censura relativa alla formula assolutoria (per insussistenza del fatto) adottata dai giudici di merito, chesecondo il ricorrente- avrebbero omesso di verificare “l’effettività della condizione di indigenza dell’imputato, ponendola addirittura a fondamento della propria decisione”.
Attraverso tale censura, la parte civile ricorrente sottopone all’attenzione del giudice di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto all’apprezzamento del materiale probatorio, la cui valutazione è rimessa all’esclusiva competenza del giudice del merito: invero la valutazione dei dati probatori, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni piutto che di altri, così come l’individuazione delle risultanze probatorie più idonee a sorreggere la decisione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione e della soluzione adottata una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento (Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272406, in motivazione; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250362).
A fronte di un quadro argomentativo compiutamente illustrato e logicamente articolato nelle premesse, come nelle relative conclusioni, volto ad escludere la
sussistenza del fatto in senso penalistico, i profili di doglianza dedotti dalla parte ricorrente risultano aspecificamente orientati a riprodurre una serie di obiezioni già coerentemente vagliate e disattese dalla Corte territoriale, sollecitando una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, attraverso l’esercizio di uno scrutinio improponibile nel giudizio di legittimità, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell’impugnata decisione.
E’ indiscutibile che il compito del giudice di legittimità sia quello di verificare la conformità della sentenza impugnata alla legge sostanziale e alla processuale, cui si aggiunge il controllo sulla motivazione che, però, è restrittivamente limitato alle ipotesi tassative della carenza, della manifesta illogicità e della contraddittorietà. Con l’ulteriore precisazione che la carenza va identificata con la mancanza della motivazione per difetto grafico o per la sua apparenza; che l’illogicità deve essere manifesta -ossia individuabile con immediatezza- e sostanzialmente identificabile nella violazione delle massime di esperienza o delle leggi scientifiche, ossia quando sono disancorate da criteri oggettivi di valutazione, e trascendono in valutazioni soggettive e congetturali, insuscettibili di verifica empirica; che la contraddittorietà si configura quando la motivazione si mostri in contrasto -in termini di inconciliabilità assoluta- con atti processuali specificamente indicati dalla parte e che rispetto alla struttura argomentativa abbiano natura portante, tale che dallo loro eliminazione derivi l’implosione della struttura argomentativa impugnata.
Nulla di tutto ciò si rinviene nella sentenza impugnata, né le argomentazioni sviluppate nel ricorso fanno emergere tali connotati.
COGNOME Quanto COGNOME esposto COGNOME porta COGNOME alla COGNOME declaratoria COGNOME di COGNOME inammissibilità dell’impugnazione, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 3 aprile 2024 Il Consigliere estensore
Il Presidente