Assoluzione art. 129: quando la Cassazione la nega?
L’assoluzione art. 129 del codice di procedura penale rappresenta una regola fondamentale del nostro ordinamento, che impone al giudice di prosciogliere l’imputato anche quando il reato è estinto, se la sua innocenza risulta palese. Ma cosa accade se le prove non sono così evidenti? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 5700/2024, chiarisce i rigidi limiti entro cui questa norma può trovare applicazione, dichiarando inammissibile un ricorso ritenuto generico e volto a una rivalutazione dei fatti.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da un ricorso presentato alla Corte di Cassazione da un imputato, precedentemente coinvolto in un procedimento per i reati di usura e tentata estorsione. La Corte d’Appello di Bari, con sentenza del 18 gennaio 2023, aveva emesso una pronuncia che l’imputato ha ritenuto insoddisfacente. In particolare, il ricorrente lamentava il mancato proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 129, comma 2, del codice di procedura penale, una norma che prevede l’assoluzione piena qualora l’innocenza sia evidente, prevalendo su eventuali cause di estinzione del reato (come la prescrizione).
L’imputato, attraverso il suo ricorso, ha tentato di contestare la valutazione delle prove effettuata dai giudici di merito, proponendo una ricostruzione alternativa dei fatti. Tuttavia, il suo appello è stato considerato dalla Suprema Corte come un tentativo di ottenere un riesame delle fonti di prova, attività preclusa in sede di legittimità.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno stabilito che l’appello era privo di concreta specificità e mirava a una rivalutazione delle prove, operazione che non rientra nelle competenze della Corte Suprema. Il ricorrente è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
I Limiti dell’Assoluzione art. 129 c.p.p.
Il cuore della decisione ruota attorno all’interpretazione dell’assoluzione art. 129, comma 2, c.p.p. La Corte ha ribadito un principio consolidato in giurisprudenza: il proscioglimento nel merito, nonostante la presenza di una causa di estinzione del reato, è legittimo solo ed esclusivamente quando le circostanze che escludono la colpevolezza dell’imputato emergono dagli atti in modo assolutamente non contestabile.
In altre parole, l’innocenza deve essere così evidente da poter essere percepita ictu oculi, a colpo d’occhio, senza necessità di ulteriori accertamenti o approfondimenti. La valutazione del giudice deve avvicinarsi a una mera “constatazione” piuttosto che a un “apprezzamento” discrezionale del materiale probatorio.
Il Ruolo della Genericità del Ricorso
Un altro punto cruciale che ha portato alla declaratoria di inammissibilità è la genericità del ricorso. La Cassazione ha sottolineato come il ricorrente non abbia individuato specifici e decisivi travisamenti delle prove da parte dei giudici di merito. Al contrario, si è limitato a proporre una diversa lettura dei fatti, basata su criteri di valutazione alternativi a quelli, legittimamente adottati, dalla Corte d’Appello. I giudici di merito, infatti, avevano ampiamente e correttamente motivato il loro convincimento, con particolare riferimento alla condotta dell’imputato e alla sua competenza professionale.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri principali. Il primo è la natura del giudizio di legittimità, che non consente un riesame del merito della vicenda processuale. La Cassazione non è un “terzo grado” di giudizio dove si possono rivalutare le prove, ma un organo che verifica la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata. Il ricorso, proponendo una nuova interpretazione dei fatti, esulava da questi confini.
Il secondo pilastro è la rigorosa interpretazione dell’art. 129, comma 2, c.p.p. Citando importanti precedenti, tra cui la sentenza delle Sezioni Unite n. 35490/2009 (Tettamanti), la Corte ha ribadito che la formula assolutoria prevale sulla causa estintiva solo in presenza di una prova “positiva” dell’innocenza, immediatamente percepibile dagli atti del processo. Qualsiasi situazione che richieda un’analisi, un confronto tra prove o un approfondimento istruttorio è incompatibile con l’applicazione di questa norma.
Nel caso specifico, i giudici di merito avevano fornito una motivazione logica e giuridicamente corretta per la loro decisione, rendendo impossibile una “constatazione” di innocenza evidente.
Le Conclusioni
L’ordinanza n. 5700/2024 della Corte di Cassazione offre un importante promemoria sui limiti del ricorso per cassazione e sulle condizioni per l’applicazione dell’assoluzione art. 129, comma 2, c.p.p. La decisione conferma che non è sufficiente prospettare una diversa lettura delle prove per ottenere un proscioglimento nel merito in sede di legittimità, soprattutto quando è già intervenuta una causa di estinzione del reato. L’innocenza deve essere lampante, inequivocabile e non richiedere alcuna attività di “apprezzamento” da parte del giudice. In assenza di tale evidenza, il ricorso che tenta di forzare una rivalutazione dei fatti è destinato a essere dichiarato inammissibile, con le conseguenti condanne economiche per il ricorrente.
Quando un imputato può essere assolto nel merito se il reato è già estinto (ad es. per prescrizione)?
L’assoluzione nel merito, secondo l’art. 129, comma 2, del codice di procedura penale, è possibile solo quando le prove dell’innocenza sono talmente chiare ed evidenti da emergere dagli atti processuali ‘ictu oculi’ (a colpo d’occhio), senza la necessità di ulteriori approfondimenti o valutazioni discrezionali da parte del giudice.
Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile dalla Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché è stato ritenuto privo di specificità e volto a ottenere una nuova valutazione delle prove e una ricostruzione dei fatti diversa da quella operata dai giudici di merito. Questo tipo di riesame non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione, che valuta solo la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che la Corte non esamina il merito del ricorso. Di conseguenza, la decisione impugnata diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso con una condanna al pagamento di 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5700 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5700 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a BARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/01/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
letta la memoria difensiva del 29/11/2023;
considerato che il ricorso, con il quale si contesta il mancato proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. in relazione ai reati di usura e tentata estorsione, è privo di concreta specificità e tende a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie e/o un’alternativa ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice del merito estranee al sindacato del presente giudizio ed avulse da pertinente individuazione di specifici e decisivi travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudicanti;
che, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu ocu/i, che a quello di “apprezzamento” e sia, quindi, incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274; Sez. 6, n. 10284 del 22/01/2014, COGNOME, Rv. 259445);
che, nella specie, i giudici del merito hanno ampiamente esplicitato, con corretti argomenti logici e giuridici, le ragioni del loro convincimento (si vedano, in particolare, pagg. 21 e 22, con particolare riferimento alla condotta tipica di rinnovazione dei titoli e caratteristiche deglii stessi, in relazione alla specif competenza del ricorrente tenuto conto della professione svolta dallo stesso);
rilevato che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 5 dicembre 2023.