Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 31815 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 31815 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Procuratore Generale presso Corte d’appello di Torino
nei riguardi
COGNOME NOME nato a Palermo il 27/01/1973
e da
COGNOME NOME nato a Siderno il 17/11/1980
NOME nato a LocrI il 07/05/1972
Napoli NOME nato a LocrI il 16/08/1986
COGNOME NOME (cl.82 ) nato a Locri il 16/03/1982
NOME nato a Locri il 17/06/1973
NOME (cl. 63 ) nato a San Luca il 09/09/1963
NOME NOME ( Cl.86) nato a Locri il 26/08/1986
NOME (cl 90 ) nato a Reggio Calabria il 05/11/1990
COGNOME NOME nato a Torino il 08/06/1979
COGNOME NOME nato a Plati’ il 13/11/1976
COGNOME NOME nato a locrI il 28/04/1983
NOME NOME nato a San Luca il 08/08/1966
NOME nato a Locri il 22/04/1986
COGNOME NOME nato a Siderno il 06/08/1976
COGNOME NOME nato a Carbonia il 27/02/1992
nel procedimento a carico di questi ultimi
avverso la sentenza del 20/02/2024 della Corte d’appello di Torino
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Sostituto Procuratore generale,NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso della Procura generale di Torino e il rigetto di tutti i ricorsi proposti dagli imputati ad eccezione del secondo motivo del ricorso di COGNOME NOME, relativamente al reato di cui all’art. 495 c.p., con conseguente annullamento con rinvio sul punto.
uditi i didensori:
L’avv. COGNOME COGNOME chiede l’accoglimento del ricorso;
uditi i didensori:
L’avv. COGNOME COGNOME chiede l’accoglimento del ricorso;
l’avv. COGNOME NOME chiede l’accoglimento del ricorso;
l’avv. COGNOME chiede l’accoglimento del ricorso;
l’avv. COGNOME NOME chiede l’accoglimento del ricorso;
l’avv. COGNOME COGNOME chiede l’accoglimento del ricorso;
l’avv. COGNOME COGNOME chiede l’accoglimento del ricorso;
l’avv. COGNOME Enrico chiede l’accoglimento del ricorso;
l’avv. COGNOME COGNOME chiede l’accoglimento del ricorso;
l’avv. COGNOME NOME chiede l’accoglimento del ricorso;
l’avv. COGNOME Salvatore chiede l’accoglimento del ricorso;
l’avv. COGNOME Alessandro chiede l’accoglimento del ricorso;
l’avv. COGNOME NOME chiede l’accoglimento del ricorso;
l’avv. COGNOME NOME COGNOME chiede l’accoglimento del ricorso;
l’avv. COGNOME COGNOME chiede l’accoglimento del ricorso;
l’avv. COGNOME NOME COGNOME chiede l’accoglimento del ricorso;
l’avv. COGNOME Dario chiede l’accoglimento del ricorso;
l’avv. COGNOME chiede l’accoglimento del ricorso.
l’avv. COGNOME Giuseppe per la posizione di COGNOME COGNOME si associa alle conclusioni del Procuratore generale, chiedendo il rigetto del ricorso della Procura generale di Torino.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20 febbraio 2024 la Corte di appello di Torino ha parzialmente riformato la decisione del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa città, in data 17 ottobre 2022, che:
aveva ritenuto NOME COGNOME colpevole del reato di partecipazione all’associazione di ‘ndrangheta denominata locale di Volpiano, descritta nel capo 1) dell’imputazione, di quelli di cui all’art. 512 bis cod. pen. (capo 2) ed emissione di fatture per operazioni inesistenti , condannandolo, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche prevalenti e ritenuti i reati avvinti dal vincolo della continuazione, avuto riguardo alla diminuente del rito, alla pena di cinque anni di reclusione;
aveva reputato NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (classe 1982), NOME COGNOME, NOME COGNOME (classe 1963), NOME COGNOME (classe 1986), NOME COGNOME (classe 1990), NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili del reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e degli altri reati a ciascuno contestati; riconosciute le circostanze attenuanti generiche ai soli COGNOME e COGNOME, avuto riguardo alla diminuente per il rito, li aveva condannati ciascuno a pena di giustizia;
aveva ritenuto NOME COGNOME responsabile dei reati di cui ai capi 22), 47) 48), 49) e 50), con le circostanze attenuanti generiche e ritenuti i reati unificati ai sensi dell’art. 81 cpv. cod. pen., con la diminuente per il rito, lo aveva condannato alla pena di tre anni, otto mesi di reclusione ed euro 16.000,00 di multa;
aveva ritenuto NOME COGNOME responsabile del reato di cui all’art. 379 cod. pen. così riqualificato originariamente contestato al capo 19) e dei reati di cui ai capi 20) e 21); riconosciute le circostanze attenuti generiche equivalenti alla recidiva, ritenuti i fatti unificati per continuazione, avuto riguardo alla diminuente del rito, lo aveva condannato alla pena di due anni e due mesi di reclusione;
aveva ritenuto NOME COGNOME responsabile del reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 contestato al capo 58) dell’imputazione e condannato a pena di giustizia.
In particolare, la Corte distrettuale:
ha assolto COGNOME e NOME COGNOMEclasse 1963) dal reato di cui al capo 22) perchØ il fatto non sussiste e rideterminato rispettiva la pena, revocando nei loro riguardi il provvedimento di confisca;
-ha ridotto la pena a Napoli a un anno e sei mesi di reclusione;
-ha riconosciuto per COGNOME la continuazione tra i reati oggetto del presente procedimento con quelli giudicati con la sentenza del giudice per le indagini preliminari di Lecce in data 18 gennaio 2023, irrevocabile il 16 febbraio 2023, e rideterminato la pena unica complessiva in nove anni e otto mesi di reclusione;
-ha qualificato come specifica la recidiva nei riguardi di NOME e conseguentemente ha rideterminato la pena allo stesso inflitta in otto anni e otto mesi di reclusione;
-ha confermato la sentenza nei riguardi di COGNOME, NOME COGNOME (classe 1896), NOME COGNOME (classe 1990), NOME COGNOME, NOME COGNOME (classe 1982), NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-ha assolto COGNOME dal reato sub 58) perchØ il fatto non sussiste.
La Corte di appello ha evidenziato che l’accertamento condotto in primo grado aveva riguardato un complesso procedimento penale, coinvolgente un elevato numero d’imputati, e – per quanto qui d’interesse – che le imputazioni elevate nei loro riguardi si articolavano in tre sezioni, corrispondenti ad altrettanti filoni investigativi e, segnatamente: i) l’operazione Platinum 416-bis riguardante le vicende della locale di ‘ndrangheta c.d. di Volpiano, radicata in Piemonte, di cui Ł chiamato a rispondere NOME COGNOME unitamente ad alcuni reati fine; ii) l’operazione Platinum 74 che vede protagonisti, in posizione apicale i quattro fratelli COGNOME e, quali associati, NOME COGNOME, NOME COGNOME (classe 1982), NOME COGNOME (classe 1986), NOME COGNOME (classe 1990) NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME chiamati altresì a rispondere, a vario titolo, del reati di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, di false fatturazioni, di favoreggiamento e autoriciclaggio. Nella vicenda in parola Ł altresì coinvolto NOME COGNOME per i reati che si sono già indicati; iii) infine, le indagini riguardanti un’associazione finalizzata alla perpetrazione di truffe nell’ambito del commercio di autoveicoli tra l’Italia e la Germania, che vede qui coinvolto il solo imputato COGNOME, limitatamente ai reati di cessione di stupefacenti e usura contestati ai capi 47), 48), 49) e 50).
Affrontando preliminarmente alcune questioni comuni, la Corte territoriale (p. 39 e s.) ha disatteso l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni captate sulla piattaforma di messaggistica criptata Sky-Ecc e acquisite con Ordine investigativo europeo dal Pubblico ministero italiano.
Ha, quindi, preso in esame le singole posizioni processuali riguardo ai vari addebiti, definendole nei sensi già indicati.
Avverso la sentenza ricorre, in primo luogo il Procuratore generale della Corte di appello di Torino, nei soli riguardi di NOME COGNOME e denuncia piø vizi di motivazione in punto di ritenuta insussistenza del fatto di acquisto di cinquanta grammi di cocaina, contestato al capo 58) dell’imputazione.
3.1. Il ricorrente premette che la condanna di COGNOME, pronunciata dal Giudice di primo grado, era fondata sulla conversazione del 12 settembre 2018, intercorsa tra i coimputati COGNOME e NOME COGNOME (classe 1972), nella quale il primo riferiva al secondo che COGNOME, dopo avergli richiesto una fornitura di 100 grammi di cocaina, si era “tirato indietro” a causa dell’asserita esosità del prezzo praticato (paria 45,00 euro a grammo), lamentando che NOME COGNOME, fratello di NOME, gli garantiva il minor costo di 38,00 euro al grammo. COGNOME riferiva all’interlocutore che, in seguito, COGNOME aveva cambiato idea, chiedendogli
la fornitura di cinquanta grammi di cocaina, avendo la necessità di mescolarla con quella di pessima qualità che aveva acquistato da terzi rimasti ignoti al prezzo di 40,00 euro al grammo.
Tanto premesso, il ricorrente lamenta l’erroneità e l’illogicità della motivazione che la Corte di appello ha posto a fondamento dell’assoluzione per la condotta di acquisto di tali cinquanta grammi, ovverosia la genericità delle coordinate identificative della cessione e il fatto che l’acquisto sarebbe provato non già da dichiarazioni di COGNOME, ma da quanto appreso da COGNOME de relato da questi, con la seria possibilità che l’episodio fosse un mero stratagemma dell’acquirente per ottenere un prezzo inferiore.
Il Procuratore generale ricorrente lamenta che il Giudice di appello avrebbe fatto malgoverno della giurisprudenza di legittimità secondo la quale in tema di prove, il contenuto d’intercettazioni telefoniche captate tra terzi, da cui emergano elementi di accusa nei confronti dell’indagato, può costituire fonte probatoria diretta nella sua colpevolezza senza necessità di riscontri ai sensi dell’articolo 192, comma 3, cod. proc. pen., fatto salvo l’obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica.
Osserva, pertanto, che l’assenza di riscontri al contenuto della conversazione non impediva di ritenere provato il reato emergente dalla stessa. Inoltre, valorizza la piena attendibilità e linearità del colloquio tra COGNOME e NOME COGNOME e l’assenza di ragioni per le quali il primo, nel parlare con il secondo di una comune attività criminale, dovesse fornire un’informazione errata o falsa. Infine, secondo il ricorrente, la tesi dello stratagemma per ottenere un prezzo inferiore sarebbe smentita dalle parole proferite dallo stesso COGNOME, il quale fa riferimento a una sostanza che era «uno schifo»; altrettanto viziata da illogicità sarebbe l’affermazione secondo cui sarebbero indefinite le coordinate identificative della cessione, essendo evidente che si tratta di cinquanta grammi di cocaina al prezzo di 40 euro al grammo.
Conclusivamente invoca l’annullamento della sentenza sul punto per un rinnovato esame alla stregua dei criteri di linearità logica indicati dalla giurisprudenza per la valutazione delle dichiarazioni captate tra terzi.
3.2. La difesa di COGNOME ha depositato tempestiva memoria con la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza del ricorso poichØ la statuizione di assoluzione da parte della Corte territoriale Ł coerente con il principio di diritto secondo cui, ai sensi dell’art. 533 c.p.p., la condanna può essere pronunciata esclusivamente alla presenza di una prova oltre ogni ragionevole dubbio, nel caso in esame non sussistente.
Ricorrono gli imputati, per mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, e deducono i motivi di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
NOME COGNOME con atto a firma degli avv. COGNOME denuncia due motivi di ricorso.
5.1. Con il primo lamenta violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e correlato vizio di motivazione per avere i giudici di merito attribuito valore di prova a frammenti di conversazioni captate tra persone diverse dall’imputato, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza e, comunque, non corredate da elementi di riscontro.
Dopo aver richiamato i principi espressi in sede di legittimità sul valore probatorio da attribuire alle captazioni tra soggetti terzi, il ricorrente deduce che quelle poste a fondamento dell’affermazione della responsabilità sarebbero del tutto prive delle necessarie linearità e chiarezza. Le esternazioni dei loquenti, infatti, fornirebbero notizia soltanto d’intenzioni e
desideri e non di fatti certi; le trascrizioni, di solito caratterizzate da intervalli sospensivi conseguenti all’incomprensibilità di molte parole pronunciate, sarebbero equivoche, sicchØ diversamente da quanto ritenuto in sentenza – esse non potrebbero avere la forza di prova diretta, bensì mero valore indiziario, necessitante di una valutazione probatoria correlata a tale natura.
Nelle p. da 8 a 18 del ricorso, si indicano specificamente, con riferimento a ciascun reato fine, le illogicità e le contraddittorietà contenute nella sentenza impugnata e inferite dai dialoghi intercettati. Segnatamente:
-quanto ai reati contestati ai capi 13), 14), e 15), commessi in data 11 febbraio 2018 o in data anteriore e prossima a questa, manca qualsiasi elemento di prova che NOME COGNOME avesse commissionato l’acquisto di un quantitativo di droga al fratello NOME e che quest’ultimo l’avesse consegnato a COGNOME, peraltro in un periodo in cui l’imputato neppure si trovava in Sardegna, sicchØ egli non poteva essere il gestore materiale della merce. Dal tenore delle captazioni sarebbe, invece, evidente che il carico oggetto del capo 13) fu soltanto un’aspirazione di NOME COGNOME mai concretizzatasi, diversamente da quanto illogicamente inferito dalla Corte territoriale dalle conversazioni dell’11 febbraio 2019 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-quanto ai delitti di cui ai capi 16) e 17), manca la prova che NOME COGNOME avesse commissionato l’acquisto della droga al fratello NOME, che questi l’avesse consegnata a COGNOME e che quest’ultimo, a sua volta, ne avesse organizzato il trasporto. La motivazione della Corte territoriale, che si fonda su passaggi delle conversazioni tra NOME COGNOME e COGNOME, Ł manifestamente illogica in quanto le frasi sono interpretate in un senso che non corrisponde univocamente al loro contenuto: un dialogo ha per oggetto il ritiro di un telefono (e non di stupefacente) e una seconda conversazione si riferisce a un viaggio del fratello ‘NOMECOGNOME e non di COGNOME; a ciò va aggiunto il carattere incerto, equivoco e frammentario delle captazioni;
quanto al delitto di cui al capo 18), commesso il 4 maggio 2019, si denuncia l’estraneità del contributo di COGNOME rispetto al sodalizio, trattandosi di una vicenda inerente a un trasporto di droga effettuato nell’interesse dei COGNOME da parte di uno dei loro fornitori abituali. La motivazione Ł altresì illogica perchØ associa assertivamente due accadimenti invece assolutamente distinti: il pagamento, in data 17 aprile 2019, effettuato a Milano da Vacca a una persona sconosciuta e il sequestro a Porto Aranci di sette kg di stupefacente, inviati ai fratelli COGNOME da un loro fornitore abituale. Osserva il ricorrente che nessun rilievo assumerebbe la circostanza che il 16 maggio 2019 NOME COGNOME riferiva a Sanna di aver appreso da COGNOME che l’arresto del corriere era probabilmente dovuto alla cattiva scelta dello scalo, poichØ non Ł provato che tale circostanza fosse nota a COGNOME prima dell’esito infausto e, anzi, secondo la tesi del ricorrente, se questo fosse stato coinvolto nell’affare illecito si sarebbe premurato di avvisare i complici per evitare lo sbarco.
5.2. Con il secondo motivo, si denuncia la violazione dell’articolo 74 d. P.R. n. 309 del 1970 e il correlato vizio di motivazione in punto di ribadita sussistenza della condotta di partecipazione di COGNOME al sodalizio finalizzato al traffico di stupefacenti contestato al capo 10).
La condanna si fonda esclusivamente sull’errata enfatizzazione della commissione da parte di COGNOME dei reati contestati nei capi da 13) a 18), dai quali si Ł desunto un inesistente ruolo di supporto logistico per il sodalizio; ciò che si era già censurato con l’atto di appello, senza ottenere adeguata risposta.
In particolare, si era censurata l’individuazione della genesi della partecipazione di
COGNOME al sodalizio nell’appartenenza di tutti gli imputati alla ‘ndrangheta in assenza di elementi che colleghino il ricorrente a tale consorteria: infatti, il collaboratore di giustizia COGNOME – pur riferendo del padre dell’imputato come affiliato alla ‘ndrangheta e dei suoi fratelli come trafficanti di stupefacenti – nulla ha riferito specificamente nei riguardi di COGNOME. Sono stati trascurati elementi indicativi della mancanza di volontà del ricorrente di far parte del gruppo dei COGNOME, rinvenibili: i) nella conversazione del 27 febbraio 2019, dalle quali risulta che COGNOME non fu invitato a incontri tra i maggiorenti nei quali si parlava di affari dell’associazione; ii) nella conversazione del 29 dicembre 2018 nella quale NOME COGNOME e NOME COGNOME s’interrogano sulle attività illecite che COGNOME svolgeva in Sardegna, segno evidente che non vi era un accordo associativo con l’imputato; iii) infine, nella conversazione del 27 febbraio 2019, che dà contezza di come COGNOME fosse tempestato da domande dei presunti sodali dirette a ottenere informazioni sull’attività di spaccio eventualmente svolta in autonomia in Sardegna.
Si denuncia come assertiva e contraddittoria la tesi sostenuta dal Giudice di appello che descrive COGNOME come soggetto avente una propria attività di narcotraffico sull’isola, unitosi al gruppo dei COGNOME per un interesse proprio, ma che avrebbe posto a disposizione le proprie energie criminali nella comune consapevolezza di assicurare un contributo in termini di stabilità del suo operato: l’affermazione non trova alcun riscontro obiettivo, difettando la prova che COGNOME si fosse accordato con il gruppo al fine di commettere una serie indeterminata di reati.
NOME COGNOME affida il proprio ricorso a due distinti atti.
6.1. Con atto a firma dell’avv. Diddi deduce sette motivi.
6.1.1. Con il primo motivo denuncia la violazione degli art. 266, 266bis e 267 cod. proc. pen. nonchØ art. 13 d.l. n. 152 del 1991, in punto di ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni indicate nei Rit n. 655 e n. 644 del 2018.
Come lamentato sin dalla fase dell’udienza preliminare, il decreto di convalida delle intercettazioni, disposte dal Pubblico ministero in via d’urgenza, sarebbe nullo perchØ la motivazione sarebbe costituita da un mero ‘copia e incolla’ del provvedimento dell’accusa, senza una valutazione autonoma di tali ragioni e, dunque, meramente apparente.
Secondo il ricorrente il Pubblico ministero avrebbe utilizzato indebitamente lo strumento dell’intercettazione ambientale disposta in via d’urgenza per la ricerca d’indizi di nuovi reati rispetto a quelli fino a quel momento oggetto del procedimento; la successiva effettiva emersione d’indizi della commissione di nuovi reati non può sanare expost il difetto dei presupposti che hanno viziato, sin dall’origine, il provvedimento adottato.
Manca, in ogni caso, il collegamento tra l’indagine in corso e la persona, nei cui confronti sono state disposte ed eseguite le intercettazioni d’urgenza, essendosi illegittimamente valorizzato unicamente il rapporto di parentela che legava il ricorrente all’indagato COGNOME 11 non essendovi invece, al momento dell’adozione del provvedimento di urgenza e della successiva convalida, ipotesi investigative che riguardassero entrambi o, comunque il ricorrente.
6.1.2. Con il secondo motivo, si denuncia la violazione dell’articolo 74 d.P.R. n. 309 del 1990 in punto di ritenuta esistenza di un’associazione per delinquere dedita al narcotraffico, alla presenza di piø fatti di violazione delle disposizioni in materia di stupefacenti commesse in concorso tra gli imputati.
L’affermazione della sussistenza del reato associativo Ł basata su postulati giuridici errati e senza alcun confronto da parte del Giudice di appello con le numerose censure sul punto.
In particolare, il ricorrente segnala un’evidente divergenza tra la genesi investigativa (che riguardava il reimpiego in Germania e all’estero dei proventi di pregresse attività dell’luttuose e l’approvvigionamento di sostanza stupefacente da paesi dell’America latina) e l’associazione per cui Ł condanna, poichØ i reati fine dell’ipotizzato sodalizio non rendono giustizia in termini di portata e dimensioni dell’ipotesi accusatoria avanzata. Osserva che le vicende piø rilevanti sulle quali si fonda la natura associativa sono rimaste al mero stadio d’ipotesi investigative e, in definitiva, la motivazione della Corte territoriale finisce per ritenere sussistente il reato come mera risultante di operazioni di piø fatti di compravendita di sostanza stupefacente, senza evidenziare gli elementi sulla scorta dei quali ha escluso la diversa ipotesi del concorso di piø persone nella commissione di piø reati di violazione della disciplina in materia di stupefacenti.
6.1.3. Con il terzo motivo, lamenta la violazione dell’articolo 192 cod. proc. pen. e il correlato vizio di motivazione in punto di ritenuta partecipazione dell’imputato al sodalizio di cui al capo 10).
Si denuncia come assertiva e illogica la motivazione della sentenza in cui si descrive il sodalizio quasi come avente carattere transnazionale e al tempo stesso contiguo con ambienti di crimine organizzato di stampo mafioso, attraverso il suggestivo richiamo alle risultanze investigative riguardanti la contiguità della famiglia COGNOME alla ‘ndrangheta , tuttavia, rimaste allo stadio di mere ipotesi investigative.
6.1.4. Con il quarto motivo, si denuncia la violazione di legge e il correlato vizio di motivazione in punto di ritenuta affermazione del ruolo di promotore, ovvero di organizzatore del suo sodalizio da parte dell’imputato.
Secondo il ricorrente, il Giudice di appello non si sarebbe pronunciato sulle obiezioni svolte alla sentenza di primo grado e, in particolare, con la tesi difensiva secondo cui poteva al piø ritenersi che il ricorrente fosse l’organizzatore dei singoli fatti illeciti commessi e non l’organizzatore del sodalizio, poichØ egli era descritto come «instancabile organizzatore di traffici di droga spesso da lui gestiti e coordinati in contemporanea su piø fronti territoriali», sicchØ Ł del tutto immotivata l’attribuzione di un ruolo verticistico.
6.1.5. Il quinto motivo denuncia il vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza dell’aggravante del numero degli associati.
Si denuncia come errata l’attribuzione al ricorrente di tale aggravante, anche sotto il profilo dell’ignoranza colpevole, non essendovi elementi sulla scorta dei quali ritenere che il ricorrente se ne fosse concretamente rappresentata l’esistenza.
6.1.6. Con il sesto motivo, si denuncia la violazione di legge in punto di ritenuta sussistenza dell’aggravante della natura armata di cui difettano i presupposti.
Il ricorrente osserva che la natura armata del sodalizio non può essere ricondotta come ha invece fatto il Giudice di appello – alla mera disponibilità di armi da parte degli associati ovvero alla generica dimestichezza con le stesse, elementi tratti dalle conversazioni intercettate – ma Ł necessario che questa disponibilità sia percepita all’esterno come elemento di connotazione del pericolo che promana dall’associazione.
6.1.7. L’ultimo motivo denuncia la violazione degli articoli 133 e 62bis cod. pen. e il correlato vizio di motivazione.
La motivazione di diniego del beneficio al ricorrente Ł fondata sui soli precedenti dell’imputato, senza alcuna valutazione della sanzione adeguata al caso concreto ai sensi dell’art. 133 cod. pen., soprattutto senza avere riguardo all’effetto conseguente all’applicazione degli aumenti di pena per la recidiva.
6.2. Con atto a firma degli avv. COGNOME e NOME sono denunciati sei motivi di ricorso.
6.2.1. Il primo motivo lamenta l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 in punto di ritenuta esclusione dell’ipotesi di cui all’art. 110 cod. pen.
Il motivo addebita alla sentenza impugnata le stesse censure formulate con il secondo motivo dell’atto di ricorso dell’avv. Diddi, ponendo particolare attenzione alla critica dei sette elementi, ivi puntualmente indicati, che il Giudice di appello aveva posto a fondamento della ritenuta esistenza di una societassceleris , avversando il ricorrente ciascuno di essi ed evidenziando come le censure, già contenute nell’atto d’appello, non avessero trovato alcuna adeguata risposta.
Si pone, inoltre, l’accento sull’errata valorizzazione della posizione di NOME COGNOME, utilizzata quale ‘cartina da tornasole’ dell’esistenza dell’associazione, che ha fuorviato i giudici di merito: la presenza di una figura criminale del calibro di COGNOME li ha, invero, indotti a concludere che le persone cui questi cedeva lo stupefacente fossero necessariamente organizzate in un gruppo criminale.
Nell’ultima parte del motivo, si rammentano le differenze che intercorrono tra un disegno criminoso che unisce i fatti illeciti realizzati in regime di continuazione e il progetto generico e indeterminato sul quale si fonda la costituzione del reato associativo, affermando che, nel caso in esame, ciò che potrebbe al piø configurarsi nel caso di specie Ł una sorta di ‘impresa familiare’ nella quale il vincolo di consanguineità rappresenta un fattore preponderante ed esaurisce e, di piø, sostituisce il legame che si vorrebbe ricondurre al paradigma dell’articolo 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
6.2.2. Con il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso si avversano rispettivamente la qualifica di promotore assegnata al ricorrente, la ritenuta sussistenza dell’aggravante del numero degli associati e della natura armata del sodalizio con argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle svolte nel quarto, quinto e sesto motivo di ricorso a firma dell’avvocato COGNOME, cui si rinvia.
6.2.3. Con il quinto motivo il ricorrente eccepisce la nullità della sentenza per inosservanza ed erronea interpretazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, in riferimento alla ritenuta duplicazione dei fatti contestati nelle imputazioni di cui ai capi 13) 14) 15) 16) e 17).
La censura riguarda l’errata esclusione del bis in idem riguardo a tali fatti invece sussistente perchØ si tratterebbe del medesimo quantitativo di stupefacente, continuativamente detenuto dall’imputato, sicchØ tale permanente situazione illecita impedirebbe di ritenere che possano configurarsi piø violazioni della norma penale incriminatrice.
6.2.4. Con l’ultimo motivo si denuncia la nullità della sentenza per illogicità della motivazione in punto di ribadito diniego delle circostanze attenuanti generiche e, piø in generale, della congruità del trattamento sanzionatorio.
Il ricorrente svolge doglianze in tutto sovrapponibili rispetto a quelle denunciate nel settimo motivo di ricorso a firma dell’avv. COGNOME cui si rinvia.
NOME COGNOMEcon unico atto a firma dell’avv. COGNOME denuncia due motivi.
7.1. Con il primo lamenta la violazione degli articoli 56 e 379 cod. pen. e vizio di motivazione per avere il Giudice di appello ribadito la sussistenza della fattispecie consumata del reato, nonostante l’azione non sia stata portata a termine per cause indipendenti dalla volontà dell’agente.
La condotta dell’imputato Ł consistita unicamente nell’aver detenuto una busta bianca contenente 14.000 € per pochissimi minuti e per non piø dei pochi chilometri che dividevano il cortile di Marvelli dal luogo dove erano appostati i militari che monitoravano in diretta la
consegna. Così ricostruita la condotta, l’azione realizzata dall’imputato, pur idonea ad aiutare COGNOME ad assicurarsi il prodotto di un reato, non era stata portata a termine perchØ interrotta sul nascere.
7.2. Con il secondo motivo, si denuncia il vizio di motivazione in punto d’individuazione della pena base per il piø grave reato, ossia quello di cui all’art. 495 cod. pen., contestato al capo 20), in misura doppia rispetto al minimo edittale.
Con l’atto di appello, il ricorrente aveva già lamentato l’eccessività della pena, alla stregua della condotta dell’imputato che aveva immediatamente spontaneamente ammesso le proprie vere generalità subito dopo aver fornito quelle false.
Illogica Ł, dunque, la motivazione con la quale il Giudice d’appello ha confermato la congruità della pena base, valorizzando la contiguità dell’imputato con il contesto delinquenziale cui fornì aiuto, poichØ non vi Ł prova del coinvolgimento del ricorrente in alcun altro reato che lo ponesse in relazione con gli imputati: la gravità del reato di falso Ł stata illogicamente sostenuta alla luce del reato di favoreggiamento, mentre si tratta di una condotta motivata unicamente dall’esigenza del ricorrente di celare il fatto che egli stava guidando con patente revocata.
NOME COGNOMEclasse 1982), con atto a firma dell’avv. avv COGNOME denuncia quattro motivi.
8.1. Il primo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta intraneità del ricorrente al sodalizio di cui al capo 10).
La Corte territoriale ha omesso di confrontarsi con plurime osservazioni, censure e rilievi rilevanti al fine di escludere la condotta di sua partecipazione al sodalizio, anche avuto riguardo al limitato tempo (meno di un anno, dal 2018 al 2019) di contestazione rispetto al piø ampio periodo di operatività del sodalizio.
Diversamente da quanto ritenuto in sentenza, secondo cui il ricorrente avrebbe procacciato clienti e fornitori nell’interesse del sodalizio, questi in realtà non ebbe mai a svolgere tale ruolo e, con riferimento agli asseriti clienti procacciati (Sanna, Piredda e Canu), non vi Ł nessun elemento di prova che consenta di ritenere oltre il ragionevole dubbio che le cessioni nei loro riguardi si siano realizzate grazie alla sua attività di intermediazione. Prova evidente sarebbe rinvenibile nella circostanza che da febbraio 2019 non si hanno piø elementi investigativi riconducibili al ricorrente, nonostante l’operatività dell’associazione fino al 2021.
Sarebbe privo di rilievo il fatto, indicato nella decisione impugnata come espressiva dell’appartenenza di NOME COGNOME all’associazione, che la sua famiglia, in costanza di regime detentivo, fosse economicamente assistita dai sodali che consegnavano alla moglie somme di denaro; ciò perchØ non sarebbe sufficiente il mero dato della consegna delle somme, essendo necessario provare che le stesse erano dovute per l’attività svolta per conto dell’associazione.
8.2. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’articolo 648ter cod. pen. e il correlato vizio di motivazione in relazione al fatto contestato al capo 43) dell’imputazione
L’affermazione secondo la quale le somme di denaro impiegate nell’operazione economica dell’apertura del bar di Alghero provenissero dall’associazione Ł frutto di una motivazione apodittica e assertiva, difettando la prova sull’ an e sul quantum della provvista economica che il ricorrente avrebbe investito in detto esercizio commerciale, peraltro a fronte di una contestazione che, invece, fa riferimento a un impegno di NOME COGNOME nella stessa operazione economica.
La Corte di appello non ha fornito nessuna risposta rispetto al rilievo attribuito ad alcune
conversazioni ambientali e telefoniche, puntualmente indicate nel ricorso, che sarebbero dimostrative del fatto che NOME COGNOME non finanziò l’operazione commerciale e che NOME COGNOME aveva beneficiato dell’aiuto economico di soggetti diversi.
8.3. Con il terzo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 99 cod. pen. e il connesso vizio di motivazione in punto di ribadita operatività della recidiva.
Il Giudice di appello non avrebbe assolto allo specifico onere di motivazione imposto dalla giurisprudenza di legittimità in punto di sussistenza e operatività in concreto della recidiva, ritenuta sulla mera base delle risultanze del certificato penale.
8.4. Con l’ultimo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’articolo 62bis cod. pen. e vizio di motivazione in punto di ribadito diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Giusta la tesi del ricorrente, assumerebbe particolare rilievo il ruolo meno pregnante rivestito in seno al sodalizio, deponendo in tal senso il fatto che nei suoi confronti non sono state elevate contestazioni per reati fine; si lamenta la posizione sperequata rispetto ad altri computati, cui il beneficio Ł stato negato, ma che sono stati riconosciuti responsabili di un numero cospicuo di reati fine.
NOME COGNOME affida le sue censure a due atti di ricorso.
9.1. Con il ricorso a firma dell’avvocato COGNOME denuncia i seguenti cinque motivi.
9.1.1. Con il primo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta partecipazione del ricorrente al sodalizio contestato al capo 10).
La sentenza di appello non ha risposto alle censure inerenti al narrato del collaboratore di giustizia NOME COGNOME e al contenuto di alcune intercettazioni ambientali captate nell’abitazione di NOME COGNOME.
Sotto il primo profilo, evidenzia l’omesso approfondimento delle dichiarazioni del collaboratore che, alla luce di numerose discrasie e affermazioni generiche, si palesano come elaborazione di fatti notori, frammisti a conclusioni o considerazioni personali; Ł stato scarsamente considerato il giudizio negativo espresso in altra sentenza di appello sul conto di detto collaboratore di giustizia.
Quanto alla portata probatoria delle conversazioni captate tra terzi, si evidenzia come il riferimento alla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il loro contenuto può costituire fonte diretta di prova, qui troverebbe il limite nel fatto che il contenuto non chiaro e univoco avrebbe reso necessaria una valutazione piø rigorosa.
Si avversa la sicura individuazione nell’odierno colloquiante indicato alternativamente come ‘COGNOME‘ o ‘il Tedesco’ e se ne contesta l’attribuzione del ruolo di vertice, assegnato in assenza di elementi univocamente convergenti in tal senso: si era attribuito all’imputato il potere di curare e seguire personalmente il reimpiego dei proventi delle attività illecite avviate in Germania nel settore della ristorazione, ma già in esito al giudizio di primo grado egli Ł stato assolto dalle imputazioni di cui ai capi 44) e 45), concernenti contestazioni di auto riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori.
Conclusivamente, secondo il ricorrente la decisione impugnata non avrebbe risolto il tema della partecipazione, peraltro con ruolo verticistico, all’associazione contestata.
9.1.2. Con il secondo motivo, denuncia la violazione di legge e il correlato vizio di motivazione per travisamento della prova e omesso esame di dati probatori decisivi in ordine alla qualità di organizzatore, promotore e finanziatore dell’associazione.
Ricollegandosi alle censure contenute nel motivo precedente, la difesa contesta che la decisione impugnata sia disallineata rispetto ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fini dell’attribuzione della qualifica verticistica di un’associazione, Ł necessaria la verifica dell’effettivo esercizio di questo ruolo che sia riconoscibile all’esterno
oltre che nell’ambito del sodalizio, realizzando un effettivo risultato di assoggettamento. ¨ invece emerso che l’imputato non godeva di alcuna fiducia da parte degli asseriti sodali. Peraltro, osserva il ricorrente, tale ruolo sarebbe sostanzialmente incompatibile con una condotta partecipativa esauritasi in un tempo davvero limitato.
9.1.3. Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta natura armata del sodalizio.
La decisione impugnata si sarebbe affidata, sul punto, a un’insoddisfacente motivazione per relationem riguardante la posizione del coimputato NOME COGNOME Il ricorso svolge considerazioni sul punto del tutto analoghe a quelle svolte nei ricorsi di NOME COGNOME, in tema di difetto di prova della riconducibilità, sotto il profilo soggettivo, dell’aggravante al ricorrente.
9.1.4. Il quarto motivo concerne la violazione dell’art. 99 cod. pen. e vizio di motivazione in punto di mancata esclusione dell’operatività della recidiva.
L’aggravante controversa Ł stata confermata con il ricorso a mere formule di stile e con il richiamo a un precedente specifico risalente a ben sedici anni prima rispetto all’epoca di operatività del sodalizio.
9.1.5. Con il quinto motivo denuncia la violazione dell’articolo 62bis cod. pen. e il vizio di motivazione in punto di ribadita esclusione delle circostanze attenuanti generiche.
Censura l’illogicità di una motivazione che pone il ricorrente sullo stesso piano di altri coimputati, ritenuti responsabili di un numero cospicuo di reati fine, e della mancata considerazione del ruolo meno pregnante rivestito in seno al sodalizio.
9.2. Con il ricorso a firma dell’avvocato COGNOME il ricorrente denuncia quattro motivi.
9.2.1. Con il primo, articolatissimo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e il correlato vizio di motivazione, in punto di ribadita partecipazione al sodalizio.
Il motivo si muove dichiaratamente su tre direttrici principali e, segnatamente, i) l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione con cui il Giudice di appello ha confermato la causale delle trasferte all’estero svolte dal ricorrente; ii) l’impossibilità di ritenere che la condotta materiale del ricorrente, anche così come ricostruita dalla stessa sentenza impugnata, soddisfi i requisiti minimi per poter essere ritenuta di partecipazione a un sodalizio criminale e, comunque, certamente non con ruolo apicale; iii) infine l’illogicità e la sostanziale carenza di motivazione in punto di valutazione delle dichiarazioni accusatorie rese dal collaboratore di giustizia COGNOME
Nella prima parte del ricorso si ripercorre il ragionamento del Giudice di secondo grado, indicando le condotte da questi valorizzate al fine di inferirne la partecipazione al sodalizio.
Nelle p. da 5 a 9, attraverso una dettagliata analisi della motivazione del Giudice di appello sul narrato del collaboratore di giustizia COGNOME si lamenta la sostanziale disapplicazione dei principi statuiti dalla Corte di legittimità in punto di vaglio di attendibilità delle popolazioni dei ‘pentiti’, evidenziando come – nel caso di specie – le stesse siano state strumentalmente poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità del ricorrente, nonostante il collaboratore avesse riferito di fatti risalenti a un periodo ampiamente antecedente a quello oggetto di contestazione.
Il ricorso passa, quindi, a indicare una serie di specifiche censure, già contenute nell’atto di appello, che non avrebbero trovato risposta nella sentenza impugnata, quali: i) il rilievo dell’errato riconoscimento fotografico dell’odierno imputato; ii) l’insufficienza, ove non la paradossalità, della motivazione sugli asseriti elementi di riscontro al narrato del collaboratore, quali l’arresto del fratello NOME COGNOME (classe 72) ovvero l’arresto di
COGNOME NØ, ad avviso della difesa, Ł sufficiente affermare, come ha fatto la Corte distrettuale, che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia costituiscono un mero elemento di contorno rispetto alle prove assunte direttamente nel procedimento e, segnatamente, le intercettazioni.
Nelle p. da 9 a 12, il ricorso procede a una analisi critica della motivazione del Giudice di appello secondo cui la prova della partecipazione del ricorrente al sodalizio sarebbe ravvisabile nella partecipazione a una serie di trasferte all’estero finalizzate al reperimento di forniture di stupefacente nell’interesse del gruppo criminale.
Si censura che il Giudice di appello si sia limitato a una sintesi delle risultanze investigative già valorizzate da quello di primo grado, sostanzialmente consistenti in alcune intercettazioni ambientali captate presso l’abitazione di NOME COGNOME e negli esiti delle investigazioni della cosiddetta operazione RAGIONE_SOCIALE, senza alcun confronto con le critiche difensive e con l’indicazione di dati di conoscenza incompatibili con la tesi prospettata dall’Accusa. Si fa, in particolare, riferimento a una conversazione telefonica intercettata dalla polizia tedesca il 27 gennaio 2019 che, secondo l’impostazione difensiva, avendo come oggetto non equivoco l’acquisto di un ristorante, unita alla natura ambigua delle restanti conversazioni, avrebbe dovuto insinuare un ragionevole dubbio rispetto alla ricostruzione dei fatti proposta dalla pubblica accusa. La Corte di appello, nel liquidare sbrigativamente la questione, avrebbe trascurato un dato di fatto assolutamente decisivo e incontestato, ossia che il ricorrente aveva interessi e gestiva effettivamente attività nell’ambito della ristorazione. L’omessa valutazione di tale circostanza, pertanto, avrebbe particolare rilievo e contribuirebbe a disarticolare l’inferenza logica affermata in sentenza secondo cui il riferimento alla ristorazione era un espediente per mascherare il reale oggetto del dialogo. Si tratterebbe, secondo il ricorrente di un plateale travisamento della prova, incidente sulla motivazione.
Si censura, nelle successive p. 12 e s., l’apoditticità dell’argomento ritenuto dimostrativo dell’affectiosocietatis , ossia la disponibilità, da parte del ricorrente, di un telefono criptato. Sotto questo profilo, in primo luogo si denuncia l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione con cui i Giudici di merito hanno ritenuto acclarato l’assunto di partenza, ovverosia la disponibilità da parte del ricorrente del criptofonino, poichØ Ł la stessa Corte territoriale che riconosce la natura equivoca del riferimento all’appellativo ‘COGNOME‘, ammettendo che il medesimo non consente un’identificazione certa; tale affermazione fuga ogni dubbio rispetto alla possibilità di valorizzare in chiave accusatoria la conversazione in cui si fa riferimento a tale COGNOME, quale detentore del criptofonino. Sotto altro profilo, il ricorrente osserva che il semplice fatto della disponibilità di tale oggetto Ł compatibile con una miriade di prospettazioni alternative e, comunque, con il coinvolgimento del ricorrente in qualsiasi attività illecita diversa e alternativa rispetto alla partecipazione al sodalizio di cui al capo 10).
Nelle pagine 18 e s. s’indicano le numerose evidenze investigative inconciliabili con la ritenuta partecipazione del ricorrente al sodalizio e, in particolare, sono valorizzate alcune captazioni nelle quali il ricorrente Ł apostrofato negativamente o, comunque, Ł tenuto fuori dalle questioni inerenti all’associazione, rimarcandosi l’assenza di prova che il ricorrente abbia preso parte ad alcuna attività per conto dell’associazione in epoca successiva al fallimento delle trattative per la fornitura di stupefacenti intercorse nell’autunno del 2018.
Il ricorrente lamenta come, in ogni caso, la Corte di appello abbia aderito a una nozione di partecipazione punibile non coerente con i piø aggiornati approdi della giurisprudenza di legittimità. Richiamati, infatti, i principi enucleati nella sentenza Mannino delle Sezioni unite e
ripresi dalla giurisprudenza successiva in punto di necessità, ai fini della valutazione dell’appartenenza a un gruppo, che l’agire del soggetto attivo presenti un quid pluris rispetto alla semplice manifestazione di disponibilità verso la consorteria o alla mera attribuzione formale di un ruolo, ossia comportamenti concreti tesi ad agevolare il perseguimento degli scopi dell’associazione, non meramente potenziali, ha osservato che detti principi sono tanto piø rilevanti con riferimento al sodalizio finalizzato al narcotraffico, che persegue una finalità ben piø specifica rispetto a quelle delineate dall’associazione di stampo mafioso. Si conclude pertanto che Ł sufficiente raffrontare tali insegnamenti con alcune specificità nella vicenda in esame, perfino come ricostruita nella sentenza impugnata, per accorgersi che, aldilà del formale ossequio rivolto alla giurisprudenza appena ricordata, la Corte di appello si Ł discostata da tali coordinate, aderendo a un concetto di partecipazione del tutto difforme ed errato.
In particolare, la difesa contrasta l’affermazione del Giudice di appello, secondo il quale le trasferte svolte dal ricorrente sarebbero indicative della sua condotta partecipativa. Ciò perchØ, secondo la stessa ricostruzione accolta in sentenza, tali trasferte sarebbero state funzionali al tentativo, poi naufragato, di pianificare e realizzare un’unica, specifica e isolata importazione di sostanza stupefacente. Se ciò Ł vero, Ł fuorviante e costituisce un profilo di contraddittorietà nella sentenza il riferimento al contributo offerto dall’odierno ricorrente come finalizzato alla «ricerca di nuovi canali di rifornimento», poichØ – secondo quanto la stessa Corte ha affermato in altra parte della motivazione – gli spostamenti di NOME COGNOME sarebbero stati al piø volti organizzare, definire e rimediare agli inconvenienti relativi a un’unica, specifica importazione.
Osserva la difesa che, al fine di escludere la condotta partecipativa del ricorrente, sarebbe stato sufficiente prendere in considerazione una serie di circostanze contestate ed emergenti dalla stessa ricostruzione in fatto accolta dai giudici di merito e, segnatamente: i) il fatto che l’organizzazione di cui al capo 10) preesisteva ed era operativa in epoca antecedente ai viaggi effettuati dal ricorrente; ii) che tali viaggi non ebbero alcun esito, non avendo dato luogo a nessuna importazione; iii) che l’organizzazione godeva di fonti di rifornimento, mezzi e luoghi per lo stoccaggio dello stupefacente nonchØ canali di distribuzione del tutto rodati, sui quali non ha minimamente influito alcuna condotta del ricorrente; iv) che la organizzazione ha continuato a operare anche dopo i viaggi all’estero compiuti dal ricorrente e il fallimento di quella operazione; v) che l’infruttuoso contributo prestato dal ricorrente in favore dell’organizzazione si sarebbe sostanziato unicamente nell’intavolare delle trattative per l’acquisto dello stupefacente in un ambito temporale assolutamente circoscritto, trattandosi di un’operazione isolata.
Non Ł stata, dunque, fornita adeguata motivazione sul modo con cui NOME COGNOME avrebbe assicurato la funzionalità dell’organismo criminale in cui sarebbe stato inserito, avendo l’associazione operato continuativamente e sulla scorta di una struttura organizzativa del tutto indipendente dal suo apporto.
9.2.2. Con il secondo motivo, si denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di ritenuta esistenza della natura armata dell’associazione.
La Corte territoriale ha fornito alla doglianza difensiva una risposta affatto superficiale, senza risolvere la duplice questione riguardante la prova che il possesso delle armi da parte di singoli partecipi fosse correlato agli scopi e all’operatività dell’associazione e che il ricorrente ne avesse piena consapevolezza, dovendosi imputare l’aggravante soggettiva solo ove tal elemento fosse provato.
9.2.3. Con il terzo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 99 cod. pen. e il vizio di
motivazione in punto di ribadita operatività della recidiva.
L’aumento Ł operato in spregio alla sentenza CalibŁ delle Sezioni unite che impone al giudice di merito l’onere di verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore; principio che ha trovato autorevole e definitiva conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 185 del 2015 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 99, quarto comma, cod. pen. nella parte in cui prevede(va) l’obbligatorietà del relativo aumento di pena.
Con riferimento al caso concreto, il ricorrente lamenta la mancata considerazione delle censure poste con l’appello e, segnatamente, che l’unico precedente penale della stessa indole Ł risalente al 2002, ossia a ben 16 anni prima dell’epoca di contestazione del reato associativo e che le altre condanne risalgono a epoca ancora piø remota (1990 e 1991).
9.2.4. Con l’ultimo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’articolo 62bis e il correlato vizio di motivazione.
Si denuncia la natura perplessa e contraddittoria della motivazione che valorizza in via pressochØ esclusiva la posizione apicale contestata al ricorrente, secondo un criterio del tutto non condivisibile, poichØ frutto di un automatismo tra il ruolo verticistico e diniego delle generiche.
10.Anche NOME COGNOMEclasse 1963), affida le sue doglianze a due atti di ricorso.
10.1. Il ricorso redatto dall’avv. COGNOME si articola in sette motivi.
10.1.1. Il primo denuncia la violazione dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e degli artt. 192, 546 e 597 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione in punto di affermata partecipazione con ruolo apicale al sodalizio di cui al capo 10).
Si censura la motivazione del Giudice di appello che ha valorizzato, in chiave accusatoria: i) le conversazioni del 27 febbraio 2019 e del 18 agosto 2018, che attestano l’uso da parte del ricorrente di un criptofonino; ii) la conversazione del 25 novembre 2018, a riprova del fatto che l’imputato era il preposto alla determinazione del prezzo di cessione dello stupefacente; iii) la conversazione del 18 ottobre 2018, inerente alle trattative in Olanda per l’acquisto di sostanza stupefacente; iv) infine, la conversazione tra NOME e NOME e COGNOME, nella quale si commenta la mancata consegna della sostanza. Da tali conversazioni, infatti, non si ricava la prova di alcun contributo rilevante per l’associazione rilevanti, men che mai di tipo apicale, nØ tantomeno vi Ł prova della consapevolezza dell’imputato di agire per rafforzare o agevolare un’organizzazione dedita al traffico.
Si denuncia, inoltre, che le conversazioni in parola sono state valutate come prova diretta della responsabilità, mancando i requisiti della chiarezza e della univocità, richiesti dalla giurisprudenza di legittimità: i colloquianti parlano in stretto dialetto calabrese e, comunque, non svolgono mai alcun riferimento, nØ espresso nØ criptico, alla sostanza stupefacente.
Neppure sono idonee a sostenere la prova del coinvolgimento, peraltro con ruolo apicale, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME. La motivazione della Corte di appello Ł manifestamente illogica e incorre in un travisamento della prova quando, a p. 129, fa riferimento alla «risalente operatività di COGNOME nel settore del narcotraffico, per come riferita dal collaboratore COGNOME, in tema di attività svolta in società con i germani», poichØ questi ha posto in collegamento l’imputato non già con gli ambienti del narcotraffico, ma con quelli di ‘ndrangheta e, tuttavia, nel presente processo non Ł stata contestata l’aggravante mafiosa.
10.1.2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 74, comma IV, d.P.R. n. 309 del 1990 e dell’art. 59, secondo comma, cod. pen. e il vizio di motivazione in
punto di ribadita sussistenza della natura armata dell’associazione.
Con argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte nei ricorsi dei coimputati, si lamenta che l’aggravante sarebbe stata ritenuta erroneamente sussistente sulla scorta di conversazioni telefoniche in cui si fa riferimento a episodi generici, cui comunque il ricorrente Ł estraneo. Difetterebbe, in ogni caso, la prova del coefficiente di prevedibilità concreta in capo allo stesso circa la disponibilità di armi da parte dell’associazione.
10.1.3. Con il terzo motivo Ł denunciata la violazione dell’art. 74, comma 3, d.P.R. n. 309 del 1990 e il correlato vizio di motivazione sull’aggravante del numero dei partecipi.
L’aggravante certamente non sussiste, dovendosi avere riguardo all’effettiva compagine del sodalizio e non al numero degli imputati. Difetta, in ogni caso, la prova della consapevolezza o della colposa ignoranza da parte del ricorrente di una tale articolazione, trattandosi di rapporti tra familiari.
10.1.4. Con il quarto motivo denuncia la violazione degli art. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990 e vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova, con riferimento alla ribadita responsabilità del ricorrente per il capo 12).
Il giudice di appello avrebbe omesso di confrontarsi con le plurime doglianze difensive rispetto all’affermazione contenuta nella sentenza di primo grado, secondo cui la responsabilità del ricorrente sarebbe rinvenibile nella conversazione ambientale intercettata il 27 febbraio 2019, attestante che il carico di stupefacente per il quale NOME COGNOME aveva subito l’arresto era stato commissionato dal ricorrente e da suo fratello NOME
10.1.5. Con il quinto motivo si denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento,con riferimento alla ribadita responsabilità del ricorrente per il capo 13).
Sul punto il ricorrente lamenta il travisamento della prova e la manifesta illogicità della motivazione secondo cui la responsabilità dell’imputato si ricaverebbe da tre colloqui captati in ambientale tra NOME COGNOME (classe 82) e NOME COGNOME poichØ la droga oggetto dell’imputazione (12 ‘pacchi’ corrispondenti, in ipotesi accusatoria, a 12 chili di cocaina) non Ł mai stata sequestrata, nØ sono stati disposti servizi di osservazione e controllo e secondo la stessa imputazione e la ricostruzione dei giudici di merito – il ricorrente non aveva posto in essere alcuna delle condotte materiali oggetto di contestazione.
10.1.5. Con il sesto motivo denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova, in punto di ribadita affermazione di responsabilità per il capo 15).
Il ricorrente svolge critiche analoghe a quelle del ricorso precedente, in punto di travisamento delle conversazioni richiamate a pagina 136 della sentenza di secondo grado.
Osserva, inoltre, che per tale capo d’imputazione varrebbero le stesse considerazioni che sono valse al ricorrente l’assoluzione dal capo 22), difettando le coordinate qualitative, quantitative, di tempo e luogo della cessione, sicchØ – a fronte di tale equivocità probatoria non può ritenersi provata, oltre il ragionevole dubbio, la condotta. Tale ragionamento doveva essere applicato anche ai reati di cui ai capi 12), 13) e 15).
10.1.7. Con il settimo motivo denuncia la violazione degli articoli 62bis e 133 cod. pen. in punto di ribadito diniego delle circostanze attenuanti generiche e di erroneità della pena irrogata, in eccesso nonostante l’assoluzione del ricorrente dal capo 22).
Quanto alle circostanze attenuanti generiche, il ricorrente riprende la motivazione con cui la Corte costituzionale, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 74 d.P.R. n. 309 del 1990, ha tuttavia affermato che, con riferimento alla fattispecie criminosa dell’associazione finalizzata al narcotraffico, si registra
«una frattura sanzionatoria tra l’ipotesi ordinaria e l’ipotesi lieve del reato» analoga a quella censurata con la sentenza della stessa Corte n. 40 del 2019 relativamente all’art. 73d.P.R. n. 309 del 1990, pur affermando che al problema denunciato non Ł possibile porre rimedio mediante l’allineamento dei minimi edittali della fattispecie piø grave ai massimi di quella meno grave. La stessa Corte costituzionale, osserva ancora il ricorrente, ha auspicato un sollecito intervento del legislatore al fine di rimuovere detta anomalia sanzionatorie.
In tale contesto, Ł al Giudice di merito che Ł demandato il compito d’individualizzare quanto piø possibile la pena «utilizzando con coraggio gli strumenti di contenimento e adeguamento della sanzione e, tra questi, appunto quello delle circostanze attenuanti generiche» (così nel ricorso).
Sotto altro profilo, il ricorrente denuncia l’erroneità della pena da infliggere all’imputato perchØ, eliminando l’aumento per continuazione, pari a sei mesi di reclusione derivante dall’assoluzione per il capo 22), il Giudice di appello ha operato una riduzione di soli quattro mesi (inferiori ai sei mesi stabiliti dal giudice di primo grado), con conseguente violazione del divieto della reformatio in peius .
10.2. Il ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME si articola in cinque motivi.
10.2.1. Con il primo denuncia l’erronea applicazione della legge penale e il vizio di motivazione in punto di ritenuta partecipazione di NOME COGNOME all’associazione di cui al capo 10).
Il ricorso svolge considerazioni in parte analoghe a quelle svolte dal co-difensore, non senza rimarcare come la Corte di appello avrebbe mancato di rispondere ai motivi di gravame su aspetti decisivi, concernenti la responsabilità penale del ricorrente, sovente incorrendo in clamorosi travisamenti delle risultanze probatorie.
Anticipando le conclusioni della difesa, la Corte territoriale – con riferimento alla posizione processuale del ricorrente – avrebbe dapprima affermato la condotta di partecipazione all’associazione sul solo presupposto di essere il fratello maggiore dei COGNOME che, in occasione di due conversazioni tra terzi, Ł descritto come soggetto cui i germani prestano particolare ascolto; quindi da tale ruolo ha dedotto che egli fosse il procacciatore abituale dello stupefacente commerciato dai fratelli; infine ha utilizzato tale elemento, frutto di una mera deduzione, come prova della sua partecipazione al sodalizio. In tal modo la motivazione avrebbe creato un inammissibile cortocircuito probatorio, integrante il vizio di motivazione.
Il ricorso svolge, dunque, un’articolata analisi critica dei capisaldi della decisione di appello e, segnatamente: i) muovendo dalla considerazione che l’associazione oggetto di contestazione Ł circoscritta temporalmente tra ottobre 2018 e la prima metà del 2019, evidenzia come sia assolutamente ininfluente, sotto il profilo dimostrativo, l’indicazione di una sua partecipazione ad attività criminali in epoca precedente. Sul punto si lamenta che i Giudici di merito, in assenza di elementi di prova riguardanti il reato associativo contestato al capo 10), hanno evocato il suo spessore criminale e l’antica adesione ad altre compagini criminali, mai contestate o per le quali non risulta alcuna condanna; ii) del pari prive di rilievo sono le due conversazioni poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità, che non contengono alcun accenno al traffico di stupefacenti. Il coinvolgimento Ł, dunque, frutto dell’errata deduzione, inferita dalla circostanza che, quando nelle conversazioni si parla di ‘zio NOME, ossia il ricorrente, come fratello piø grande e autorevole, il riferimento sarebbe ad attività criminose; iii) il ricorrente lamenta l’errato sillogismo secondo cui il possesso da parte dell’imputato di un criptofonino lo qualifica automaticamente come partecipe del sodalizio.
Conclusivamente, il ricorrente lamenta il mancato vaglio della posizione processuale del
ricorrente alla luce dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, ampiamente citata nel ricorso, in punto di valutazione degli indizi e di valutazione della prova costituita da intercettazioni captate tra terzi, giungendo a una motivazione che pretende di fondare l’affermazione della responsabilità del ricorrente su una mera sommatoria «di circostanze neutre». Si evidenzia, sotto questo profilo, che le forniture di sostanza stupefacente provenienti dal ricorrente non potrebbero mai essere qualificate come essenziali o indispensabili al mantenimento in vita dell’attività associativa che operava e ha continuato a operare dopo le condotte asseritamente tenute dal ricorrente. E, d’altro canto, si sottolinea che la mera ripetizione di reati fine non Ł che un eventuale sintomo del reato associativo che presuppone ben altri elementi per ritenere la prova della sua sussistenza e, soprattutto, che la condotta abbia superato la soglia del concorso di persone nel reato. Verifica che la Corte di appello avrebbe omesso con particolare riferimento alla posizione di stabile acquirente di droga, rispetto al quale Ł imposto un onere motivazionale stringente in considerazione della peculiare posizione del soggetto portatore di un interesse economico contrapposto rispetto a quello dell’organizzazione, laddove la partecipazione al gruppo postula che, nonostante il descritto naturale conflitto di interessi, vi sia la coscienza e volontà del singolo di assicurare, mediante il continuativo approvvigionamento dello stupefacente, il proprio stabile contributo alla realizzazione degli scopi del sodalizio. Tale elemento non può essere certamente individuato, come pretende la Corte territoriale, nella mera esistenza di legami di sangue tra i protagonisti.
10.2.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione di legge e il correlato vizio di motivazione in punto di ribadita posizione apicale del ricorrente nel sodalizio.
La motivazione contenuta a p. 132 della sentenza impugnata non rispetta i parametri cui la giurisprudenza di legittimità subordina la qualificazione del partecipe alla stregua di capo, promotore o organizzatore, trattandosi di ruoli infungibili di coordinamento, di procacciamento di nuove adesioni, ponendosi il soggetto come centro propulsivo dell’attività dell’associazione, mentre il ricorrente sarebbe, al piø, un fornitore abituale del sodalizio.
10.2.3. Con il terzo motivo lamenta il vizio di motivazione in punto di ribadita affermazione di responsabilità per il capo 12) dell’imputazione.
Si censura la mancata indicazione, nonostante le doglianze in appello, degli elementi sulla base dei quali il ricorrente Ł stato ricollegato allo stupefacente rinvenuto a bordo dell’autoarticolato condotto da NOME COGNOME e l’illogicità della deduzione che la Corte territoriale che rinviene tale prova nella conversazione, avvenuta diversi mesi dopo quel fatto, nella quale il ricorrente mostra di essere a conoscenza delle modalità che avevano portato all’arresto di COGNOME, trascurando che questi Ł uno stretto parente dei COGNOME e che la conoscenza postuma da parte sua di tali circostanze non Ł elemento di prova della partecipazione a quella fornitura.
10.2.4. Con il quarto motivo si denuncia vizio di motivazione in punto di ribadita affermazione di responsabilità per il fatto di cui al capo 13).
Anche con riferimento a tale reato, il ricorrente – con argomenti che riprendono quelli del co-difensore – denuncia che la prova sarebbe costituita da un’unica frase intercettata tra NOME COGNOME e NOME COGNOME Osserva la difesacome quella frase costituisca una dichiarazione autoaccusatoria senz’altro a carico di NOME COGNOME ma non nei riguardi di NOME, rappresentando al limite un indizio, perchØ NOME non accusa direttamente il fratello di essere l’autore della spedizione, ma si limita a fare riferimento al fratello per affermare che con questi dovrà discutere di nuovi trasporti da effettuare in autonomia.
10.2.5. Con il quinto motivo si denuncia il vizio di motivazione per carenza e
contraddittorietà di motivazione in punto di ribadita affermazione di responsabilità per il fatto contestato al capo 15) dell’imputazione.
Sono svolte censure analoghe a quelle del co-difensore. Si denuncia che il Giudice di appello avrebbe valorizzato una serie di conversazioni inter alios, pretendendo inammissibilmente di dedurre da una circostanza incerta un’ulteriore circostanza incerta: incerta era la partecipazione di NOME COGNOME al trasporto di cui al capo 13), sicchØ per tale via non si può ritenere tale circostanza dimostrativa della responsabilità di questi con riferimento all’ulteriore condotta contestata al capo 15) sol perchØ svolta con il medesimo modus operandi .
NOME COGNOMEclasse 1986), con atto a firma di dell’avv. Contestabile,denuncia i seguenti tre motivi.
11.1. Con il primo deduce vizio di motivazione in punto di ribadita identificazione dell’imputato nel soggetto alternativamente indicato come ”Ntoni Black’, ‘Cinghia’ e ‘Cinghialino’.
La difesa lamenta la svalutazione degli elementi prospettati con l’appello a supporto dell’incertezza dell’attribuzione di detti nomignoli, rimarcando sia le incongruenze con riferimento a titoli di parentela, sia l’uso promiscuo di tali soprannomi; ciò che ne minerebbe la sicura attribuzione al ricorrente.
11.2. Con il secondo si riprende il tema dell’identificazione del ricorrente e della promiscuità dei nomignoli a questo ritenuti riferibili, denunciandosi l’illogicità della motivazione in punto di ritenuta partecipazione del ricorrente nell’associazione contestata al capo 10).
La sentenza sarebbe carente di una esaustiva motivazione in punto di messa a disposizione consapevole e continuativadelle proprie energie criminali in favore del sodalizio. Si valorizza l’omessa considerazione dell’assenza di contestazioni concernenti i reati fine sicchØ sarebbe stata violata la regola di giudizio della condanna oltre ogni ragionevole dubbio.
11.3 Con il terzo motivo deduce in primo luogo l’illogicità della motivazione in punto di mancata esclusione dell’aggravante della natura armata del sodalizio, ritenuta sussistente a carico del ricorrente senza alcuna verifica dell’ascrivibilità soggettiva.
In secondo luogo, denuncia la contraddittorietà della motivazione in punto di ribadita mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, attesa la difformità dei criteri applicati rispetto ai coimputati e l’omessa considerazione del corretto comportamento processuale e della marginalità del ruolo svolto dal ricorrente.
11.4. La difesa ha depositato motivi aggiunti.
11.4.1. Si pone, con essi, il tema dell’utilizzabilità delle conversazioni scambiate dagli imputati tramite criptofonini e acquisite attraverso l’Ordine investigativo europeo da parte dell’autorità giudiziaria francese, alla stregua dei principi posti dalle recenti sentenze delle Sezioni unite che hanno affrontato detto argomento.
La questione si pone, ad avviso della difesa, poichØ Ł la stessa sentenza impugnata che conviene con le difese circa la scarsa chiarezza sulle modalità di acquisizione dei dati probatori da parte dell’Autorità giudiziaria francese.
E, sulla scorta del decisum delle Sezioni Unite, si tratta di una circostanza di fondamentale importanza, alla cui stregua si deve accertare se i dati acquisiti nel procedimento italiano erano già esistenti in un procedimento francese o se si Ł trattato d’intercettazioni in corso di esecuzione, poichØ in tale ultimo caso l’acquisizione avrebbe dovuto rispondere ai requisiti riguardanti l’acquisizione delle intercettazioni telefoniche, ben
diversi dal caso in cui vengano acquisiti dati cosiddetti ‘freddi’. Che, nel caso che ci occupa, si trattasse di acquisizione in fase dinamica sarebbe reso evidente dal tenore delle conversazioni intercettate.
Il ricorrente riprende, poi, il tema della prova dell’appartenenza alla ritenuta associazione per delinquere e all’attribuzione allo stesso dei nomignoli su indicati, riproponendo, attraverso una ulteriore articolazione, le censure già contenute nel primo motivo del ricorso principale.
Nell’ultima parte dei motivi aggiunti si ripropongono le censure in punto di ritenuta natura armata del sodalizio e di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
NOME COGNOMEclasse 1990), con unico atto a firma dell’avv. Contestabile, denuncia due motivi (per mero lapsus calami il secondo motivo Ł indicato come ‘III’).
12.1. Con il primo lamenta il vizio di motivazione in punto di ritenuta partecipazione del ricorrente al sodalizio contestato al capo 10).
La Corte territoriale ha aderito acriticamente al ragionamento motivazionale del Giudice di primo grado, senza confrontarsi con le specifiche doglianze difensive, con particolare riguardo a quelle sulla natura incerta dei traffici e degli interessi del sodalizio in Germania, immotivatamente ritenuti non rilevanti, e ha confermato il ruolo di corriere e di soggetto dedito alla funzione di recupero dei creditinonostante il suo nome non sia tra i corrieri del gruppo. Secondo la difesa ci si troverebbe dinanzi a una rara ipotesi di corriere di droga cui non sono contestati episodi di spaccio di sostanza stupefacente.
Sotto altro profilo denuncia che la contestazione del ruolo di partecipe dell’associazione con il ruolo, tutto sommato modesto, di corriere, viene ‘trasformata’ in quella di successore di ‘NOME NOME‘, vertice del sodalizio, in netta contraddizione con il capo d’incolpazione nel quale si riferisce in termini assai generici in punto di preteso avvicendamento tra Zio e nipote alla guida del gruppo. La pronuncia sarebbe priva di elementi che indichino l’effettivo ruolo svolto dal ricorrente all’interno dell’associazione all’indomani dell’arresto di zio NOME, quali fossero gli affari imprenditoriali e gli interessi del sodalizio in cui egli sarebbe stato coinvolto infine quale il dinamico e concreto contributo ha portato al gruppo. La Corte territoriale avrebbe violato la regola di giudizio di cui all’art. 533 cod. proc. pen. che definisce lo standard probatorio necessario per pervenire alla condanna dell’imputato, ossia quella dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
12.2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la motivazione in punto di ribadita sussistenza della aggravante della natura armata della associazione e di ribadito diniego delle circostanze attenuanti generiche, svolgendo argomenti che riprendono il terzo motivo di ricorso a firma del medesimo difensore nei riguardi di NOME COGNOME classe 1986.
NOME COGNOME con unico atto a firma dell’avv. COGNOME denuncia due motivi di ricorso.
13.1. Con il primo denuncia violazione dell’art. 644 cod. pen. in punto di ribadita affermazione di responsabilità per il reato di usura ai danni di NOME COGNOME contestato al capo 50).
Osserva il ricorrente che, dalle dichiarazioni della stessa persona offesa, emergerebbe l’impossibilità di definire il quantum di denaro consegnato al ricorrente a fronte dei numerosi prestiti ricevuti, sicchØ le reiterate e sovrapposte richieste di denaro, unitamente agli altrettanto numerosi ritardi nella restituzione del dovuto, avrebbero reso impossibile individuare l’esatto importo dei singoli prestiti, l’ammontare del denaro effettivamente restituito, rendendo conseguentemente impossibile calcolare il tasso d’interesse di volta in
volta corrisposto.
13.2. Con il secondo motivo, deduce vizio di motivazione riguardo all’entità dei singoli aumenti di pena per i reati satellite contestati ai capi 47), 48) e 49) sul piø grave reato contestato al capo 50).
La Corte di appello ha trascurato di motivare sulle singole porzioni di aumento, doveroso al fine di consentire la verifica del rispetto dei limiti previsti dall’art. 81 cod. pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene.
NOME COGNOME con atto a firmaavv. COGNOME deduce i seguenti tre motivi di ricorso.
14.1. Con il primo denuncia piø vizi di motivazione in punto di valutazione frazionata delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
Lamenta la minimizzazione delle incongruenze nelle dichiarazioni di NOME COGNOME con riguardo sia a quelle apprese in regime di libertà, sia a quelle apprese durante il periodo di detenzione.
A mero titolo esemplificativo, il ricorso richiama le argomentazioni svolte dalla Corte territoriale in punto di errata indicazione da parte del collaboratore di giustizia in merito alla partecipazione del ricorrente all’attività politica del Comune di Volpiano che non risponde a un dato storico e che il giudice di appello ha spiegato con la possibile omonimia con il cugino, NOME COGNOME che quell’attività aveva invece svolto, sebbene non in prima persona, ma sostenendo la candidatura di altri. Detta confusione – secondo il ricorrente -minerebbe l’attendibilità delle dichiarazioni.
Denuncia il mancato approfondimento delle dichiarazioni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME sulla riferita affiliazione del ricorrente. Nessuno dei due collaboratori, peraltro, ha riferito che questi fosse affiliato, sicchØ la conseguenza che la Corte ne ricava Ł del tutto illogica.
Nell’ultima parte del primo motivo, si denuncia la motivazione in punto di ritenuta esclusione dell’ipotesi alternativa del ricorrente secondo cui la sua condotta potrebbe, al piø, essere qualificata come concorrente esterno. Ad avviso della difesa, il percorso argomentativo del Giudice di appello sarebbe apodittico perchØ gli elementi utilizzati per escludere l’ipotesi del concorso esterno sono gli stessi utilizzati in altra parte della sentenza per ritenere sussistente la partecipazione del ricorrente alla consorteria.
14.2. Con il secondo motivo, si denuncia la violazione dell’articolo 512bis e il correlato vizio di motivazione in punto di ribadita sussistenza della responsabilità per il capo 2) dell’imputazione.
Travisando il motivo di appello con il quale la difesa contestava un disallineamento tra l’imputazione e la motivazione della sentenza di primo grado, la Corte di appello ha superato tale censura reputando erroneamente che la difesa avversasse l’astratta possibilità della contestazione di partecipazione al sodalizio di ‘ndrangheta e di attribuzione fittizia della disponibilità di alcuni beni. In ogni caso si denuncia il mancato ossequio ai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui non assumerebbe rilievo il mero trasferimento dei compiti di amministrazione di una società commerciale anche nel caso in cui la condotta sia finalizzata all’elusione dell’applicazione di misure di prevenzione patrimoniale, poichØ per la configurabilità del delitto contestato – sarebbe necessario il fittizio conferimento di un apprezzabile signoria sulla cosa.
14.3. Con il terzo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta natura armata del sodalizio.
La Corte territoriale avrebbe trascurato di svolgere una motivazione attenta e rigorosa in
ossequio al principio affermato in sede di legittimità secondo cui l’applicazione della circostanza aggravante per l’associazione armata non può prescindere da un’attenta disamina dei profili psicologici, laddove l’accertamento della consapevolezza dell’associato in ordine alla disponibilità di armi da parte del gruppo non può rimanere affidata a massime di esperienza storico criminali di carattere presuntivo.
NOME COGNOME affida le sue censure a due atti di ricorso.
15.1. Il ricorso a firma ricorso a firma dell’avv. COGNOME denuncia quattro motivi.
15.1.1. Con il primo lamenta violazione dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e vizio di motivazione in punto di ribadita partecipazione del ricorrente all’associazione di cui al capo 10).
Nelle pagine da 2 a 43 il ricorrente ripercorre il percorso logico argomentativo seguito dal Giudice di appello e avversa ciascuno dei capisaldi di tale motivazione, lamentando ora l’assenza di evidenze univoche confermative, ora l’errata lettura di alcune conversazioni captate, di volta in volta riassunte nel ricorso, ovvero, integralmente riportate.
In esito a tale disamina, il ricorso censura la carenza di una motivazione che superi il ragionevole dubbio sul superamento della soglia del concorso di piø persone nel reato, evidenziando – quanto alla specifica posizione del ricorrente – che dalle conversazioni captate emergerebbe come egli sia sovente in conflitto con i COGNOME, suoi zii, a causa del trattamento ingiusto che ritiene di aver ricevuto. Valorizza, inoltre, il fatto che egli abbia richiesto aiuto economico ai COGNOME per una fornitura il cui prezzo non era in grado di sostenere da solo, ottenendo come risposta da NOME COGNOME quella di «continuare a lavorare, come ha sempre fatto, nell’attività di ristorazione».
15.1.2. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ribadita esistenza dell’aggravante della natura armata dell’associazione.
Il giudice di appello non ha fatto buon governo della giurisprudenza di legittimità in punto di sussistenza della circostanza aggravante di cui si tratta che richiede un coefficiente di colpevolezza da parte del singolo sodale, ravvisabile nella concreta prevedibilità della disponibilità delle armi da parte dell’associazione. Nel caso di specie le armi sequestrate sono solo quelle rinvenute al ricorrente e a un coimputato, di esse egli non parla con nessuno e a esse nessuno degli imputati fa riferimento nelle conversazioni captate.
15.1.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione degli articoli 73 e 80 d. P.R. n. 309 del 1990 e vizio di motivazione in punto di ribadita sussistenza del reato, così come contestato al capo 12) dell’imputazione.
La condotta contestata, ossia quella di aver seguito la fase esecutiva dell’operazione riguardante una fornitura di sostanza stupefacente, Ł stata ascritta al ricorrente in conformità a una lettura travisante delle conversazioni ambientali che, invece, ove lette secondo il loro corretto significato, avrebbero delineato il ruolo del ricorrente come mero connivente.
15.1.4. Con il quarto motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ribadita affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 23).
La sentenza ha trascurato l’eccezione difensiva concernente la violazione del principio di correlazione tra la contestazione e la condanna. Pur in presenza di un’imputazione di natura concorsuale, il Giudice di primo grado ha attribuito al ricorrente il diverso ruolo di fornitore e al coimputato COGNOME quello di cedente a terzi. A fronte della relativa doglianza, la Corte territoriale non ha chiarito quale tra le due ricostruzioni (concorso ovvero fornitura e successive cessioni) sia quella accreditata.
15.2. L’atto di ricorso a firma dell’avv. COGNOME denuncia quattro motivi.
15.2.1. Il primo riguarda censure sulla motivazione in punto di ribadita affermazione di
responsabilità, anche dal punto di vista dell’elemento soggettivo, per il reato associativo contestato al capo 10).
Il motivo addebita al Giudice di appello l’omesso confronto con ciascuna delle doglianze contenute nell’atto di gravame, puntualmente riportate nelle p. da 5 a 20 del ricorso, e comunque il superamento delle stesse attraverso argomentazioni assertive o frutto di una lettura travisante delle conversazioni captate che, ove lette secondo il loro oggettivo significato, avrebbero dato contezza sia della volontà dell’imputato di lavorare in autonomia, sia la conferma e condivisione di tale scelta da parte degli associati, sicchØ i suoi comportamenti avrebbero dovuto essere valutati, sotto il profilo dell’efficacia causale, al piø come fatti integrativi un’ipotesi di concorso esterno.
15.2.2. Con il secondo motivo si lamenta la natura armata dell’associazione e si svolgono argomentazioni analoghe a quelle svolte nel secondo motivo di ricorso a firma dell’avvocato COGNOME cui si rinvia.
15.2.3. Con il terzo e il quarto motivo si denuncia la violazione di legge il vizio di motivazione in punto di confermata responsabilità del ricorrente per i fatti di cui ai capi 12) e 23).
Il ricorso svolge considerazioni analoghe a quelle svolte nei motivi terzo e quarto del ricorso a firma dell’avvocato COGNOME, cui si rinvia.
NOME COGNOME ricorre per cassazione con due distinti atti.
16.1. L’atto a firma dell’avv. COGNOME denuncia cinque motivi.
16.1.1. Con il primo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuto ruolo di vertice nell’associazione di cui al capo 10).
Detto ruolo sarebbe stato inferito da un errato sillogismo riguardante l’essersi il ricorrente occupato degli affari del sodalizio per il quale ha svolto il ruolo di cassiere.
Si tratta di un sillogismo errato che non risponde ai canoni indicati dalla giurisprudenza di legittimità per l’attribuzione delle varie qualifiche apicali di una compagine criminale, essendo necessaria un’attività di coordinamento degli associati, senza subalternità rispetto al vertice; situazione non sussistente nel caso di specie poichØ il ricorrente non ha mai investito le risorse comuni in acquisti di stupefacenti, non ha stabilito i prezzi, non ha gestito contatti con creditori o debitori o piø in generale, tenuto una condotta integrante il ruolo di primazia che gli viene attribuito. I giudici di merito hanno confuso la tenuta della cassa di famiglia con la tenuta della cassa dell’associazione: la difesa aveva prodotto documentazione, del tutto negletta, attestante l’abitudine dei familiari di conferire procure al ricorrente per le piø disparate questioni finanziarie familiari, erroneamente confuse con attività inerenti al sodalizio.
16.1.2. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta partecipazione del ricorrente al sodalizio di cui al capo 10).
L’affermazione di responsabilità sarebbe stata fondata su un ristrettissimo numero di conversazioni, di cui due soltanto partecipate direttamente dall’imputato, valutate senza il rispetto dei criteri di cui all’art. 192 cod. proc. pen. e trascurando le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME.
Si osserva che, in un contesto illecito basato su un vincolo familiare, la semplice conoscenza dell’attività illecita realizzata da altri non comporta l’automatica compartecipazione in quella attività e si evidenzia la circostanza che la condotta del ricorrente, siccome riferita a un ristretto arco temporale, non poteva essere ritenuta funzionale rispetto al raggiungimento degli obiettivi criminosi del sodalizio.
16.1.3. Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in
punto di ribadita natura armata del sodalizio.
Difetta in sentenza la motivazione della prova del coefficiente di prevedibilità concreta circa la disponibilità di armi da parte dell’associazione, a tal fine non essendo di alcun rilievo la motivazione richiamata per relationem riguardante la diversa posizione di NOME COGNOME
16.1.4. Con il quarto motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ribadita sussistenza dell’aggravante del numero dei sodali.
Come dedotto da altri ricorrenti e dallo stesso difensore con riferimento alla posizione di NOME COGNOME si censura l’omessa motivazione in punto di consapevolezza o d’ignoranza colposa da parte del ricorrente della consistenza numerica del sodalizio, peraltro fortemente caratterizzato da legami familiari.
16.1.5. Con l’ultimo motivo di ricorso si denuncia violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di dosimetria della pena, anche sotto il profilo del ribadito diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Si svolgono considerazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle di cui al settimo motivo del ricorso a firma dello stesso difensore relativo alla posizione processuale di NOME COGNOME cui si rinvia.
16.2. L’atto a firma dell’avv. COGNOME si articola in tre motivi.
16.2.1. Il primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ribadita partecipazione del ricorrente all’associazione di cui al capo 10).
Il ricorso, con rilievi critici sostanzialmente assimilabili a quelli svolti dal co-difensore, lamenta il mancato confronto del Giudice di appello con le censure prospettate con il gravame e l’assenza di una motivazione che dia reale contezza del diretto coinvolgimento del ricorrente e della sua consapevolezza di contribuire con la propria condotta ad un’attività svolta in forma organizzata.
16.2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di ribadita qualifica apicale in seno al sodalizio.
Il ricorso svolge censure analoghe a quelle svolte dal co-difensore, al cui ricorso si rinvia.
16.2.3. L’ultimo motivo concerne la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di ritenuta natura armata dell’associazione.
Si denuncia come insoddisfacente ed errata la motivazione resa dal Giudice di appello che ha fatto riferimento a quella resa per relationem riguardo alla difesa posizione di NOME COGNOME
NOME COGNOME ricorre per cassazione con atto a firma dell’avvocato COGNOME e denuncia sette motivi.
17.1. Con il primo denuncia la violazione degli artt. 6, 13 CEDU e 111 Cost. e vizio di motivazione in punto di utilizzazione delle intercettazioni captate sulla piattaforma di messaggistica criptata Sky-Ecc e acquisite con Ordine investigativo europeo dal Pubblico ministero italiano.
Lamenta, con deduzioni in parte coincidenti con quelle contenute negli atti di ricorso di altri coimputati, che il Giudice di appello, pur formalmente mostrando di aderire ai principi espressi nelle recenti sentenze a Sezioni Unite, ha erroneamente ritenuto di non affrontare la questione (sollevate dalla difesa con una memoria) dell’assenza di elementi sulla scorta dei quali verificare se l’attività investigativa svolta nello Stato estero si sia realizzata attraverso lesione di diritti fondamentali e dei principi del giusto processo.
Con specifico riferimento alla posizione del ricorrente, tale carenza motivazionale risulterebbe ancora piø evidente poichØ nessuna attività di indagine sul territorio italiano ha
consentito di individuare alcun user ID allo stesso riconducibile, essendo accertato che all’epoca il ricorrente fosse all’estero.
17.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli art. 6 e 31 della direttiva 2014/41 e dell’art. 14, § 7 della direttiva citata.
Secondo la tesi del ricorrente, l’Autorità giudiziaria francese nel processo in cui ha disposto le captazioni ha operato con intercettazioni ‘massive’, ossia indirizzate nei riguardi di un numero vastissimo e non originariamente determinato di destinatari. Sul tema le Sezioni Unite hanno affermato che la giurisprudenza della corte EDU non vieta di effettuare siffatte intercettazioni, purchØ siano previste efficaci garanzie contro rischi di abusi e di arbitri nella fase della loro adozione, dell’esecuzione e del successivo controllo. Nel caso di specie, secondo il ricorrente, sarebbe mancato il rispetto del canone di equivalenza sancito dall’articolo 6 della direttiva e la prova di efficaci garanzie contro rischi di abusi e arbitri, non essendosi provveduto alla ostensione delle modalità tecniche con cui i dati sono stati acquisiti e decriptati nonchØ dell’algoritmo che ne ha consentito la decifrazione.
Conclusivamente i dati acquisiti nel processo non sarebbero affidabili, non essendo stato chiarito il percorso attraverso il quale essi sono stati acquisiti dall’autorità francese e successivamente inseriti nell’ordine investigativo europeo.
17.3. Con il terzo motivo si denuncia l’articolo 31 e l’articolo 14, § 7 della direttiva 2014/41.
L’articolo 31 prevede, per l’ipotesi in cui per un caso interno analogo l’intercettazione non sia ammessa, la facoltà di notificare all’autorità competente dello Stato ricevente che tale intercettazione non può essere effettuata o che i dati intercettati non possono essere utilizzati o, ancora, che possono essere utilizzati solo a determinate condizioni. Nel presente processo non vi Ł prova dell’esecuzione della procedura di notificazione e tale tema Ł stato immotivatamente sminuito nelle sentenze delle Sezioni unite.
17.4. Con il quarto motivo, si denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di ribadita sussistenza della condotta di partecipazione al sodalizio di cui al capo 10).
Censura la contraddittorietà della motivazione della sentenza che, pur riconoscendo che NOME svolgeva traffico di stupefacenti per interessi propri, palesemente confliggenti con quelli dell’associazione, lo ritiene partecipe della stessa.
Osserva che, anche alla stregua dello scarto temporale tra i due reati ritenuti reati fine del sodalizio, ossia il capo 12) e il capo 18), il Giudice di appello avrebbe dovuto approfondire il tema della esistenza di legami stabili con il gruppo.
Infine, lamenta l’illogicità del rilievo attribuito alle comunicazioni intercettate che non brillano per chiarezza e completezza e che, al piø, testimoniano rapporti con COGNOME per affari non univocamente indicativi dell’appartenenza all’associazione.
17.5. Con il quinto motivo denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di ribadita affermazione di responsabilità per il fatto contestato al capo 12).
La sentenza non si sarebbe confrontata con quanto evidenziato dalla difesa nei motivi di appello che aveva indicato una serie di criticità, puntualmente ribadite nel ricorso, che non consentivano di giungere a un’affermazione di responsabilità oltre irragionevole dubbio.
17.6. Con il sesto motivo si denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione sulla responsabilità per il reato di cui al capo 18).
Anche con riferimento a detta imputazione, il ricorrente lamenta che la ricostruzione che lo vedrebbe responsabile della logistica della fornitura di stupefacente trasportato dal corriere Rocca – non ha alcun fondamento probatorio certo e, addirittura, contrasta con l’imputazione, nella quale gli si addebita di aver messo a disposizione parte della sostanza
sequestrata.
17.7. Con il settimo motivo si denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di ribadita sussistenza dell’aggravante della natura armata dell’associazione.
Si svolgono nel ricorso considerazioni comuni agli altri ricorrenti in punto di mancata indicazione delle motivazioni sulla scorta delle quali ritenere in capo al ricorrente la consapevolezza della disponibilità di armi da parte del sodalizio.
NOME COGNOME unico atto di ricorso a firma dell’avv. NOMECOGNOME denuncia quattro motivi.
18.1. Con il primo denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione sotto un duplice profilo.
In primo luogo, censura la mancata pronuncia sull’integrazione probatoria richiesta dal ricorrente con i motivi aggiunti, avente a oggetto la trascrizione della conversazione ambientale captata il 20 gennaio 2019 alle 20:23, in thesi dimostrativa dell’estraneità del ricorrente al reato contrastato.
In secondo luogo, lamenta – con argomenti critici analoghi a quelli svolti da altri ricorrenti – che l’affermazione di responsabilità sarebbe fondata su intercettazioni effettuate all’estero e acquisite dall’Autorità giudiziaria italiana senza alcun tipo di controllo, invece indispensabile, sulle modalità di formazione.
18.2. Con il secondo motivo, si denuncia l’erronea applicazione dell’articolo 62bis cod. pen. e il correlato vizio di motivazione in punto di confermato diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Secondo il ricorrente la motivazione del giudice di appello sarebbe contraddittoria perchØ, pur aderendo alla tesi secondo la quale l’imputato sarebbe gregario o addirittura, come definito da altri asseriti sodali, uno scagnozzo , non ha valorizzato il ruolo piø defilato svolto nel gruppo criminale, avendo esclusivamente presenziato ad alcuni viaggi concernenti l’approvvigionamento di stupefacente, senza aver mai contribuito realmente al perseguimento dello scopo sociale.
18.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di qualificazione giuridica della condotta come partecipazione associativa e non favoreggiamento personale.
Prendendo le mosse dalle considerazioni del motivo precedente, si rileva come proprio l’episodio che il Giudice di appello ha posto a fondamento della natura partecipativa della condotta del ricorrente, ossia l’avere viaggiato al seguito del cognato COGNOME al fine di controllare un colombiano ‘ostaggio’ del gruppo criminale, sarebbe dimostrativo della sussistenza del reato di cui all’art. 379 cod. pen., stante l’occasionalità dell’aiuto, peraltro reso nei riguardi di NOME COGNOME e non nei riguardi dell’intero gruppo.
18.4. Con l’ultimo motivo, denuncia il vizio di motivazione in punto di ribadita conferma della responsabilità per il reato di quell’articolo 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Il ricorrente rileva l’illogicità della motivazione della Corte di appello alla stregua della quale sarebbero sufficienti i suoi viaggi in terra straniera per dimostrare l’appartenenza al gruppo, senza considerare che in nessuno di tali viaggi si svolgesse alcuna attività di rilievo penale, tant’Ł che tutti i procedimenti penali incardinati all’estero sono stati archiviati.
19. NOME COGNOME ricorre per cassazione con unico atto, a firma dell’avv. COGNOME e con un articolato motivo – denuncia la violazione dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e il correlato vizio di motivazione nella parte in cui ribadisce la qualifica di partecipe al sodalizio criminale di cui al capo 10).
Il ricorrente svolge una sintetica disamina del percorso argomentativo che ha condotto
entrambi i Giudici di merito a ritenere il ricorrente stabilmente inserito nel gruppo criminale facente capo ai COGNOME, assegnandogli il ruolo di stabile acquirente di consistenti quantitativi di stupefacente per la cessione a terzi. Quindi denuncia come, al contrario, le tre cessioni di sostanza stupefacente intercorse tra l’imputato e NOME NOME, oggetto di contestazione ai capi 14) 16) e 18), non esprimano alcuna stabilità del vincolo tale da potersi ricondurre all’ affectio societatis . Il ricorrente, infatti, si Ł limitato a fare affari unicamente con NOME COGNOME, il loro rapporto era carattere non esclusivo, com’Ł dimostrato dal fatto che egli Ł stato destinatario di ordinanze cautelari per fatti inerenti stupefacenti commessi nello stesso arco temporale, in contesti del tutto estranei a quello per cui Ł processo (come da annotazioni della dia di Torino, puntualmente indicate nel ricorso e indicati per la trasmissione a questa Corte) e, specularmente, il gruppo criminale dei COGNOME non lo vedeva come unico interlocutore. In definitiva, rileva il ricorrente, che, espunta – attraverso un ragionamento controfattuale – la condotta del ricorrente nell’associazione, questa non avrebbe subito alcun contraccolpo tale da incrinare in maniera apprezzabile l’attività di narcotraffico che ne costituiva l’oggetto.
Sotto altro profilo si denuncia la ristrettezza temporale, di poco piø di tre mesi, del periodo nel quale la condotta partecipativa dell’imputato si sarebbe snodata.
20. Il Sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME, anche attraverso il richiamo alla requisitoria scritta, ha concluso chiedendo la declaratoria d’inammissibilità del ricorso della Procura generale di Torino nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME il rigetto di tutti gli altri motivi di ricorso, fatta eccezione di quello di NOME COGNOME limitatamente al reato di cui all’art. 495 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso dell’Avvocato generale della Corte di appello di Torino e quelli di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME (classe 1982), NOME COGNOME (classe 1986), NOME COGNOME (classe 1990), NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME che denunciano motivi in parte inammissibili e in parte infondati, devono essere rigettati.
Sono invece fondati i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME (classe 1963) e COGNOME NOME, limitatamente all’attribuzione della qualità di capi o promotori e quello di NOME COGNOME limitatamente al capo 10) dell’imputazione.
¨ infondato il ricorso dell’Avvocato generale.
1.1. Il capo 58) riguarda l’acquisto da parte dell’imputato, presso ignoti e al fine di cessione a terzi, di 50 grammi di cocaina, pagati al prezzo di 40 € a grammo, avvenuto in epoca antecedente al 12 settembre 2018 (data della conversazione intercettata su cui l’imputazione Ł fondata), confessato da COGNOME a COGNOME che, a sua volta, nella conversazione in parola, ne aveva riferito a NOME COGNOME.
Piø precisamente, in tale conversazione COGNOME raccontava a COGNOME che COGNOME gli aveva chiesto una fornitura di 100 grammi di cocaina, ma che l’accordo non era andato a buon fine a causa del prezzo, ritenuto troppo esoso. Tale condotta era oggetto d’imputazione al capo 24) e per essa COGNOME Ł già stato assolto nel giudizio di primo grado. SenonchØ sempre secondo il racconto fatto da COGNOME a COGNOME – poco tempo dopo COGNOME aveva confessato al primo di avere acquistato da altri soggetti 50 grammi di cocaina al prezzo di 40 euro al grammo, ma trattandosi di sostanza di pessima qualità aveva chiesto a COGNOME altri 50 grammi da mescolare a quella acquistata.
Il Giudice di primo grado – a conforto dell’affermazione di responsabilità – ha
valorizzato la confessione resa da COGNOME a COGNOME, fornitore abituale, da questi riferita a COGNOME.
In accoglimento dell’appello dell’imputato, la Corte territoriale ha invece ritenuto non raggiunta la prova sull’effettivo acquisto dei 50 grammi di cocaina di cattiva qualità, attesa l’indeterminatezza delle coordinate identificative (luogo, tempo e persona del venditore) dell’asserita transazione, osservando che l’intera ricostruzione dell’episodio non trovava fondamento nella confessione di COGNOME, bensì nelle dichiarazioni di COGNOME che ne aveva ricevuto le confidenze e che poteva escludersi che il riferimento operato da COGNOME all’acquisto a un prezzo inferiore fosse finalizzato a ottenere condizioni piø favorevoli di acquisto della sostanza.
1.2. Tanto premesso in fatto, ritiene il Collegio che le censure della Pubblica accusa non meritino accoglimento.
L’interpretazione del contenuto della conversazione intercettata tra COGNOME e COGNOME Ł conforme alle regole della logica, essendo stato del tutto plausibilmente evidenziato che COGNOME potesse aver mentito al fornitore per ottenere lo stupefacente a un prezzo piø vantaggioso, tanto piø alla luce della precedente trattativa fallita proprio a ragione del prezzo praticato da COGNOME reputato esoso dal ricorrente. Tale spiegazione – unitamente agli altri coerenti rilievi valorizzati dal Giudice di appello, ossia che la conversazione non aveva interessato direttamente l’imputato e che le indagini non avevano posto in rilievo altri elementi univocamente indicativi di un acquisto da terzi di sostanza da parte di COGNOME non può pertanto essere censurata in questa sede.
Invero, «l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità» (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389 – 01).
Osserva, inoltre, il Collegio che a tali considerazioni deve aggiungersi quella che il riferimento svolto nella conversazione alla «pessima qualità» dello stupefacente pone problemi sulla sua effettiva natura drogante. In tema di stupefacenti, infatti, qualora gli indizi a carico di un soggetto consistano in mere dichiarazioni captate nel corso di operazioni d’intercettazione senza che sia operato il sequestro della sostanza stupefacente (c.d. droga parlata), la loro valutazione, ai sensi dell’art.192, comma secondo, cod. proc. pen., deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore e, ove siano prospettate piø ipotesi ricostruttive del fatto, la scelta che conduce alla condanna dell’imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, caratterizzato da un alto grado di credibilità razionale, con esclusione soltanto delle eventualità piø remote (si veda Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017, Albano, Rv. 270299 – 01 riguardante fattispecie relativa ad annullamento di condanna per traffico di stupefacenti, nella quale la Corte ha censurato la sentenza impugnata perchØ non aveva adeguatamente motivato sul fatto che, in una conversazione intercettata, l’imputato accusava il suo interlocutore di averlo “truffato”, circostanza che consentiva alla difesa di prospettare che la droga ricevuta non aveva in realtà efficacia drogante; sulla necessità di una rigorosa motivazione, si veda anche Sez. 4, n. 20129 del 25/06/2020, COGNOME, Rv. 279251 – 01).
Sulla scorta di tali elementi il ricorso dell’Accusa dev’essere rigettato.
Quanto ai ricorsi degli imputati, ai fini di una piø organica trattazione delle plurime contestazioni articolate dalle difese, si reputa opportuno muovere in primo luogo dalla
disamina delle questioni comuni, stante la sostanziale sovrapponibilità delle censure svolte.
2.1. Il primo tema prospettato Ł quello dell’utilizzabilità delle conversazioni captate attraverso criptofonini utilizzanti la piattaforma Sky-Ecc, acquisiti dal Pubblico ministero attraverso l’Ordine investigativo europeo (OIE).
La questione Ł stata posta nei ricorsi di NOME e COGNOME e nei motivi aggiunti di NOME COGNOMEclasse 1986).
Quanto a quest’ultimo, il motivo aggiunto non Ł esaminabile, perchØ estraneo al devolutum tracciato con il ricorso principale. Secondo la costante lezione ermeneutica di questa Corte, la facoltà del ricorrente di presentare motivi nuovi incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali dei quali i nuovi devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, anche per ragioni eventualmente non evidenziate, ma sempre ricollegabili ai capi e ai punti già dedotti nei motivi originariamente proposti a norma dell’art. 581, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.; ne consegue che sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali, a fondamento del petitum dei motivi principali, si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali si intenda allargare l’ambito di detto petitum , introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l’impugnazione (Sez. 6, n. 36206 del 30/09/2020, COGNOME, Rv. 280294 – 01; Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, dep. 2013, Platamone, Rv. 25430101).
In ogni caso si tratta di censure infondate alla luce dei principi espressi dalle sentenze Sez. U n. 23756 del 29/02/2024, NOME COGNOME Rv. 286589 e Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286573).
Si deve ricordare, invero, che con una prima ordinanza della Terza Sezione di questa Corte – R.G.N. 47798/2023 del 3 novembre 2023 – erano state rimesse le seguenti questioni: a) se il trasferimento all’Autorità giudiziaria italiana, in esecuzione di ordine europeo d’indagine, del contenuto di comunicazioni effettuate attraverso criptofonini e già acquisite e decrittate dall’Autorità giudiziaria estera in un proprio procedimento penale, costituisca acquisizione di documenti e di dati informatici ai sensi dell’art. 234-bis cod. proc. pen. o di documenti ex art. 234 cod. proc. pen. ovvero sia riconducibile ad altra disciplina relativa all’acquisizione di prove; b) se il trasferimento di cui sopra debba essere oggetto di verifica giurisdizionale preventiva della sua legittimità, nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine; c) se l’utilizzabilità degli esiti investigativi di cui al precedente punto a) sia soggetta a vaglio giurisdizionale nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine.
Con l’ordinanza R.G.N. 41618/2923 del 15 gennaio 2024 della Sesta Sezione erano rimessi alla decisione delle Sezioni Unite gli ulteriori seguenti quesiti: a) se l’acquisizione, mediante ordine europeo d’indagine, dei risultati di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera, in un proprio procedimento, su una piattaforma informatica criptata e su criptofonini integri l’ipotesi disciplinata, nell’ordinamento nazionale, dall’art. 270 cod. proc. pen.; b) se, ai fini dell’emissione dell’ordine europeo d’indagine finalizzato al suddetto trasferimento, occorra la preventiva autorizzazione del giudice; c) se l’utilizzabilità degli esiti investigativi di cui al precedente punto a) sia soggetta a vaglio giurisdizionale nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine.
A tali quesiti, come si vedrà per quanto qui d’interesse, le Sezioni Unite hanno fornito soluzioni che la Corte di appello ha fatto proprie, superando ogni censura che viene in questa sede identicamente e, dunque, infondatamente riprodotta.
2.1.1. In particolare, quanto alla lamentata violazione dell’articolo 14, paragrafo 7, Direttiva 2014/41/UE, nella parte in cui sono state ritenute utilizzabili le chat acquisite tramite ordine d’indagine europeo, emesso dal Pubblico ministero italiano, in difetto del deposito
della documentazione concernente l’originario procedimento acquisitivo adottato nello Stato di esecuzione, Ł ben vero che le Sezioni Unite hanno affermato il principio secondo cui, con riferimento alle conversazioni di cui si tratta, per la valutazione della loro utilizzabilità deve aversi riguardo alla modalità con la quale l’acquisizione Ł avvenuta nello Stato che trasmette i dati con l’Ordine investigativo europeo: «In materia di ordine europeo d’indagine, la trasmissione del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 234bis cod. proc. pen., che opera al di fuori delle ipotesi di collaborazione tra autorità giudiziarie, bensì nella disciplina relativa alla circolazione delle prove tra procedimenti penali, quale desumibile dagli artt. 238 e 270 cod. proc. pen. e 78 disp. att. cod. proc. pen. (Fattispecie in tema di prove, costituite da messaggi scambiati su “chat” di gruppo mediante un sistema cifrato, già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione)» (si veda Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi, Rv. 286573).
Tuttavia, le stesse Sez. U, nella citata sentenza n. 23756 del 29/02/2024, NOME COGNOME, Rv. 286589, nello scrutinare motivo analogo a quello qui in verifica, hanno testualmente chiarito che « (…) non risultano, nØ sono indicate, disposizioni da cui desumere la giuridica necessità dell’acquisizione e del deposito, nel procedimento in Italia, dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria straniera aventi a oggetto l’autorizzazione di attività di indagine in un procedimento pendente davanti a essa, i cui esiti sono stati successivamente richiesti dall’autorità giudiziaria italiana mediante o.e.i. (L’art. 78 disp. att. cod. proc. pen., nel disciplinare l’acquisizione di atti di un procedimento penale compiuti da autorità giudiziaria straniera, non richiede anche l’acquisizione dei provvedimenti giudiziari in forza dei quali tali atti sono stati compiuti. La medesima conclusione si evince anche dalla disciplina paradigmatica nel sistema processuale penale italiano per l’acquisizione di atti compiuti o formati in altro procedimento sulla base di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, ossia quella relativa ai risultati di intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, dettata dall’art. 270 cod. proc. pen. Questa disposizione, infatti, prevede il deposito dei verbali e delle registrazioni relativi alle intercettazioni effettuate in altri procedimenti, ma non anche il deposito dei relativi provvedimenti autorizzativi. E sulla base di questa disciplina, l’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte ritiene che: a) ai fini dell’utilizzabilità degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, non occorre la produzione del relativo decreto autorizzativo, essendo sufficiente il deposito, presso l’Autorità giudiziaria competente per il “diverso” procedimento, dei verbali e delle registrazioni delle intercettazioni medesime (così, per tutte, Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 229244 – 01, nonchØ, da ultimo, con riferimento alla disciplina vigente per effetto delle modifiche recate dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137, Sez. 1, n. 49622 del 14/11/2023, COGNOME Rv. 2855579 – 02); b) spetta alla parte che eccepisce nel procedimento ad quem la mancanza o l’illegittimità dell’autorizzazione, e si oppone all’utilizzabilità degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in un procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, l’onere di produrre il decreto autorizzativo, in modo da consentire al giudice di verificare l’effettiva inesistenza nel procedimento a quo del controllo giurisdizionale prescritto dall’art. 15 Cost. (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 6947 del 29/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278246 – 01, e Sez. 6, n. 41515 del 18/09/2015, Lusha, Rv. 264741 – 01)».
Le S. U Gjuzi hanno, del resto, chiarito che «L’utilizzabilità del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità
giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, e trasmesse sulla base di ordine europeo di indagine, deve essere esclusa se il giudice italiano rileva che il loro impiego determinerebbe una violazione dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e, tra questi, del diritto di difesa e della garanzia di un giusto processo, fermo restando che l’onere di allegare e provare i fatti da cui inferire tale violazione grava sulla parte interessata» (Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286573 – 05) e che «In materia di comunicazioni digitali, l’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo utilizzato nell’ambito di un sistema di comunicazioni per criptare il testo delle stesse non determina una violazione dei diritti fondamentali, dovendo escludersi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto il contenuto di ciascun messaggio Ł inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura, ed una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo anche solo parzialmente». (Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286573 – 06).
Ciò detto, nel caso in esame appare evidente che l’infondatezza della dedotta questione d’inutilizzabilità Ł ravvisabile nella genericità delle censure sollevate in merito all’inosservanza dei principi fondamentali dell’ordinamento europeo e nazionale da parte dello Stato di esecuzione dell’Ordine di europeo d’indagine, affidato al vaglio dell’Autorità giudiziaria dello Stato di emissione e dell’altrettanto assoluta genericità delle doglianze formulate in merito a una presunta incompletezza degli atti ai quali sarebbe stato consentito l’accesso alla difesa.
A nulla vale, come hanno fatto i ricorrenti, enfatizzare l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata sulla ‘scarsa chiarezza’ delle modalità acquisitive dei dati nello Stato estero poichØ – come si Ł appena chiarito – ai fini della verifica della legittimità delle intercettazioni disposte nel diverso procedimento penale pendente davanti all’Autorità giudiziaria francese Ł sufficiente l’allegazione dei provvedimenti di autorizzazione emessi da quella autorità, essendo consentito al giudice italiano vagliare la sussistenza dei relativi presupposti ai limitati fini della verifica del rispetto dei diritti fondamentali dell’ordinamento e del giusto processo.
La mancata ostensione delle tecniche informatiche impiegate dagli organi inquirenti per riuscire a “bucare” il sistema di comunicazione criptato non lede i diritti di difesa, laddove come nel caso in esame – sia comunque assicurata l’autenticità dei contenuti delle captazioni e della relativa decrittazione. Non v’Ł alcuna necessità di rendere pubbliche le modalità e le tecnologie impiegate dagli inquirenti per rendere possibile l’esecuzione delle intercettazioni telematiche in sistemi di comunicazioni criptati, sempre che non siano addotte specifiche anomalie tecniche in grado di far dubitare dell’autenticità delle acquisizioni e della fedeltà del risultato, rendendosi necessario solo in tali limitati casi operare degli approfondimenti tecnici per verificare se le comunicazioni intercettate possano essere state infedelmente riprodotte ovvero che non siano lamentate specifiche violazioni dei diritti fondamentali.
Nel procedimento in esame nessuna di tali questioni Ł stata specificamente addotta, essendosi unicamente avanzata una generica e ingiustificata pretesa di conoscere le tecnologie di accesso alla piattaforma criptata e la relativa documentazione ed essendosi genericamente censurato il ricorso a intercettazioni “massive”.
Le considerazioni sin qui espresse valgono anche per le censure svolte da NOME riguardo all’asserita erronea individuazione dell’ID, non avendo il ricorrente mai avversato il proprio riconoscimento vocale, nØ indicato quale sarebbe la rilevante violazione in cui gli
investigatori sarebbero incorsi, tale non potendosi ritenere la circostanza, del tutto ininfluente, che egli non fosse all’epoca sottoposto a indagini.
2.1.2. Del pari priva di pregio Ł la tesi dei ricorrenti che lamentano dell’assenza di controllo sull’attività investigativa da parte dell’Autorità giudiziaria estera.
Si tratta di una censura meramente assertiva e che, anzi, confligge con l’affermazione contenuta a p. 50 della sentenza impugnata ove si precisa che l’intera l’attività Ł avvenuta sotto il controllo del Giudice istruttore francese che ha trasmesso i relativi esiti all’Autorità giudiziaria italiana.
SicchØ davvero non si comprende sulla scorta di quali elementi, non a caso non indicati nel ricorso, i ricorrenti continuino a dolersi della circostanza – invece smentita – che le operazioni siano avvenute da parte della Polizia giudiziaria in via autonoma e in assenza di un controllo dell’Autorità giudiziaria estera.
2.1.3. Neppure sussiste la dedotta violazione dell’art. 31 della direttiva U E n. 41 del 2014.
Com’Ł reso evidente dal suo tenore letterale, la disposizione richiamata riguarda la notifica allo Stato membro nel quale si trova la persona soggetta a intercettazione e la cui assistenza tecnica non Ł necessaria ed Ł funzionale a consentire a quest’ultimo Stato (cd Stato membro notificato) di notificare che l’intercettazione non Ł ammessa ovvero che dev’essere subordinata a tali condizioni.
La disposizione Ł stata recepita dall’art. 24 del d.lgs. n. 108 del 2017 con cui Ł stata data attuazione in Italia alla direttiva UE sull’Ordine europeo d’indagine penale. In essa si prevede – per il caso in cui sia disposta, senza richiesta di assistenza tecnica, l’intercettazione di un dispositivo, anche di sistema informatico o telematico, in uso a persona che si trovi nel territorio dello Stato – che il procuratore della Repubblica trasmetta al giudice per le indagini preliminari la notificazione dell’avvio delle operazioni effettuata dall’autorità giudiziaria dello Stato membro che procede e che il giudice ordini l’immediata cessazione delle operazioni se le intercettazioni sono state disposte con riferimento a un reato per il quale, secondo l’ordinamento interno, le intercettazioni non sono consentite.
Ciò premesso, le censure del ricorrente si appalesano del tutto generiche, non essendo nØ dedotto che le captazioni siano state disposte dall’Autorità francese per reati per i quali non sono consentite nell’ordinamento italiano. Inoltre, avendo il ricorrente, nei precedenti motivi di gravame, espressamente dedotto di trovarsi all’estero durante le indagini, la norma – che riguarda la notifica all’autorità giudiziaria italiana nel caso di persona soggetta a intercettazione nel territorio dello Stato – non troverebbe applicazione nel caso in esame.
2.2. ¨ manifestamente infondata l’eccezione, sollevata nel ricorso di NOME COGNOME e ripresa da altri coimputati, d’inutilizzabilità di alcune conversazioni captate in conformità a decreti di urgenza convalidati con motivazione apparante.
Il Giudice di primo grado, nelle p. da 836 e s., e quello di appello, nelle p. da 142 a 145, hanno reso una motivazione affatto rispettosa dei principi posti dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui «I gravi indizi di reato, presupposto per il ricorso alle intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, attengono all’esistenza dell’illecito penale e non alla colpevolezza di un determinato soggetto, sicchØ per procedere legittimamente ad intercettazione non Ł necessario che tali indizi siano a carico di persona individuata o del soggetto le cui comunicazioni debbano essere captate a fine di indagine» (Sez. 1, n. 2568 del 18/09/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280354 – 01).
In particolare, a p. 143 della sentenza impugnata la Corte territoriale ha spiegato dettagliatamente il trait d’union che legava i soggetti sopposti a indagine e gli indizi di reato
che tale hanno legittimato l’indagine tecnica, sicchØ non si coglie alcun vizio di motivazione.
2.3. ¨ inammissibile, perchØ generica e reiterativa, la censura, contenuta nella maggior parte dei ricorsi, con cui si lamenta il mancato ossequio al principio posto dalla giurisprudenza di legittimità sulla necessità che le conversazioni intercettate siano valutate secondo linearità logica quanto all’individuazione degli interlocutori e all’oggetto dei dialoghi.
Contrariamente a quanto affermato nei ricorsi, la sentenza di primo grado (p. da 30 a 32) richiamata da quella di appello, ha svolto articolate osservazioni sul significato da attribuire ai dialoghi, facendosi carico di porre in risalto che le conversazioni in dialetto recavano la relativa traduzione, che l’identificazione dei colloquianti era svolta in base a dati obiettivi (poichØ costoro si chiamano per nome, fanno riferimento a rapporti di parentela o altre circostanze unicamente indicative della loro identità, sono gli intestatari dell’utenza intercettata, infine le loro voci sono state riconosciute dagli investigatori); si Ł valorizzata anche la circostanza che i dialoghi promanano da soggetti intranei al sodalizio o strettamente continui a esso e, come tali, hanno carattere di genuinità, poichØ gli interlocutori non hanno conoscenza di essere intercettati; infine si Ł evidenziato che quanto udito nelle intercettazioni ha trovato adeguati riscontri nelle investigazioni.
Devono dunque reputarsi inammissibili anche le doglianze di NOME COGNOME (classe 1986), che lamenta l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione con cui gli sono stati attribuiti i nomignoli ‘Cinghia’, ‘Cinghialino’ e ‘Ntoni Black’, e di NOME COGNOME, che avversa la sua sicura individuazione nel colloquiante indicato alternativamente come ‘Bastiano’ o ‘il Tedesco’.
Anche questi motivi sono, infatti, generici e reiterativi: quello di NOME COGNOME Ł superato con motivazione minuziosa dalla Corte territoriale che, nelle p. 201 a 208, si Ł fatta carico di avversare ciascuna delle obiezioni evidenziata dalla difesa; quello di NOME COGNOME Ł motivo non consentito perchØ non devoluto con gli atti di appello e, comunque, trova adeguata motivazione nella parte generale della sentenza di primo grado (si vedano le p. 33 e s.), non avversata specificamente nell’atto di appello dell’avv. COGNOME che, come detto, tale questione pone per la prima volta, inammissibilmente, in cassazione.
Quanto, poi, al tema della valutazione delle conversazioni inter alios , la Corte territoriale (si veda la motivazione resa a p. 128, in occasione dello scrutinio della posizione processuale di NOME COGNOME classe 1963) ha evidenziato come non fossero ravvisabili tra i loquenti ragioni di astio tali da giustificare ricostruzioni fantasiose ovvero calunniose ai danni dei terzi di volta in volta coinvolti nelle conversazioni e che, anzi, si trattava di dichiarazioni prevalentemente autoaccusatorie, estese a soggetti di volta in volta nominati; ciò che garantiva la genuinità e la spontaneità delle dichiarazioni captate.
Tale motivazione s’inserisce coerentemente nel solco del principio espresso in sede di legittimità secondo cui «In tema di prove, il contenuto d’intercettazioni telefoniche captate fra terzi, da cui emergano elementi di accusa nei confronti dell’indagato, può costituire fonte probatoria diretta della sua colpevolezza, senza necessità di riscontro ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., fatto salvo l’obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica» (Sez. 3, n. 10683 del 07/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286150 – 04; Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, COGNOME, Rv. 268414 – 01; Sez. 5, n. 42981 del 28/06/2016, Modica, Rv. 268042 – 01).
A fronte di una motivazione scevra da fratture logiche, il motivo di ricorso si appalesa aspecifico perchØ nessuno dei ricorrenti ha indicato le ipotetiche incongruenze alla stregua delle quali le conversazioni captate potrebbero reputarsi travisate ovvero illogicamente interpretate.
2.4. Un altro tema di matrice comune attiene alla configurabilità del reato associativo che, attesa la peculiare struttura del sodalizio di natura prevalentemente familiare, sarebbe, secondo le censure difensive, incompatibile con gli elementi costituitivi dell’art. 74 d.P.R. 309/1990.
Osserva il Collegio che, se gli elementi qualificanti dell’associazione finalizzata al narcotraffico, sono costituiti dall’accordo di almeno tre persone avente a oggetto un programma criminoso nel settore degli stupefacenti, da realizzare attraverso il coordinamento degli apporti personali messi da ciascuno a stabilmente a disposizione del gruppo, unitamente ad una struttura sia pure rudimentale, costituita da risorse umane e mezzi adeguati per una credibile attuazione del programma associativo ( ex multis Sez. 6, n. 7387 del 3/12/2013 – dep. 2014, Pompei, Rv. 258796), diversamente da quanto lamentato nei ricorsi di NOME COGNOME e COGNOME, i Giudici di merito – rispettivamente nelle p. da 340 e s. e, ancora, nella parte conclusiva, da p. 835 e ss. quello di primo grado, nelle p. dal 123es. quello di appello – hanno indicato nel dettaglio gli elementi sulla scorta dei quali hanno ritenuto sussistente il sodalizio, facendosi carico di avversare ciascuna delle questioni sollevate dalle difese degli imputati, riprodotte tal quali nei ricorsi per cassazione.
In particolare, l’esistenza di un gruppo organizzato Ł stata correttamente inferita: i) dai rapporti tra i componenti, riuniti attorno alle figure di maggior spicco individuate in NOME COGNOMEclasse 1963), il maggiore dei germani e ritenuto il piø autorevole, NOME COGNOME, preposto alla gestione contabile del narcotraffico, NOME COGNOME, operante specialmente in territorio sardo, dove si trovava in regime di arresti domiciliari, NOME COGNOME, dedito al settore degli investimenti in Germania; ii) dall’esistenza di una cassa comune, affidata alla gestione di NOME COGNOME; iii) dalle consistenti capacità di reclutamento, trasporto, stoccaggio dello stupefacente, nonchØ di gestione delle scorte di magazzino mediante una vera e propria logistica della attività di narcotraffico; iv) dall’esistenza di una struttura nient’affatto rudimentale. Vengono in rilievo, in tale senso, l’utilizzo per le comunicazioni tra gli esponenti di maggiore rilievo, dei criptofonini, la cui attivazione Ł avvenuta mediante pagamento con carta di credito di COGNOME e le captazioni che danno contezza di un dissidio tra questi e NOME COGNOMEclasse 1986), risolto mediante la differenziazione della tipologia di criptofonini rispettivamente trattati dai due contendenti. Inoltre si valorizzano le conversazioni attestanti l’interesse per gli apparecchi che inibiscono le frequenze GSM, radio e GPS al fine di impedire le operazioni di tracciamento; si fa riferimento alle operazioni d’immediata bonifica nelle occasioni di rinvenimento di microspie a bordo delle vetture utilizzate dai sodali, alla disponibilità di documenti contraffatti e alla capacità di assicurare o costoro l’accesso a strutture alberghiere in assenza della debita registrazione; s’indicano come significativi i contatti con soggetti in grado di assicurare informazioni riservate sull’attività investigativa svolta; v) l’assistenza garantita ai detenuti e ai loro familiari; vi) l’esistenza di una base logistica, il ristorante di Rivalta di Torino “Al INDIRIZZO‘.
La Corte d’appello non ha trascurato (p. da 148 e s. in occasione della trattazione della posizione processuale di NOME COGNOME) d’indicare le ragioni per le quali ha disatteso la tesi della diversa qualificazione del fatto come ipotesi di concorso nel reato, valorizzando in tal senso le specifiche modalità operative delle plurime condotte integranti il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, tali da escludere che esse si fossero esaurite nella realizzazione di piø reati in concorso e che si sono, invece, sostanziate in un apporto al mantenimento e al rafforzamento della struttura associativa – sì di matrice familiare, ma allargata ad altri soggetti -assicurando stabili canali di rifornimento e garantendo una struttura logistica idonea, ivi comprese le dotazioni per comunicazioni riservate.
Si Ł, in definitiva, ritenuto che la ripetuta serie di acquisti e cessioni di stupefacenti rendesse nitida la linea di demarcazione rispetto al concorso di persone nei singoli reati, emergendo elementi univoci sulla sussistenza della compagine associativa, quali i contatti continui tra i coimputati, la presenza e la ricerca di basi logistiche, i frequenti viaggi per i rifornimenti di droga, la forma organizzativa involgente la suddivisione dei compiti tra i vari associati, infine la struttura gerarchica interna al sodalizio.
Tale motivazione Ł rispettosa del consolidato principio espresso da questa Corte secondo cui l’elemento differenziale tra la fattispecie associativa di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e quella del concorso di persone nel reato prevista agli artt. 110 cod. pen. e 73 del citato d.P.R. risiede nell’elemento organizzativo, in quanto la condotta punibile a titolo di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti non può ridursi ad un semplice accordo delle volontà, consistendo in un quid pluris che si sostanzia nella predisposizione di mezzi concretamente finalizzati alla commissione di delitti e in un contributo effettivo da parte dei singoli per il raggiungimento dello scopo illecito (fra molte, Sez. 4, n. 27517 del 12/04/2024, NOME COGNOME, Rv. 286738 – 01; Sez. 6, n. 27433 del 10/01/2017, Avellino, Rv. 270396 – 01) e che la costituzione dell’associazione non coincide con l’accordo dei compartecipi, ma con quello della nascita di un’organizzazione permanente, frutto del concerto di intenti e di azione tra gli associati.
NØ a diversa conclusione può condurre che alcuni degli imputati rivestissero il ruolo di stabili fornitori ovvero di altrettanti stabili acquirenti, posto che non sono la diversità dell’utile che i singoli partecipi si propongono di ricavare o il contrasto dei rispettivi interessi economici che possono escludere la realizzazione del fine comune costituito dallo sviluppo e dall’incremento del commercio degli stupefacenti per conseguire sempre maggiori profitti di essi, sol che chi opera come acquirente o come fornitore sia stabilmente disponibile a ricevere le sostanze ovvero a rifornire con prospettiva durevole il sodalizio, superando la stessa funzione continuativa dei contributi, in tal modo apprestati, la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale, realizzando attraverso la propria adesione un progetto indeterminato nel tempo e nel quantitativo la partecipazione al progetto associativo (Sez. 6, n. 51500 del 11/10/2018 – dep. 14/11/2018, COGNOME, Rv. 275719; Sez. 5, n. 32081 del 24/06/2014 – dep. 21/07/2014, COGNOME, Rv. 261747).
Da ultimo Ł appena il caso di evidenziare come – contrariamente alle censure dei ricorrenti – l’esistenza della consorteria non Ł esclusa ove la stessa, come nel caso di specie, sia imperniata per lo piø intorno a membri della stessa famiglia, atteso che, al contrario, i rapporti parentali o coniugali, sommandosi al vincolo associativo, rendono quest’ultimo ancora piø pericoloso (Sez. 2, n. 2159 del 24/11/2023, dep. 2024, Casamonica, Rv. 285908 – 03; Sez. 2, n. 49007 del 16/09/2014, Iussi, Rv. 261426 – 01; Sez. 1, n. 35992 del 14/06/2011, COGNOME, Rv. 250773 – 01).
2.5. Non colgono nel segno le censure, comuni ai ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (classe 1963), concernenti l’aggravante del numero degli associati superiore a dieci prevista dall’art 74, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990.
Il motivo, inammissibile per NOME COGNOME perchØ non devoluto con i motivi di appello, Ł stato in ogni caso dedotto da tutti i ricorrenti in modo reiterativo e aspecifico.
Dev’essere al riguardo ricordato che, in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, il numero minimo degli associati previsto dalla legge per la configurabilità del reato deve essere valutato in senso oggettivo, ossia come componente umana effettiva del sodalizio, e non con riferimento al numero degli imputati presenti nel processo, essendo integrato il reato, pertanto, anche nel caso in cui sia accertata la
partecipazione di soggetti rimasti ignoti ulteriori rispetto a quelli sottoposti a giudizio» (Sez. 3, n. 19212 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 275758 – 01) e che «possono essere inclusi sia i condannati con sentenza irrevocabile emessa in diverso procedimento, sia i soggetti non ancora giudicati ma coimputati in separati procedimenti» (Sez. 6, n. 22091 del 25/02/2021, COGNOME, Rv. 281517 – 01).
La sentenza impugnata ha applicato tali principi e, a fronte del pedissequo motivo di appello di NOME COGNOME, a p. 149 della sentenza, richiamata per relationem per lo scrutinio dell’identico motivo di NOME COGNOME in aderenza ai risultati investigativi, ha individuato quam minime una dozzina di sodali, evidenziando che tra molti di questi vi erano relazioni operative e non occasionali. Non ha mancato di valorizzare, oltre al dato numerico, il profilo soggettivo di pericolosità, correttamente tratto dalla presenza di sistemi criptati di comunicazione e dall’esistenza di una struttura associativa con contatti internazionali, tale da rimandare a tutt’altro che uno sparuto gruppo di accoliti.
2.6. Ad analoga statuizione di genericità non si sottrae la censura – comune a NOME COGNOME, NOME COGNOME (classe 1963), NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (classe 1986), NOME COGNOME (classe 1990), COGNOME e NOME – riguardante la natura armata del sodalizio di cui al capo 10).
Dell’aggravante in parola la sentenza di primo grado si Ł occupata nella motivazione minuziosamente svolta nelle p. da 899 a 902, attraverso l’indicazione di numerose conversazioni attestanti la disponibilità di armi da parte del sodalizio: i) quelle tra NOME COGNOME e COGNOME in cui il primo rivendica a sØ e al fratello NOME NOME (classe 1986) la proprietà delle armi usate da COGNOME NOME in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine e ha elencato l’arsenale in dotazione della famiglia; ii) quella del 24 marzo 2019 tra NOME e COGNOME e sua cognata NOME; iii) quella del; iv) quella del 27 febbraio 2019 nella quale NOME COGNOME (classe 1963) fa riferimento a un’arma ricevuta per difendersi dopo aver ricevuto l’ ‘ambasciata’ di qualcuno che voleva eliminarlo; v) quella del 16 ottobre 2018 in cui NOME COGNOME discute con il fratello NOME la fornitura di un’arma a un soggetto terzo per conto dell’associazione; vi) quella in cui NOME e NOME COGNOME riferiscono al fratello NOME di dare a tale NOME 1.500 euro «in cambio del ferro». Sono inoltre valorizzati i riferimenti “alle 38′ e “alle 357′ contenuti in alcune conversazioni e gli esiti delle perquisizioni svolte al momento dell’esecuzione della misura cautelare nei riguardi di COGNOME, trovato in possesso di tre pistole, e di COGNOME, in possesso di un’arma con matricola abrasa.
La Corte di appello, a sua volta, ha esaminato funditus, nelle p. 150 e seguenti, le censure secondo cui le armi in parola sarebbero state nell’esclusiva disponibilità dei singoli possessori, chiarendo le ragioni dimostrative di una disponibilità funzionale all’intero gruppo, non mancando di osservare – per coloro per i quali non v’Ł prova diretta della dotazione armata e, segnatamente, NOME COGNOME (classe 1982), NOME COGNOME, NOME COGNOME (classe 1990) e COGNOME – che si tratta di soggetti legati da stretti e risalenti rapporti, familiari o comunque privilegiati, agli altri sodali e, in particolare, a COGNOME custode di ben tre pistole, soggiungendo la non irrilevante circostanza, nota a tutti, che NOME COGNOME fosse stato egli stesso autore di un omicidio.
Conclusivamente si Ł ritenuto, con motivazione coerente con la provvista probatoria, che il ruolo svolto da ciascuno nell’ambito del sodalizio e quanto emerso dalle intercettazioni deponesse nel senso che tutti i partecipi avevano piena consapevolezza della dotazione da parte del gruppo di armi di cui potevano entrare in possesso al bisogno.
La motivazione riflette l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di reati
concernenti gli stupefacenti, la circostanza aggravante dell’associazione armata richiede unicamente la disponibilità di armi, non esigendo anche la correlazione tra queste ultime e gli scopi perseguiti dall’associazione, pur richiedendosi che le armi siano nella disponibilità del sodalizio e non in quella esclusivamente personale del soggetto che la detiene (Sez. 6, n. 15528 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281212 – 01) e che la stessa può essere riconosciuta in capo ai partecipi laddove sia possibile postulare una loro colpevolezza, anche in relazione a tale aspetto, quantomeno sotto il profilo della concreta prevedibilità da parte loro della disponibilità delle armi da parte dell’associazione (Sez. 6, n. 15528 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281212 – 02).
2.7. Di natura del tutto generica sono le censure prospettate da tutti gli imputati condannati per il capo 10) riguardanti la prova della partecipazione a detto sodalizio, fatta eccezione della posizione processuale di Sanna, di cui si dirà specificamente appresso.
2.7.1. La sentenza di primo grado ha fornito una dettagliata motivazione sia nella parte (p. 360 e s.) descrittiva della struttura del sodalizio, indicando le varie funzioni svolte da ciascun sodale e ampia indicazione delle conversazioni a sostegno di ciascun assunto, sia nella parte conclusiva (p. 848 e s.).
La Corte di appello, a sua volta, nel respingere le doglianze degli imputati – con adeguata motivazione, priva di vizi di manifesta illogicità – ha ritenuto integrata, in considerazione del particolare ruolo rivestito da ciascuno all’interno dell’associazione, la piena adesione alla consorteria criminale, in conformità a un’accertata messa a disposizione permanente e stabile per il perseguimento dello scopo sociale.
Come si vedrà nello specifico, la sentenza impugnata ha fatto buon governo dei principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui «In tema di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, la prova del vincolo permanente, nascente dall’accordo associativo, può essere data anche mediante l’accertamento di facta concludentia , quali i contatti continui tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per i rifornimenti della droga, le basi logistiche, i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative utilizzate, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalità esecutive» (Sez. 3, n. 47291 del 11/06/2021, COGNOME, Rv. 282610 – 01; Sez. 6, n. 9061 del 24/09/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255312 – 01;Sez. 6, n. 40505 del 17/06/2009, Il Grande, Rv. 245282 – 01).
Segnatamente:
quanto a NOME COGNOMEclasse 1963), nelle p. 123 e s. il Giudice di appello ha valorizzato la dotazione del criptofonino, strumento riservato ai membri piø fidati dell’organizzazione, la gestione di attività imprenditoriali in Germania utilizzate per il reimpiego dei proventi illeciti, la partecipazione alle trattative per acquisto di droga con gli spagnoli e con i colombiani, sebbene queste non siano giunte a buon fine e, piø in generale, il ruolo di soggetto dedito alla ricerca dei canali di approvvigionamento dello stupefacente. ¨ stata rilevata l’autorevolezza riconosciuta da parte degli altri fratelli, la capacità di decidere il prezzo di vendita dello stupefacente, pur se Ł risultato che alcuni sodali di tanto avessero ritenuto opportuno ‘metter in guardia’ l’altro fratello, NOME, in tesi accusatoria anch’egli in posizione di primazia;
quanto a NOME COGNOME nelle p. 145 e s. il Giudice di appello ha richiamato la pletora di conversazioni riguardanti approvvigionamenti di stupefacente e le vicende nevralgiche del gruppo, di cui Ł costantemente informato. Si Ł evidenziato il merito di aver consentito l’espansione del sodalizio attraverso il proprio strategico trasferimento in
Sardegna; sono stati valorizzati il coinvolgimento nella pianificazione delle attività di narcotraffico, nella gestione dei rapporti con i fornitori, nella definizione delle strategie logistiche e operative per l’importazione e la distribuzione della cocaina. La Corte diversamente da quanto lamentato dal ricorrente – ha ritenuto altresì accertato l’impiego di proventi del narcotraffico per finanziare l’attività commerciale di un bar ad Alghero, intestata fittiziamente alla sorella NOME, ed Ł stato posto in rilievo il ruolo di mediatore quando, ricevute le lamentele di COGNOME sui prezzi dello stupefacente fissati da NOME COGNOME era intervenuto per comporre il conflitto;
– quanto a NOME COGNOME, nelle p. 65 e s. Ł stato valorizzato il ruolo di “cassiere” del gruppo, oltre all’attività di reimpiego, insieme ai fratelli, dei proventi del narcotraffico nelle attività imprenditoriali in Germania, la dotazione di un criptofonino, il ruolo di referente dei sodali in occasione dei problemi sul prezzo di vendita dello stupefacente. Diversamente da quanto lamenta il ricorrente, il Giudice di appello ha ben tenuto presenti i documenti prodotti dalla difesa attestanti la gestione da parte dell’imputato di affari di famiglia leciti, ma ha posto in rilievo – con motivazione per nulla illogica – che tale attività non escludeva quella svolta nell’interesse del sodalizio. ¨ poi appena il caso di evidenziare che la conversazione n. 8855, che la difesa pretende di leggere in senso favorevole al ricorrente, si sottrae al sindacato di legittimità in quanto interpretata dai Giudici di merito secondo logica (si vedano le già citate sentenze Sez. U, Sebbar, Rv. 263715 – 01; Sez. 3, COGNOME, Rv. 282337 – 01; Sez. 2, COGNOME, Rv. 268389 – 01);
– quanto a NOME COGNOME vengono in rilievo, nelle p. 181 e s., le conversazioni che danno contezza del suo coinvolgimento nella pianificazione delle importazioni di stupefacente e nella supervisione delle operazioni internazionali (Germania, Olanda, Belgio e Spagna). Oltre alle numerose trasferte cui il ricorrente ha preso parte, la Corte territoriale ha valorizzato il trattenimento in Olanda, materialmente svolto dal sodale COGNOME ma sotto le sue direttive, di un ostaggio in occasione di una trattativa con fornitori colombiani. Ha altresì valorizzato il reinvestimento dei proventi del narcotraffico in almeno un’attività imprenditoriale in Germania e la disponibilità di telefoni criptati. Contrariamente alle censure contenute nel ricorso, il Giudice di appello ha adeguatamente motivato sulla piena credibilità delle dichiarazioni del collaboratore COGNOME, peraltro riguardanti l’attività di narcotraffico che il ricorrente svolgeva in epoca antecedente a quella oggetto del presente procedimento e che la Corte ha precisato costituire mero elemento di contorno rispetto a quanto emerge dall’attività tecnica. Del pari ininfluente Ł il rilievo del ricorrente sulla preesistenza dell’organizzazione rispetto alle condotte contestate, così come irrilevante la circostanza che alcune trasferte non abbiano sortito l’effetto sperato, ma le cui modalità sono state ritenute a ragione dai Giudici di merito significative dell’ affectio societatis ;
– quanto a NOME COGNOME, la motivazione contenuta nelle p. 261 e s. ha affrontato approfonditamente ogni censura evidenziata dalla difesa e ha fissato granitiche coordinate fattuali indicative della condotta partecipativa, consistente nel prelievo dello stupefacente dai luoghi di custodia del gruppo, nel suo trasporto in Sardegna e nella consegna a NOME COGNOME, valorizzando la commissione dei reati fine contestati ai capi 13), 14), 15), 16) 17) e 18). La Corte territoriale ha, dunque, ritenuto che COGNOME avesse fornito un concreto contributo, mettendo a disposizione dell’associazione una struttura organizzativa preesistente all’arrivo sull’isola di Giovanni COGNOME e all’espansione su quel territorio dell’attività di narcotraffico, non mancando di porre in risalto come le modalità di trasporto di stupefacente risultassero seriali (si vedano gli episodi dell’11 febbraio e del 3 aprile 2019) e che in quello del 4 maggio il ricorrente aveva finanche messo a disposizione della
consorteria il suo gregario COGNOME per provvedere al pagamento a Milano di posizioni debitorie del gruppo. In buona sostanza, ha ritenuto – con motivazione logicamente coerente e priva di fratture razionali – che la condotta partecipativa fosse dimostrata dalla messa a disposizione da parte di COGNOME della rete logistica che aveva consentito al gruppo di operare su un nuovo mercato (quello sardo) e che ciò aveva costituito presupposto indispensabile per l’operatività del sodalizio in quella piazza di spaccio;
– quanto a NOME COGNOME (classe 1982), il ruolo d’intraneo Ł ben evidenziato nelle p. 188 e s. della sentenza impugnata e si fonda sulle conversazioni che lo descrivono come procacciatore di nuovi acquirenti in territorio sardo, attività che egli ha svolto anche avvalendosi delle conoscenze maturate durante la sua carcerazione presso l’Istituto penitenziario di Alghero, come nel caso di COGNOME, con il quale era detenuto. Si sono valorizzate l’intestazione fittizia del bar di Alghero e le conversazioni, intercorse tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, indicative del fatto che, durante la detenzione del ricorrente, l’associazione criminale aveva assistito economicamente i suoi familiari. A tale ultimo proposito va richiamato il condiviso arresto secondo cui «In tema di associazione a delinquere finalizzata al commercio di sostanze stupefacenti, la prova dell’appartenenza al sodalizio criminoso può essere desunta anche dall’accertamento dell’assistenza legale fornita a un partecipe e dell’aiuto economico assicurato ai suoi familiari, una volta che costui sia tratto in arresto, consistendo in condotte prestate a vantaggio dell’intera consorteria e non solo della persona assistita»(Sez. 3, n. 12705 del 15/02/2019, COGNOME, Rv. 275478 – 01. In motivazione, la Corte ha precisato che, al fine del consolidamento dell’organizzazione criminale assume un’importanza vitale la circostanza che l’associato abbia consapevolezza di poter contare, in caso di arresto, sulla continuità del vincolo associativo e sul rapporto di solidarietà tra gli associati). NØ può attribuirsi alcun rilevo alle considerazioni svolte dal ricorrente sulla breve durata della sua partecipazione, poichØ nel reato associativo non Ł necessario che il vincolo assuma carattere di assoluta stabilità, essendo sufficiente che esso non sia a priori e programmaticamente circoscritto alla consumazione di uno o piø delitti predeterminati, poichØ l’elemento temporale insito nella nozione stessa di stabilità del vincolo associativo non va inteso come necessario protrarsi del legame criminale, occorrendo soltanto una partecipazione all’associazione pur se limitata – come nel caso di specie – a un breve periodo;
– quanto ad NOME COGNOME(classe 1986), il Giudice di secondo grado (p. 208 e s.) ha chiarito – con motivazione articolata e puntuale, oltre che rispettosa delle risultanze di prova – che la qualifica di partecipe del ricorrente, persona di fiducia di NOME COGNOMEclasse 1963) con il quale ha svolto diversi viaggi in Nord Europa, discende dal ruolo di rilievo, tratto da numerose intercettazioni nelle quali Ł stato identificato come ‘Cinghialino’ o ‘NOME COGNOME‘. Ne Ł stato puntualmente descritto il ruolo di rilievo nella gestione delle comunicazioni riservate del sodalizio: dopo un dissidio con COGNOME, la gestione degli account criptati era suddivisa tra i due, elemento che si Ł a ragione ritenuto inequivocabilmente indicativo della fiducia riposta nei suoi riguardi e della funzione tecnica e logistica svolta per il gruppo. Sono stati valorizzati i conferimenti di denaro nella cassa comune e la preoccupazione manifestata in occasione del rinvenimento della microspia nella sua vettura. ¨ appena il caso di evidenziare come sia errata la tesi del ricorrente che vorrebbe trarre la prova dell’estraneità dal sodalizio dall’assenza di contestazione di reati fine, perchØ – come si Ł detto – egli Ł comunque partecipe di conversazioni inerenti all’illecito traffico e il reato associativo Ł configurabile anche in difetto di commissione di reati-fine, purchØ – come nel caso in esame – il livello organizzativo e programmatico raggiunto dal gruppo ne lasci concretamente
presagire la prossima realizzazione;
– analoghe considerazioni, ivi comprese quelle sull’irrilevanza dell’assenza di contestazione di reati fine, valgono per NOME COGNOME (classe 1990), figlio di NOME COGNOME (classe 1963), il tema della cui partecipazione al sodalizio Ł svolto nelle p. 217 e s. in termini d’indispensabile ruolo di corriere e di braccio destro di NOME COGNOME nelle attività d’impresa avviate in Germania con i proventi illeciti del gruppo, e nel ruolo vicario, quando questi (da giugno 2019 a 2020) fu arrestato. L’ affectio societatis Ł stata ritenuta sulla scorta della partecipazione ai viaggi tra la Germania e l’Italia, in occasione dei quali egli ha svolto il ruolo di raccordo tra soggetti appartenenti o contigui al sodalizio di stampo mafioso contestato al capo 1) dell’imputazione e i suoi sodali, dal contenuto di alcune conversazioni con NOME COGNOME e con COGNOME, aventi a oggetto la gestione della cassa comune e le trattative per l’approvvigionamento di stupefacente, infine, dall’indicazione di una vera e propria ‘lista di clienti’, emergente dalle conversazioni captate. La Corte di appello, anche con riferimento alla posizione processuale di tale imputato, non solo ha superato ciascuna delle prospettate criticità e distonie della sentenza di primo grado, ma ha motivato sull’eccezione difensiva, identicamente riprodotta nel ricorso, secondo cui il Giudice di primo grado avrebbe immutato il ruolo contestatogli da mero corriere a vero e proprio organizzatore, subentrato al posto di NOME COGNOME ha infatti escluso – con motivazione corretta in diritto – qualsiasi violazione del principio di corrispondenza tra l’accusa e la sentenza, ponendo in risalto la circostanza che il Giudice per le indagini preliminari si era limitato a descrivere le funzioni vicarie che l’imputato aveva svolto in occasione dell’arresto di NOME COGNOME senza mai attribuirgli alcun ruolo apicale, come peraltro Ł dimostrato dal trattamento sanzionatorio riservatogli, che Ł quello spettante ai partecipi;
– quanto a NOME COGNOME le ragioni della sicura intraneità al sodalizio sono indicate nelle p. 226 e s., laddove si delinea il suo ruolo operativo e fiduciario in quanto partecipe alle riunioni strategiche con NOME e NOME COGNOME e coinvolto nelle trattative con i fornitori internazionali. Si Ł ritenuta rafforzativa della prova della stabile messa a disposizione delle proprie energie criminali la commissione di reati fine, così come si Ł valorizzato il ruolo tecnico di gestione dei criptofonini, per il quale – come si Ł già detto – era venuto in contrasto con NOME COGNOME (classe 1986). La Corte di appello – difformemente da quanto si contesta nel ricorso – ha considerato la censura sull’assenza di prova del “ruolo dinamico” del ricorrente e ha chiarito l’ininfluenza delle intercettazioni, immotivatamente enfatizzate dalla difesa, asseritamente dimostrative di un conflitto d’interessi con i sodali, alla stregua del ruolo che questi aveva concretamente rivestito, di sicuro rafforzamento dell’associazione che, infatti, per il suo tramite, era stata dotata degli strumenti per le comunicazioni riservate;
– la Corte territoriale ha svolto considerazioni puntuali ed esaustive (p. 280 e s.) anche a proposito della partecipazione al sodalizio di NOME COGNOME. Il ricorrente propone inammissibilmente le stesse censure contenute nell’atto di appello che muovono dal ragionamento con il quale il Tribunale del riesame aveva annullato il provvedimento applicativo della misura cautelare nei suoi riguardi, evidenziando l’assenza del carattere stabile e imprescindibile del rapporto di collaborazione tra NOME e il gruppo facente capo ai fratelli COGNOME A fronte di tanto, il Giudice di appello ha ben evidenziato le ragioni dell’attribuzione a Romeo della qualifica di partecipe quale stabile fornitored’ingenti quantitativi di sostanza stupefacente, quale preposto al trasporto e alla logistica, infine acquirente sui mercati stranieri della sostanza dal 2018 fino all’applicazione della misura custodia. Nelle pagine da 287, dopo avere sintetizzato le doglianze dell’imputato e il contenuto della sentenza di annullamento della Corte di legittimità, nell’avversare la tesi
difensiva, ha chiarito che, nel caso di specie, non si discute di un partecipe tout court , ma di un soggetto che – operante in autonomia nel narcotraffico internazionale – ha comunque garantito al sodalizio in scrutinio le imprescindibili condizioni per l’immissione di stupefacente nel mercato di riferimento, assicurando la sostanza e asservendo alle esigenze dell’associazione anche le proprie risorse logistiche. Ciò, in particolare, sarebbe provato dalle peculiari caratteristiche dei reati fine di cui il ricorrente Ł chiamato a rispondere, i capi 12) e 18), che si collocano esattamente in tale perimetro. La Corte ha chiarito che, trattandosi di uno stabile fornitore del sodalizio, egli non ha mai perso la propria posizione contrattualmente antagonista rispetto ai NOME, ma che il rapporto sinallagmatico di ciascuna transazione si Ł stabilizzato fino a divenire strutturale e funzionale alla vita del gruppo. SicchØ, sotto questo profilo, ha correttamente ritenuto ininfluenti le osservazioni difensive tendenti a dimostrare la separatezza degli affari di narcotraffico tra il ricorrente e COGNOME, perchØ tale dato Ł acquisito ed Ł coerente con l’imputazione oltre che con la sentenza di condanna. In secondo luogo, sempre in tema di stabilità del legame e di condivisione degli scopi associativi, la Corte ha valorizzato i seguenti elementi di fatto: i) l’avvio delle forniture assicurate dal ricorrente al gruppo, come riferito dagli stessi COGNOME, sin da settembre 2017, sicchØ gli episodi contestati ai capi 12) e 18), rispettivamente del novembre 2018 del maggio 2019, non esaurivano l’attività del ricorrente che, anzi, secondo quanto emerso dalle chat era particolarmente assidua ed era proseguita fino ad almeno agosto 2020; ii) il riconoscimento reciproco della comunanza di affari illeciti, come fotografato in occasione del pestaggio al Ristorante di Melli; iii) la stretta correlazione e l’evidente ricaduta delle vicende giudiziarie riguardanti NOME sulla programmazione degli affari del sodalizio. Si tratta di motivazione rispettosa del principio secondo cui «Integra la condotta di partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilità a fornire le sostanze oggetto del traffico del sodalizio, tale da determinare un durevole rapporto tra fornitore e spacciatori che immettono la droga nel consumo al minuto, sempre che si accerti la coscienza e volontà di far parte dell’associazione, di contribuire al suo mantenimento e di favorire la realizzazione del fine comune di trarre profitto dal commercio di droga» (Sez. 6, n. 47576 del 03/12/2024, COGNOME, Rv. 287375 – 01; Sez. 6, n. 47563 del 16/10/2024, COGNOME, Rv. 287343 – 01; Sez. 4, n. 19272 del 12/06/2020, COGNOME, Rv. 279249 – 01). Questa Corte regolatrice ha, del resto, piø volte affermato che la veste di partecipe a un’associazione, finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, può essere fondatamente riconosciuta al soggetto che si renda disponibile a fornire (ovvero ad acquistare) le sostanze di cui il sodalizio fa traffico, tale da determinare un durevole, ancorchØ non esclusivo, rapporto (Sez. 6, n. 566 del 29/1/2015 – dep. 2016, COGNOME, Rv. 265764 – 01). Non sono, invero, di ostacolo alla costituzione del vincolo associativo e alla realizzazione del fine comune la diversità degli scopi personali, nØ la diversità dell’utile, nØ il contrasto tra gli interessi economici che i singoli partecipi si propongono di ottenere dallo svolgimento dell’intera attività criminale ( ex multis Sez. 2, n. 51714 del 23/11/2023, COGNOME, Rv. 285646 – 01; Sez. 4, n. 19272 del 12/06/2020, COGNOME, Rv. 279249 – 01; Sez. 6, n. 3509 del 10/01/2012, COGNOME e altri, Rv. 251574 – 01). ¨ a tali coordinate ermeneutiche che si Ł conformata la Corte territoriale, dando adeguato conto della ragione per cui la descritta continuità e affidabilità nel rifornimento s’inserisse nella piø estesa prospettiva associativa, sottesa a operazioni di stabile rifornimento di stupefacenti da destinare su piazza, nell’interesse piø ampio della consorteria;
– quanto a NOME COGNOME il preliminare scrutinio dell’eccezione svolta nel primo motivo di ricorso conduce al suo rigetto. Osserva il Collegio che, se Ł vero che nella
motivazione della Corte di appello non v’Ł alcun riferimento alle ragioni per le quali si Ł rigettata la richiesta di rinnovazione istruttoria prospettata dal ricorrente con i motivi aggiunti, avente a oggetto la trascrizione della conversazione ambientale captata il 20 gennaio 2019, asseritamente dimostrativa dell’estraneità del ricorrente al reato contestato, Ł altrettanto innegabile che il ricorrente non ne ha chiarita la decisività e non ha neppure dedotto l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o di manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione di quella determinata prova.
Osserva altresì il Collegio che il rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello ammette la motivazione implicita, quando – come nel caso in esame – la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità. Il giudice d’appello ha, invero, l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, laddove, ove ritenga di respingerla, può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo (Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019 RAGIONE_SOCIALE, Rv. 275114 – 01; Sez . 3, n. 24294 del 07/04/2010, D.S.B., Rv. 247872 01). Ciò vale ancor piø nel presente procedimento, celebrato con il rito abbreviato, giudizio in cui Ł ammessa la rinnovazione istruttoria solo nel caso in cui il giudice ritenga l’assunzione della prova assolutamente necessaria, perchØ potenzialmente idonea ad incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti’ (Sez. 5, n. 2910 del 04/12/2024, dep. 2025, NOME COGNOME, Rv. 287482 – 02; Sez. 1, n. 12928 del 07/11/2018, dep. 2019, P., Rv. 276318 – 02).
Trascorrendo al merito delle censure, la Corte di appello (p. 172 e s.) ha confermato con motivazione priva di fratture logiche – la qualificazione giuridica della condotta in termini di partecipazione al sodalizio, respingendo l’ipotesi alternativa secondo cui la stessa integrerebbe il reato di favoreggiamento reale, valorizzando la messa a disposizione consapevole delle proprie energie criminali per il perseguimento dei fini propri del gruppo. L’assunto si Ł ritenuto provato sulla scorta di numerose intercettazioni che hanno dato contezza di plurimi viaggi effettuati dal ricorrente unitamente ai maggiorenti del sodalizio tra ottobre 2018 e marzo 2019 (si pensi alla trattativa colombiana, articolata nella doppia fase di consegna di denaro e stupefacente, che prevedeva il ricorso al trattenimento di un ostaggio, di cui COGNOME Ł stato il materiale esecutore). La Corte ha, dunque, compiutamente e correttamente argomentato sul punto, evidenziando che la condotta tenuta dal ricorrente si era atteggiata in termini di partecipazione associativa, alla stregua dell’accertata continuità dei rapporti con gli accoliti dell’associazione e la costante collaborazione in ordine ad un aspetto essenziale per la vita del gruppo, anche in ragione del fatto che gli illeciti introiti erano indispensabili per la sopravvivenza del gruppo stesso e, come tale, si sostanziò in una stabile relazione partecipativa. Pertinente Ł il richiamo alla sentenza secondo cui «E’ configurabile il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa, e non quello di favoreggiamento reale, nel caso in cui l’agente non si limita ad aiutare gli associati a conservare il denaro provento dell’attività del sodalizio, ma collabora costantemente e stabilmente alla sua gestione» (Sez. 1, n. 9021 del 24/11/2023, dep. 01/03/2024, Chiummo, Rv. 285860 – 01);
Ł, invece, fondatoil motivo dedotto da NOME COGNOME sul difetto di prova della sua condotta partecipativa.
Il Giudice di secondo grado ha ritenuto di superare l’obiezione difensiva – secondo cui non vi sarebbe prova dell’ affectio societatis , bensì tre autonomi episodi di acquisto di stupefacente descritti ai capi 14), 16) e 18), che si collocano rispettivamente a febbraio, aprile e maggio del 2019 – evidenziando come la limitatezza del periodo temporale dell’operatività dell’imputato fosse compensata dal fatto che la quantità oggetto delle forniture di cocaina era andata via via incrementando e che i rapporti tra COGNOME e il gruppo COGNOME si erano interrotti a causa dell’arresto del corriere COGNOME e il disvelamento delle parallele attività investigative, seguite dalla DDA di Cagliari, per altra attività di narcotraffico svolta dal ricorrente.
La tesi, ad avviso del Collegio, prova troppo.
Sulla scorta della giurisprudenza che si Ł già citata a proposito dello scrutinio della posizione processuale di NOME (questi, tuttavia, stabile fornitore del sodalizio), viene in rilievo la posizione del ricorrente, descritto nelle imputazioni elevate nei suoi riguardi, come stabile acquirente della sostanza dal gruppo NOMECOGNOME Se, dunque, come si Ł appena ricordato, ben può ritenersi partecipe a un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti colui che si renda disponibile ad acquistare le sostanze di cui il sodalizio fa traffico, tale da determinare un durevole, ancorchØ non esclusivo, rapporto; nondimeno come si Ł già condivisibilmente precisato in altri arresti – il mutamento del rapporto tra fornitore ed acquirente, da relazione di mero reciproco affidamento a vincolo stabile, può ritenersi avvenuto solo qualora risulti che la volontà dei contraenti abbia superato la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale inter partes , trasformandosi nell’adesione dell’acquirente al programma criminoso, desumibile dalle modalità dall’approvvigionamento continuativo della sostanza dal gruppo, dal contenuto economico delle transazioni, dalla rilevanza obiettiva che l’acquirente riveste per il sodalizio criminale (Sez. 6, n. 51500 dell’11/10/2018, COGNOME, Rv. 275719 – 01; Sez. 5, n. 32081 del 24/06/2014, Cera, Rv. 261747; Sez. 3, n. 21755 del 12/03/2014, COGNOME e altri, Rv. 259881 – 01). Occorre, dunque, non una mera reiterazione della fornitura, quanto, piuttosto che tale fornitura, per le sue caratteristiche di stabilità e continuità, per le modalità attraverso le quali si esplica, per la sua rilevanza quantitativa ed economica, abbia assunto la connotazione di una somministrazione, sia pure illecita, la cui interruzione comporterebbe, alla stregua di un ragionamento controfattuale di cui il giudice dovrà dare conto nella motivazione, un prevedibile effetto destabilizzante per l’operatività del sodalizio e per la sua capacità di soddisfare la sua fetta di mercato (così Sez. 6, COGNOME, Rv. 287375, citata).
Nel caso in esame, i Giudici di merito non hanno dato conto degli elementi da cui hanno tratto che il coinvolgimento del ricorrente in episodi di acquisto di sostanza stupefacente, secondo la tempistica che si Ł descritta, s’inserisse nella piø ampia prospettiva associativa, nØ hanno chiarito perchØ dai tali rapporti di fornitura emergesse la consapevole adesione del ricorrente al perseguimento del fine comune del sodalizio. Ciò impone l’annullamento della sentenza nei riguardi di Sanna con rinvio per nuovo giudizio sul punto.
2.8. ¨ del pari fondato il motivo con cui NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (classe 1963) e NOME COGNOME contestano la motivazione in ordine al riconoscimento del ruolo verticistico all’interno del sodalizio criminale.
Com’Ł noto, la qualifica di organizzatore in un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti spetta a chi coordina l’attività degli associati e assicura la funzionalità delle strutture del sodalizio. Questa Corte ha già chiarito che, a tali fini, non Ł sufficiente che il soggetto si occupi e gestisca il traffico di droga, ma Ł necessario che esso svolga compiti di coordinamento dell’attività degli associati, in modo da assicurare,
attraverso una continua assistenza, la piena funzionalità dell’organismo criminale ( ex multis, Sez. 6, n. 38240del 07/12/2017, dep. 2018, Anioke, Rv. 273737-01) e, ancora, che tale qualifica spetta a chi assume poteri di gestione, quand’anche non pienamente autonomi, in uno specifico e rilevante settore operativo del gruppo (Sez. 4, n. 45018 del 23/10/2008, Cela, Rv. 242032 – 01) ovvero che, pur non coordinando l’attività di altri associati, ha il potere di determinare, in autonomia rispetto al “capo” del gruppo, sia le cessioni di droga alle quali quest’ultimo partecipi, sia la gestione di pagamenti e di controversie relative a forniture rilevanti per l’operatività del sodalizio ( Sez. 3, n.18370 del 19/01/2024, COGNOME, Rv. 286272 02).
In sostanza, per ritenere sussistente il ruolo di organizzatore non Ł sufficiente che il soggetto si occupi e gestisca il traffico della droga, prendendo contatti con i venditori e con gli acquirenti, altrimenti tutti coloro dediti allo spaccio in forma organizzata dovrebbero essere considerati “organizzatori”. Ciò che caratterizza questo ruolo, e che giustifica il ben piø grave trattamento sanzionatorio rispetto al mero partecipe, Ł l’assunzione di un compito di coordinamento dell’attività degli associati, tale da assicurare la piena funzionalità dell’organismo criminale, attraverso una continua assistenza per l’intera durata dell’associazione.
Ebbene, nel caso in esame, tale ruolo non Ł delineato con adeguata specificità per ciascuno dei soggetti che si sono ritenuti organizzatori. Le sentenze di merito per un verso hanno riconosciuto a piø soggetti la direzione organizzativa dell’associazione e hanno addirittura ipotizzato, ad esempio con riferimento alla figura di COGNOME, che il ruolo di mero partecipe non rendesse ragione del ruolo direttivo effettivamente svolto; ciò hanno, tuttavia, fatto sulla scorta di elementi comuni e non realmente significativi. Per altro verso, non hanno spiegato – anche alla luce dell’articolata contestazione svolta per ciascuno di essi nell’imputazione – in quale modo i differenti soggetti ritenuti organizzatori abbiano eventualmente interagito tra loro e se vi sia stata o meno una effettiva ripartizione specifica di ruoli ovvero di territori rispetto ai quali sia possibile attribuire una attività di coordinamento.
Per tali ragioni si giustifica un annullamento della sentenza nei riguardi degli indicati ricorrenti limitatamente a quest’aspetto.
2.9. Ultimo tema comune ai ricorrenti Ł quello riguardante il ribadito diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Il relativo motivo – prospettato da NOME COGNOMEclasse 1982), NOME COGNOME (classe 1986), NOME COGNOME (classe 1990) e Signati – non supera il vaglio di ammissibilità.
La sentenza impugnata ha escluso il beneficio per tutti i suindicati ricorrenti sulla scorta della gravità dei fatti commessi e del ruolo di rilievo rivestito, non mancando di porre l’accento sull’assenza di elementi, rinvenibili negli atti ovvero allegati dalla difesa, suscettibili di positiva valutazione. Con tale motivazione la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi secondo cui le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicchØ il loro riconoscimento richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo ( ex multis Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590). Peraltro, la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto, rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo. (Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, Rv. 248737).
Neppure coglie nel segno la doglianza svolta da NOME COGNOME (classe 1982) in punto di ribadita operatività della recidiva. Il Giudice di appello, a p. 197 e s., dopo avere indicato puntualmente le varie condanne risultanti dal certificato del casellario sulla base del quale ritenere formalmente integrata la recidiva reiterata specifica infraquinquennale, ha poi chiarito che – nonostante la parziale eterogeneità dei fatti giudicati e quelli per cui Ł processo – la gravità del reato di omicidio e l’omogeneità dei fatti residui (in materia di stupefacenti, armi e riciclaggio) imponevano di ritenere le condotte in scrutinio espressive in concreto di una maggiore pericolosità, non mancando di porre in rilievo come l’omicidio fosse stato consumato nel contesto di una faida cui avevano preso parte tutti e quattro i NOME COGNOME, così come il fatto integrante la violazione della disciplina degli stupefacenti, specifico rispetto al capo 10), era stato commesso in concorso con NOME COGNOME. Infine, ha sottolineato che la lamentata cesura temporale era meramente apparente poichØ l’imputato era stato detenuto per il reato di omicidio dalla fine del 2010 e nell’anno precedente per i fatti inerenti agli stupefacenti.
Osserva il collegio come tale motivazione sia rispettosa del principio secondo cui l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva rientra nell’esercizio dei poteri discrezionali del giudice e richiede adeguata motivazione, in particolare, con riguardo alla nuova azione costituente reato e alla sua idoneità a manifestare una maggiore capacità a delinquere che giustifichi l’aumento di pena (Sez. 3,n. 19170 del 17/12/2014, dep. 2015, COGNOME Rv. 263464 – 01) e che «Ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale sintomo di un’accentuata pericolosità sociale dell’imputato e non come mera descrizione dell’esistenza a suo carico di precedenti penali per delitto, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale della loro realizzazione, ma deve esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in qual misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto, che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice » ( Sez. 2, n. 10988 del 07/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284425 – 01); ciò che Ł avvenuto nel caso in esame.
Nei riguardi di NOME COGNOME, di NOME COGNOME, di NOME COGNOME (classe 1963) e di NOME COGNOME i motivi, da ciascuno dedotti, sulla dosimetria della pena, sulla recidiva e sul riconoscimento delle attenuanti di cui all’art. 62bis cod. pen. devono considerarsi assorbiti.
¨ ora possibile passare alla disamina dei residui motivi dedotti con i singoli ricorsi.
3.1. Il primo motivo di ricorso di COGNOME,riguardante i reati fine contestati ai capi 13), 14), 15), 16) e 18), non Ł consentito perchØ aspecifico, risolvendosi nella pedissequa reiterazione di censure già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla Corte di merito (p. 270 e ss.) attraverso una disamina completa e approfondita delle risultanze di prova, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità. La Corte di appello ha spiegato accuratamente sulla scorta di quali conversazioni ha ritenuto avvenuta la consegna a COGNOME delle forniture di droga oggetto delle imputazioni. Il motivo Ł, dunque, inammissibile, dovendosi considerare non specifiche e soltanto apparenti le relative doglienze, perchØ omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468 – 01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710 – 01).
Osserva, inoltre, il Collegio come le censure del ricorrente si risolvano in una non consentita sollecitazione alla rilettura delle conversazioni captate, come si Ł già chiarito nel §
2.3. della premessa della presente sentenza.
3.2. ¨ privo di pregio il quinto motivo del ricorso di NOME COGNOME a firma degli avv. COGNOME e COGNOME che pone il tema dell’errata esclusione della violazione del bis in idem riguardo ai reati fine contestati ai capi 13), 14) da un canto e 15), 16) e 17) dall’altro, trattandosi del medesimo quantitativo di stupefacente.
La doglianza Ł stata disattesa (p. 158 e s.) con motivazione rispettosa dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui le diverse condotte previste dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 sono alternative tra loro e perdono la propria individualità solo quando si riferiscono alla stessa sostanza stupefacente e sono indirizzate a un unico fine, sicchØ – se consumate senza un’apprezzabile soluzione di continuità – devono considerarsi come condotte plurime di un unico reato. Nel caso di specie il Giudice di appello ha chiarito, con adeguati riferimenti fattuali, che il progressivo avvicendamento delle singole condotte pur aventi a oggetto il medesimo stupefacente (commissione e ricezione della partita di sostanza, frazionamento in piø parti e successiva cessione di ciascuna ad acquirenti), ma consumate in un diverso contesto spazio-temporale (la commissione ricezione tra Calabria e Sardegna, il frazionamento nel luogo in Sardegna gestito da COGNOME, la cessione ai clienti presso l’esercizio commerciale decathlon per il capo 14, il COGNOME per il capo 16, e, infine a Porto Torres per il capo 17) segnava la linea dell’integrazione di piø condotte tra quelle tipizzate dal legislatore.
3.3. Sono infondati i motivi di ricorso di NOME COGNOME
3.3.1. Condannato per i capi 19), 20) e 21), questi ricorre per cassazione per questioni di merito limitatamente al capo 19), originariamente contestato come riciclaggio e riqualificato sin dal giudizio di primo grado nel reato di favoreggiamento reale, prospettando la configurabilità dell’ipotesi tentata, perchØ l’azione del prelievo della busta con il denaro e dell’avvio del viaggio verso un’ignota destinazione erano state ininterrottamente monitorate dalle Forze dell’ordine. Il Giudice di appello ha, al contrario, correttamente evidenziato come l’azione si fosse consumata con la semplice condotta dell’essere la busta con il denaro giunta nella disponibilità di un soggetto diverso da chi doveva liberarsene, sicchØ la circostanza del monitoraggio e dell’intervento delle Forze dell’ordine era del tutto ininfluente, perchØ la condotta ausiliatrice si era comunque realizzata. Tale conclusione si pone nell’alveo dei principi espressi da questa Corte, secondo cui, perchØ sia configurabile il reato di favoreggiamento reale, previsto dall’art. 379 cod. pen., Ł sufficiente che la condotta posta in essere sia idonea a conseguire lo scopo di aiutare il colpevole ad assicurarsi il profitto del reato, a prescindere dall’esito di essa e cioŁ dall’effettivo conseguimento di tale finalità. (Sez. 3, n. 3323 del 17/11/2021, dep. 2022, Bruno, Rv. 28269 9 02;Sez.1, n. 40280 del 21/05/201, Agostino, Rv. 257327 – 01; Sez. 6, n. 7343 del 13/01/2004, Prudente, Rv. 229160 – 01; Sez. 6, n. 778 del 08/10/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212286 – 01).
3.3.2. Il secondo motivo di ricorso di Napoli – imperniato su una presunta erroneità della pena base irrogata per il reato di cui all’art. 495 cod. pen., contestato al capo 20), perchØ parametrato in misura doppia rispetto al minimo edittale – Ł manifestamente infondato.
La Corte di appello, in accoglimento del motivo sulla dosimetria della pena, ha ridotto a Napoli la pena base per il reato di cui all’art. 495 cod. pen. da quella originaria di tre anni di reclusione a quella di due anni di reclusione, dando ragione di tale scelta. Si tratta di pena certamente contenuta nel range previsto dalla disposizione penale incriminatrice (da uno a sei anni di reclusione) e, soprattutto, abbondantemente inferiore rispetto alla media edittale, che Ł quello di tre anni e sei mesi, calcolata non già dimezzando il massimo edittale previsto
per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale e aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, De Papa, Rv. 276288 – 01).
Tanto premesso, il ragionamento del Giudice di appello sfugge alla dedotta censura, poichØ la generica doglianza del ricorrente trascura il principio secondo cui, in tema di determinazione della misura della pena, il giudice del merito esercita la discrezionalità che la legge gli conferisce al riguardo, attraverso l’enunciazione, anche sintetica, dell’eseguita valutazione di uno (o piø) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. (Cass. Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, COGNOME, Rv. 271243; Cass. Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Cass. Sez. 2, n. 12749 del 19/3/2008, COGNOME, Rv. 239754) e che una valutazione siffatta Ł insindacabile in sede di legittimità, purchØ sia argomentata e non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Cass. Sez. 5, n. 5582 del 30/9/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142), fermo restando che nel caso poi venga irrogata, come nella specie, una pena al di sotto della media edittale, non Ł necessaria un’argomentazione specifica e dettagliata da parte del giudice e il parametro valutativo può essere desunto dal testo della sentenza nel suo complesso motivazionale e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena stessa (Sez. 3, COGNOME, Rv. 276288 – 01, citata; Sez. 3, n. 38251 del 15/6/2016, Rignanese, Rv. 267949).
3.4. Non può ricevere considerazione il secondo motivo svolto nel ricorso di NOME COGNOME (classe 1982), riguardante l’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 43), trattandosi di motivo non consentito perchØ riproduttivo del quarto motivo dell’atto di appello che la Corte territoriale ha puntualmente e diffusamente superato nelle p. da 195 a 197 della sentenza impugnata, prendendo in esame ciascuna delle deduzioni difensive. In particolare, con motivazione logicamente coerente e rispettosa della provvista probatoria, ha ritenuto del tutto smentiti i rilievi difensivi (secondo cui il denaro investito nella ditta individuale intestata a NOME COGNOME e nell’affitto del ramo di azienda di NOME COGNOME non sarebbero derivati dai proventi illeciti dell’associazione di narcotraffico partecipata dall’imputato) sulla base della piana lettura delle conversazioni captate che, al contrario, davano ragione della condivisione tra i fratelli NOME (classe 1982) e NOME dell’attività di gestione dell’esercizio commerciale e dei relativi introiti, disvelandone la reale funzione di riciclaggio.
3.5. Non trovano ingresso nella presente sede di legittimità le censure svolte nei ricorsi di NOME COGNOMEclasse 1963) riguardanti l’affermazione di responsabilità per i reati contestati ai capi 12), 13) e 15) che si compendiano in doglianze di natura meramente contestativa e aspecifiche, comunque volte a una rilettura in termini piø favorevoli al ricorrente delle risultanze istruttorie, senza alcuna individuazione di un reale vizio motivazionale, non venendo in rilievo alcuna aporia logica o dirimente carenza argomentativa che consenta di ricondurle nell’alveo dell’art. 606 lett e) cod. proc. pen.
Che non vi siano elementi univoci per la riconducibilità dei fatti di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 contestati nelle indicate imputazioni Ł affermazione smentita dalla diffusa motivazione della sentenza impugnata che, nelle p. da 133 a 137, ha valorizzato il contenuto delle conversazioni captate, sulla cui diversa interpretazione il ricorrente inammissibilmente ritorna in questa sede.
3.6. Il ricorso di NOME COGNOME deduce censure complessivamente da rigettare.
3.6.1. Il motivo riguardante la ribadita affermazione di responsabilità per il reato di usura contestato al capo 50) Ł reiterativo,essendo riproduttivo del terzo motivo di appello, vagliato e superato dalla Corte territoriale che, alle p. 313 e s., ha chiarito, come l’entità delle
somme pattuite e quelle, notevolmente superiori, restituite sono state accertate con precisione e, conseguentemente, Ł certa la natura usuraria del tasso d’interesse praticato.Le censure del ricorrente sono, in definitiva, limitate alla mera contestazione della ricostruzione compiuta dai Giudici di merito sulla base dell’analitica disamina delle risultanze probatorie, la cui interpretazione, in difetto di travisamento della prova, ricorrente nella sola ipotesi in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile, non Ł oppugnabile in sede di legittimità (Sez. 3, Sentenza n. 6722 del 21/11/2017, COGNOME, Rv. 272558).
3.6.2. NØ alcun vizio motivazionale Ł ravvisabile in punto di entità degli aumenti delle porzioni di pena per i reati satellite, contestati sub 47), 48), e 49) sul piø grave reato di cui al capo 50).
Non sussiste, in particolare, la lamentata inosservanza del principio espresso da Sez. U COGNOME.
Correttamente la Corte territoriale, una volta assolto COGNOME dal piø grave reato di cui al capo 22), ha rideterminato nei suoi riguardi la pena ponendo a base, per il reato piø grave di cui al capo 50), con le già riconosciute attenuanti generiche, quella di tre anni nove mesi di reclusione, oltre alla multa. Quindi l’ha diminuita di 1/3 per effetto della già riconosciute circostanze attenuanti generiche, giungendo a quella di due anni e sei mesi di reclusione, oltre alla multa. Ha poi parametrato gli aumenti per la continuazione nella stessa misura indicata nella sentenza di primo grado, fino a giungere alla pena di tre anni e nove mesi di reclusione, oltre alla multa. Ciò, in particolare, ha fatto richiamando espressamente la motivazione del giudice di primo grado sul grave contesto delinquenziale nel quale i reati sono stati commessi, non mancando di rendere ragione anche dello scostamento dal minimo edittale per il reato divenuto piø grave. La pena Ł stata, infine, ridotta di 1/3 per il rito abbreviato prescelto.
Tanto premesso, si osserva che, se Ł ben vero che Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, PIzzone, Rv. 282269 – 01, indica come doverosa la motivazione sugli aumenti ai sensi dell’art 81 cod. pen., Ł altrettanto vero che la stessa sentenza precisa che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena Ł correlato all’entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod. pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene; ipotesi quest’ultima che non viene in rilievo nel caso in esame.
Inoltre, questa Corte ha chiarito che quando, una volta operata la scelta della pena base nel rispetto dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., il giudice intenda confermare l’entità degli aumenti quantificati in sede cognizione per i reati già considerati satellite rispetto a quello piø grave, in relazione a cui Ł stata individuata la pena base (conferma in sØ rispettosa del limite affermato da Sez. U, n. 6296 del 24/11/2016, dep. 2017, Nocerino, Rv. 268735 – 01), può farlo motivando sul punto, anche con il richiamo delle ragioni che avevano fondato la medesima dosimetria in sede cognitiva; ciò che la Corte territoriale ha fatto.
3.7. Il ricorso di NOME COGNOME che denuncia censure in parte inammissibili e in parte infondate, dev’essere complessivamente rigettato.
3.7.1. Non colgono nel segno il primo e il secondo motivo, riguardanti la dedotta mancata valutazione frazionata delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia su cui si fonda l’affermazione di responsabilità e l’inconsistenza dell’approdo sulla sua affiliazione alla ‘ndrangheta, che possono essere trattati congiuntamente, attesa la connessione logica delle questioni.
La partecipazione di COGNOME alla locale di ‘ndrangheta Ł stata ancorata dalla Corte di appello (p. 53 e s.) e, prima ancora, dal Giudice di primo grado (p. 48 e s.), a una provvista probatoria articolata, valutata alla stregua dei principi espressi da Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889 – 01 e dalla precedente Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670 – 01, secondo cui la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua “messa a disposizione” in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi e che la partecipazione può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza nel senso indicato, purchØ si tratti di indizi gravi e precisi – tra i quali i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, e però significativi facta concludentia – idonei, senza alcun automatismo probatorio, a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo.
Ponendosi nel solco di tali principi, la Corte territoriale ha, in primo luogo, valorizzato le convergenti e credibili dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME non mancando di chiarire che, sebbene il primo non avesse confermato la formale affiliazione di COGNOME, ne aveva certamente descritto un comportamento in termini di stabile e consapevole inserimento nel sodalizio mafioso, qualificando l’attività imprenditoriale di questi come strumentale agli scopi del sodalizio.
Ha poi indicato ampi riscontri a tali dichiarazioni, ravvisati: i) nella costituzione di diverse società impiegate per riciclare i proventi del clan le cui quote erano intestate a prestanome (moglie, dipendenti o altri fiduciari) che ne conoscevano l’appartenenza “mafiosa”, come emergente dalle conversazioni intercettate (si veda quella in cui uno dei prestanome, nel conversare con la moglie, appellava espressamente come appartenenti alla mafia i titolari della società); ii) le intercettazioni tra COGNOME e NOME nella quali si fa riferimento al ricorrente come intraneo alla consorteria di Volpiano e persona di fiducia di NOME.
¨ dunque manifestamente infondata la censura che addebita alla sentenza impugnata il mancato ossequio dei principi posti dalla giurisprudenza di legittimità in tema di valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. In questo ambito, innanzitutto, Ł necessario richiamare il principio di diritto secondo cui «Nella valutazione della chiamata in correità o in reità, il giudice, ancora prima di accertare l’esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen., alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale» (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, Rv. 255145). Tale arresto giurisprudenziale, nel solco di un orientamento ermeneutico parimenti consolidato, afferma che, ai fini della corretta valutazione del mezzo di prova di cui si sta discutendo, la metodologia cui il giudice di merito deve conformarsi non può che essere quella trifasica, fondata sulla valutazione della credibilità del dichiarante (desunta dalla sua personalità, dalle sue condizioni socio-economiche e familiari, dal suo passato, dai rapporti con l’accusato, dalla genesi remota e prossima delle ragioni che lo hanno indotto all’accusa nei confronti del chiamato); dalla valutazione dell’attendibilità intrinseca della
chiamata oggetto di vaglio (fondata sui criteri della precisione, della coerenza, della costanza, della spontaneità); dalla verifica esterna dell’attendibilità della dichiarazione accusatoria, effettuata attraverso l’esame di elementi estrinseci di riscontro alla stessa chiamata, idonei ad attestarne la veridicità (Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, Marino, Rv. 192465). Si Ł, tuttavia, evidenziato dalla successiva giurisprudenza di questa Corte che tale sequenza trifasica non deve svilupparsi rigidamente, essendo espressione di un giudizio unitario, omogeneo e non frazionabile sulle propalazioni di volta in volta esaminate, nel senso che il percorso valutativo dei vari passaggi non deve muoversi lungo linee separate, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto, influenzandosi reciprocamente, al pari di quanto accade per ogni altra fonte di prova di natura dichiarativa, deve essere valutata unitariamente, conformemente ai criteri epistemologici generali e non prevedendo, per converso, la disposizione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., alcuna specifica deroga (Sez. 1, n. 22633 del 05/02/2014, COGNOME, Rv. 262348).
In questi termini, ogni operazione di ermeneutica processuale tendente a frazionare i vari passaggi valutativi delle dichiarazioni dei chiamanti in correità o in reità escussi – come ha fatto il ricorrente – dev’essere ritenuta inammissibile, atteso che, nel valutare le propalazioni di tali soggetti, eventuali riserve circa l’attendibilità del narrato devono essere superate, vagliandone la valenza probatoria alla luce di tutti gli altri elementi di informazione legittimamente acquisiti, attraverso un percorso argomentativo necessariamente unitario (Sez. 1, n. 22633 del 05/02/2014, COGNOME, cit.).
Inammissibile per genericità Ł la censura riguardante l’esclusione, da parte della Corte di appello, della qualifica di concorrente esterno. Sul tema la sentenza, a p. 92 e s., dopo avere richiamato il perimetro della figura dell’imprenditore colluso ed escluso che all’imputato potesse essere assegnato quello di imprenditore vittima, ha posto in rilievo come gli agiti accertati a suo carico non si fossero esauriti nei termini di una reciprocità di vantaggi tra il singolo e la consorteria di riferimento, ma che le stabili cointeressenze economiche e le relazioni con piø sodali, la messa a disposizione per investimenti sempre nuovi per riciclare i proventi dei traffici illeciti fossero elementi indicativi di una vera e propria affectio societatis. Tale motivazione resiste alle censure ripetitive e aspecifiche del ricorrente.
3.7.2. Considerazioni analoghe, in punto di genericità e reiteratività, valgono per le censure che si appuntano sulla ribadita affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 512bis cod. pen. contestato al capo 2), che hanno costituto oggetto una dettagliata disamina nelle p. 97 e s. della sentenza impugnata.
Il Giudice di appello ha in primo luogo indicato gli esiti delle attività tecniche che hanno consentito di accertare che la società CaffŁ RAGIONE_SOCIALE – partecipata per il 95% dalla moglie di COGNOME e per il restante 5% da NOME COGNOME, prestanome del primo anche in altre società – fosse in realtà riconducibile al ricorrente che la gestiva per conto di NOME COGNOME. In capo a detta società Ł stata altresì acclarata una progressiva attività di acquisizione di altre società e dei relativi rami d’azienda che aveva consentito alla RAGIONE_SOCIALE una florida operatività nel settore della ristorazione, interrotta a causa dell’emissione, nell’agosto del 2017, di un’interdittiva antimafia.
In secondo luogo ha diffusamente avversato l’obiezione difensiva secondo la quale vi sarebbe un disallineamento tra il ruolo partecipativo al sodalizio di ‘ndragheta contestato al capo 1) e le condotte descritte al capo 2), valorizzando l’indicazione contenuta nella prima imputazione secondo la quale COGNOME era preposto alla cura in prima persona della gestione delle imprese e delle attività economiche del gruppo mafioso, molte della quali intestate
fittiziamente a terzi e osservando come si trattasse di condotta perfettamente in linea con la titolarità, per il tramite della moglie e del prestanome, della RAGIONE_SOCIALE, gestita nell’interesse di COGNOME. Tale ultima circostanza Ł stata ritenuta accertata sulla scorta della chiamata in reità di NOME COGNOME, corroborata da riscontri individualizzanti dettagliatamente indicati nelle p. da 99 a 101 della sentenza.
Tale motivazione Ł coerente, logica, aderente ai dati di prova così come richiamati in sentenza e non realmente avversate dal ricorrente che, difatti, si Ł limitato a sostenere l’insufficienza, per la configurabilità del reato di cui all’art. 512bis cod. pen., il mero esercizio di fatto di compiti gestori. Sul punto Ł appena il caso di richiamare la giurisprudenza di questa Corte, nel cui solco si sono posti i Giudici di merito, secondo cui la condotta di COGNOME dev’essere letta alla luce del principio secondo nel reato d’intestazione fraudolenta di beni di cui all’art. 512bis cod. pen. può concorrere il soggetto extraneus , diverso dal titolare occulto del bene e dal prestanome, che si presti a svolgere funzioni di amministratore di fatto di società per conto dei proprietari effettivi, sulla base di un previo accordo con l’ intraneus , tale da agevolare l’intestazione fittizia (Sez. 2, n. 27123 del 03/05/2023, Carnovale, Rv. 284796 03).
3.7.3. Quanto all’ultimo motivo di ricorso, riguardante l’aggravante di cui all’art. 416bis 1. cod. pen., il Giudice di appello – con motivazione sintetica, ma adeguata – ha valorizzato le dichiarazioni del collaboratore COGNOME sulla dotazione di armi da parte della locale di Volpiano, il contenuto delle intercettazioni e l’effettivo rinvenimento di un’armeria in Platì, non mancando di evidenziare – sotto il profilo soggettivo – la risalente intraneità di COGNOME in tale gruppo mafioso e la stabilità dei rapporti intrattenuti con i suoi vertici, inferendone la possibilità di un’imputazione soggettiva quam minime sotto il profilo della ignoranza inescusabile.
La motivazione in parola fa buon governo dei principi espressi in sede di legittimità, alla cui stregua «In tema di associazione di tipo mafioso, per la configurabilità dell’aggravante della disponibilità di armi, mentre per le cd. mafie “storiche” la stabile dotazione di armi Ł desumibile anche dalle risultanze emerse nella pluriennale esperienza storica e giudiziaria, per le mafie “non tradizionali” o “atipiche” occorre l’accertamento della concreta disponibilità di un armamento, deducibile, anche in difetto di una esatta individuazione delle armi stesse, da fatti di sangue commessi dal gruppo criminale, dal contenuto delle intercettazioni o dalle fonti orali» (Sez. 2, n. 2159 del 24/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285908 – 05; Sez. 2, Sentenza n. 31920 del 04/06/2021, COGNOME, Rv. 281811- 02). La circostanza de qua di natura oggettiva Ł configurabile a carico dei partecipi che siano consapevoli del possesso delle stesse da parte della consorteria criminale o che per colpa lo ignorino (Sez. 6, n. 32373 del 04/06/2019, COGNOME, Rv. 276831 – 02; Sez. 6, Sentenza n. 44667 del 12/05/2016, COGNOME, Rv. 268677 – 01).
3.8. Trascorrendo ai motivi di ricorso di NOME COGNOME che si appuntano sui reati fine, le considerazioni svolte dalla Corte territoriale nelle p. 238 e s. rendono chiare le ragioni che hanno consentito l’ascrivibilità al ricorrente delle condotte contestate ai capi 12) e 23) dell’imputazione e di escludere, quanto al primo reato, l’invocata ipotesi della connivenza non punibile: in proposito si Ł osservato che COGNOME aveva partecipato sin dalla fase progettuale del trasporto dello stupefacente ed era stato reso edotto da NOME COGNOME dell’evoluzione dell’intera vicenda. Questi decisivi argomenti non sono stati considerati dalla difesa, con la conseguenza che la corrispondente censura si rivela aspecifica e, come tale, non ammissibilmente delibabile.
Quanto al capo 23) Ł stato limpidamente chiarito (p. 244 e s.) – in perfetta coerenza
con la contestazione – che COGNOME, in oltre venti occasioni, aveva fornito sostanza stupefacente a Cardella che, a sua volta, l’aveva ceduta a terzi e che tale asserto trovava ampia dimostrazione nelle indagini tecniche e nel monitoraggio dell’autovettura di Cardella.
SicchØ davvero non si comprende sotto quale profilo Ł lamentata la violazione del principio della correlazione tra imputazione e la sentenza di condanna. La giurisprudenza consolidata di questa Corte ha, invero, evidenziato la natura di reato a piø condotte tipiche in cui si sostanzia l’ipotesi delittuosa disciplinata dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076-02), sicchØ «si può ritenere possibile individuare distinti reati quante volte le differenti azioni tipiche (acquisto, trasporto, detenzione, vendita, offerta in vendita, cessione ecc.) siano distinte sul piano ontologico, cronologico, psicologico e funzionale» (Sez. 4, n. 30233 del 07/07/2021, COGNOME, Rv. 281836-01; nello stesso solco, Sez. 4, n. 6648 del 26/01/2022, COGNOME, non mass., che afferma che «Ł possibile individuare distinti reati quante volte le differenti azioni tipiche (acquisto, trasporto, detenzione, vendita, offerta in vendita, cessione ecc.) siano distinte sul piano ontologico, cronologico, psicologico e funzionale». Si Ł ulteriormente chiarito che, nel caso in cui le diverse e alternative condotte siano realizzate da plurimi soggetti concorrenti, Ł perfino riconosciuta la possibilità di una diversa qualificazione giuridica delle condotte dei concorrenti.
3.9. Non meritano considerazione alcuna le residue censure svolte nel ricorso di NOME COGNOME, riguardanti i reati fine contestati ai capi 12) e 18).
Il complesso degli elementi indicati nelle p. 300 e ss., ritenuto dai Giudici di appello univocamente convergente nel senso della piena dimostrazione del coinvolgimento del ricorrente negli episodi di approvvigionamento di stupefacenti descritti in dette imputazioni, non può essere dequotato, come propone il ricorrente, assegnando un diverso e meno probante significato al patrimonio captativo, adeguatamente esposto e valutato dai giudici del merito.
Deve in proposito ribadirsi quanto si Ł già evidenziato nel corso della trattazione di altra posizione, ossia che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale -se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate il cui apprezzamento – non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità se non, appunto, nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (in tal senso già Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01): il ricorrente non ha evidenziato alcuna effettiva manifesta illogicità in cui sarebbero incorsi i giudici di appello, ma ha finito per sollecitare l’alternativa interpretazione di merito del contenuto delle conversazioni, inammissibile in questa sede.
Come anticipato, il ricorso dell’Avvocato generale della Corte di appello di Torino e quelli di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME (classe 1982), NOME COGNOME (classe 1986), NOME COGNOME (classe 1990), NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME devono essere rigettati.
Al rigetto dei ricorsi degli imputati consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Sono invece fondati i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (classe 1963) e NOME NOME, limitatamente all’attribuzione della qualità di capi o promotori e quello di NOME COGNOME limitatamente al capo 10) dell’imputazione, sicchØ la sentenza dev’essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Torino per
nuovo giudizio su detti punti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso del Procuratore generale della Corte di appello di Torino. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME NOME, NOME NOME, NOME cl. 63 e NOME NOME, limitatamente all’attribuzione della qualità di capi promotori del reato di cui al capo 10), e nei confronti di COGNOME Stefano limitamente allo stesso capo 10), con rinvio per nuovo giudizio sui capi ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti ricorrenti. Rigetta i ricorsi di COGNOME Pietro, COGNOME NOMECOGNOME NOME cl. 82, COGNOME NOME cl. 86, COGNOME NOME cl. 90, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 02/07/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente
NOME COGNOME