Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 19119 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 19119 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 08/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME COGNOME nato a CATANIA il 03/09/1985 COGNOME NOME nato a CATANIA il 06/03/1990 COGNOME NOME nato a SIRACUSA il 24/07/2000 avverso la sentenza del 17/06/2024 della Corte d’appello di Catania Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi.
uditi i difensori
NOME COGNOME in sostituzione, per delega scritta dell’avvocato COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza descritta in epigrafe, la Corte di appello di Catania ha parzialmente confermato quella resa in abbreviato dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale locale nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME mentre ha rigettato il gravame proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
In particolare, la Corte del merito ha confermato il giudizio di responsabilità per i fatti ascritti a COGNOME e COGNOME (capi da 1 a 5 della rubrica) ma ha ridotto il trattament
sanzionatorio loro irrogato in primo grado, intervenendo sulla misura delle pene apportate a titolo di continuazione.
Hanno interposto ricorso COGNOME COGNOME con una unica impugnazione sottoscritta dall’avvocato COGNOME l’avvocato COGNOME nell’interesse di COGNOME.
Nel ricorso proposto nell’interesse di COGNOME e COGNOME con il primo motivo, si contesta, adducendo asserite violazioni di legge e vizi della motivazione, il giudizio di responsabilità riferito alla condotta associativa loro ascritta al capo 1) della rubrica a sensi dell’art 74 d.P.R. n. 309 del 1990, avuto riguardo alla configurabilità dell’associazione, al contributo garantito alla stessa dai due ricorrenti, al ruolo qualificat loro attribuito ai sensi del primo comma della medesima disposizione.
Nel corpo del motivo, ancora, si sollecita la qualificazione dei fatti di reato di cui capo 2) in termini coerenti al disposto di cui all’art 73 comma 5 del citato d.P.R. n. 309 del 1990 e, in coerenza, la riconducibilità dell’associazione di cui al capo 1) alla previsione di cui al comma 6 del citato art. 74.
3.1. Con il secondo motivo di ricorso si contesta la motivazione riferita alla pena irrogata ai due imputati per il fatto più grave, priva di adeguata giustificazione quanto alla distanza dèl trattamento irrogato rispetto al minimo edittale.
Con il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME si contesta la misura della pena irrogata, computata senza fare corretta applicazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e senza adeguata giustificazione quanto alla distanza del trattamento irrogato rispetto al minimo edittale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi riposano tutti su motivi quantomeno manifestamente infondati.
Dalla lettura delle due conformi decisioni di merito emerge che la regiudicanda copriva più fatti illeciti legati alla introduzione, all’interno del carcere di August stupefacente di vario tipo (sostanze tutte riconducibili al comma IV dell’art 73), nonché di apparecchi telefonici e altri dispositivi idonei alla comunicazione, con condotte realizzate anche tramite la corruzione di un sovraintendente della Polizia penitenziaria in servizio presso la detta struttura.
Il tutto in forza della riscontrata presenza di una struttura organizzativa, per mezzi e uomini, stabilmente dedicata alla realizzazione dei detti compiti illeciti.
Da qui due imputazioni associative (quella ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 descritta al capo 1 nonché quella ex art. 416 cod. pen di cui al capo 3); più fatti di detenzione e cessione sanzionati ai sensi dell’art. 73, comma 4, del citato d.P.R. n. 309 (capo 2); la presenza di condotte punite ai sensi dell’ari 391-ter cod. pen (capo 4); infine, la corruzione del soggetto qualificato (descritta al capo 5).
COGNOME e COGNOME per quel che qui interessa, sono stati ritenuti all’apice dell’organicazione finalizzata al traffico di stupefacenti perché promotori e organizzatori della relativa azione illecita.
Con l’appello, nell’interesse dei detti imputati, avuto riguardo al giudizio di responsabilità, si contestava, con riferimento alla posizione di COGNOME, la configurabilità dell’associazione, il ruolo partecipativo anche in posizione apicale, la riconducibilità dei fatti di cui al capo 2 all’ipotesi lieve del comma 5 dell’art 73 e la configurazion dell’associazione al comma 6 dell’art. 74.
Nell’interesse di COGNOME si contestava solo il ruolo qualificato allo stesso ascritt all’interno dei relativi organigrammi associativi.
I motivi di ricorso, in parte diretti a replicare pedissequamente quelli di appello, sono tutti inammissibili perché integralmente privi di un confronto puntuale e specifico con le risposte rese dalla Corte del merito rispetto ai rilievi interposti con i rispet gravami.
4.1 Così è a dirsi rispetto alla sussistenza in sé dell’associazione finalizzata al narcotraffico, atteso che l’impugnazione manca anche di un riferimento grafico al tenore della decisione, integralmente pretermessa riguardo al tema in questione, ribadendo, peraltro, tratti di genericità che già inficiavano radicalmente anche all’appello su tale versante, a frante della analitica puntualità che connotava la decisione di primo grado.
4.2. Non diversamente è a dirsi, del resto, quanto all’ulteriore portato del ricorso, diretto a contrastare i profili di responsabilità ma affetto da evidente aspecificit estrinseca riguardo: al contributo offerto da COGNOME (l’unico legittimato a contraddire sul punto, considerato il devoluto dell’appello proposto da COGNOME) anche in relazione al preminente rilievo ascritto alla sua figura rispetto alla promozione e all’organizzazione della relativa azione criminale comune (aspetti argomentati con puntualità e linearità logica dalla pagina 22, ultimo cpv, in poi della sentenza gravata); alla posizione qualificata ascritta al COGNOME nella relativa struttura associativa (affrontata, sen incorrere in vizio alcuno, dalla pagina 35, penultimo capoverso della decisione impugnata); alle ragioni per le quali non sarebbe possibile inquadrare i fatti di cui al capo 2) della rubrica nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, ‘ del d.P.R. n. 309 del 1990 (si vedano le àrgomentazioni spese alle pagine 25 e 26 dirette a mettere in luce, con coerenza valutativa e correttezza interpretativa, il complessivo contesto criminale nel quali gli stessi ebbero ad innestarsi, incompatibile con l’ipotesi lieve- rivendicata dalla difesa).
Da qui, infine, anche, la manifesta infondatezza della lagnanza relativa alla rivendicata applicabilità del comma 6 dell’art. 74 citato, da escludere in presenza di fatti,
anche solo in Parte, non riconducibili al comma 5 dell’art. 73 dello stesso decreto ( ex multis, Sez. 6, n. 1642 del 09/10/2019, dep. 2020, Rv. 278098).
5. È manifestamente infondato il secondo e ultimo motivo di ricorso prospettato nell’interesse di COGNOME e COGNOME.
Basta evidenziare, infatti, che nel caso il fatto più grave ascritto ai due ricorrenti quello descritto al capo 1) della rubrica, punito, ai sensi del primo comma dell’art. 74
d.P.R. n. 309 del 1990 in misura di venti anni nel minimo, pena nel caso coincidente a quella irrogata, così da risultare neutralizzata ogni doglianza sul tema.
6. Ad una soluzione identica si perviene con riguardo al ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME condannato per detenzione e spaccio ex art 73,
comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, aggravato ex art 80 comma 1, lettera g) dello stesso decreto.
La pena base irrogata all’imputato, infatti coincide al minimo “edittale (2 anni)
previsto dalla fattispecie di riferimento mentre il ricorso è del tutto generico e aspecific riguardo alle altre argomentazioni, comunque puntuali e lineari, spese dai giudici del merito nel giustificare il trattamento sanzionatorio finale nel caso applicato ( in reazione, più precisamente, all’aumento apportato per l’aggravante), né, infine, mette più espressamente in gioco il tema delle denegate attenuanti generiche, prospettato con l’appello.
7.Da qui la inammissibilità dei ricorsi dalla quale derivano anche le pronunce di cui all’art. 616 cod. proc. pen., definite nei termini precisati dal dispositivo che segue
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 08/04/2025.